SOCIETÀ

Lussemburgo: come arricchirsi a spese del resto dell’Europa

Un sistema di accordi segreti per spostare flussi finanziari enormi pagando tasse minime. È questo il “core business” del Lussemburgo rivelato da LuxLeaks, ovvero Luxembourg leaks, l’inchiesta realizzata dai giornalisti dell’International Consortium of Investigative Journalism (Icij) sugli accordi segreti in materia di imposizione fiscale tra 343 aziende - 31 italiane - e le autorità del Lussemburgo che, sebbene non vi sia traccia di reato e tutto rientri formalmente nella legalità, rivela un flusso enorme di risorse  fiscali sottratto agli altri stati dell’Unione Europea.

L’inchiesta, nata dalla collaborazione tra 80 giornalisti di 26 Paesi coordinati da Icij, ha coinvolto oltre 40 organi di informazione tra cui The Guardian, Le Monde, Politiken, Süddeutsche Zeitung,  Le Soir, L'Espresso i quali negli ultimi 6 mesi si sono occupati di passare al setaccio 28.000 pagine di documenti fiscali lussemburghesi prima di renderli pubblici. I risultati dell’indagine sono stati pubblicati contemporaneamente da tutti i media coinvolti.

“Dalle multinazionali alle banche, dalle imprese famigliari ai grandi marchi della moda, migliaia di società – scrive l’Espresso che ha avuto l’esclusiva per l’Italia – hanno trovato rifugio all’ombra del fisco leggero del Granducato. Un sistema cresciuto anche grazie al lungo governo di Jean-Claude Juncker, premier del Lussemburgo per 18 anni, ora alla guida della Commissione europea”.

I documenti pubblicati dimostrano come Pricewaterhouse Coopers, agenzia di consulenza fiscale tra le più grandi al mondo, dal 2002 al 2010 ha elaborato strategie finanziarie per far ottenere ai propri clienti drastiche riduzioni nelle imposte sui profitti, arrivando perfino sotto l’1%, spostando gli utili  dai paesi d’origine al Lussemburgo. Una strategia possibile, in sostanza, grazie all'utilizzo del tax ruling, la norma che in Lussemburgo permette a un'azienda di chiedere in anticipo come sarà trattata dal fisco e ottenere garanzie giuridiche, potendo così pianificare un’ottimizzazione fiscale al fine di risparmiare sulle tasse.

Tra le aziende coinvolte ci sono colossi mondiali come Apple, Amazon, Ikea, Aig, Pepsi, Gazprom, Deutsche Bank, Procter & Gamble e anche 31 italiane, tra le quali Intesa Sanpaolo, Unicredit, Finmeccanica, Banca delle Marche, la Banca popolare dell'Emilia Romagna, Ubi, Banca Sella, Hines immobiliare e una serie di gruppi esteri che operano in Italia. Ma una scorsa ai documenti fa capire come il sistema sia diffuso in tutto il mondo e coinvolga imprese di tutti i settori e di qualsiasi paese: Usa, Gran Bretagna, Svezia, Germania, Russia, Marocco, Corea del Sud, El Salvador, Isole Cayman e altri ancora. 

Per ora la situazione resta sotto controllo, in particolare per quanto riguarda gli effetti dello scandalo sull'appena eletto presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, sebbene la sua posizione appaia delicata. Il nuovo ministro delle Finanze del Lussemburgo, Pierre Gramegna, ha riformato la struttura dell'organismo che sottoscrive gli accordi con le multinazionali: un'ammissione seppur indiretta che il sistema così com'era sotto la premiership di Juncker non era in grado di garantire controlli adeguati. Prima un solo funzionario firmava i tax ruling, ora è stata formata una squadra che valuta le centinaia di pagine di documenti necessari per arrivare a un accordo fiscale preventivo. 

Anche il portavoce Ue per la concorrenza Ricardo Cardoso ha confermato che fino al 2013 quando Juncker era primo ministro, la collaborazione con la Commissione dell'Unione che indagava su queste agevolazioni è stata difficile: “In questi ultimi mesi la Commissione ha potuto contare su una miglior cooperazione con il Lussemburgo e ci aspettiamo di ricevere ulteriori informazioni da parte loro per poter continuare l’indagine nella sua pienezza”.

Su Juncker l'Europarlamento non ha ancora chiesto un’audizione. Il presidente di turno dell’Ecofin, il ministro Pier Carlo Padoan, appare tranquillo e giudica le rivelazioni sugli accordi fiscali "il risultato di un clima in cui c'è molta più trasparenza”, e il commissario Ue per gli Affari economici e la fiscalità, il francese Pierre Moscovici, ha fatto capire che la Commissione intende eliminare ogni dubbio di possibili conflitti d’interesse dimostrando che “la priorità dei prossimi anni è raggiungere l’armonizzazione fiscale e fare passi avanti nella lotta contro l’elusione e l’evasione delle tasse”.

Dato il momento di profonda crisi economica e politica vissuto dall’Europa, nessun governo appare disposto ad attaccare Juncker e sembra prevalere la scelta di puntare sull'armonizzazione della fiscalità, impresa finora impossibile perché per questa materia ogni decisione va presa all’unanimità. L’Ecofin, infatti, ha promesso un accordo entro dicembre su una direttiva utile a “combattere le politiche fiscali aggressive” delle multinazionali e il portavoce della Commissione ha detto che, al prossimo G20 in Australia, Juncker promuoverà una revisione dei sistemi fiscali internazionali e “la Ue sarà in prima fila in questi sforzi”. 

Resta il fatto che la nuova Commissaria per la Concorrenza, Margrethe Vestager, sta continuando il lavoro cominciato dal suo predecessore Joaquin Almunia sulle quattro inchieste riguardanti i tax ruling applicati in modo non conforme alle norme europee sugli aiuti di Stato. Delle quattro indagini in corso, due sono sul Lussemburgo e riguardano Amazon e Fiat Finance and Trade, una è sull'Olanda per Starbucks e una sull'Irlanda per Apple: nessuno da parte della Ue mette in discussione il diritto degli Stati membri di attirare gli investimenti attraverso politiche fiscali differenziate, ma non è consentito avvantaggiare un'azienda rispetto alle altre.

Durissima nei confronti di Juncker è la posizione espressa da Bloomberg, una delle più note multi-testate finanziarie del mondo, che ritiene vi sia un “chiaro conflitto di interesse” e che, sebbene “Juncker non abbia fatto nulla di illegale e non è in pericolo di essere rimosso dall’incarico, servirebbe al meglio il progetto europeo se presentasse le dimissioni” specie considerando che “l’Unione sta faticando ad uscire dalla crisi finanziaria ed è vista sempre più come elitaria, incapace di produrre equità o crescita”.

La speranza è che LuxLeaks porti buoni frutti come lo scandalo Offshoreleaks che nella primavera del 2013 rivelò l’esistenza di 130.000 conti correnti nascosti in giro per il pianeta. Un precedente importante, che nei giorni scorsi ha portato Ecofin ad adottare un miglioramento significativo nella normativa di contrasto delle frodi fiscali e dell’evasione ampliando la base dello scambio automatico delle informazioni fiscali e segnando un passo decisivo verso lo smantellamento di un aspetto fondamentale del segreto bancario. 

Donatella Gasperi

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