UNIVERSITÀ E SCUOLA

Rapporto Oecd, l'Italia arranca sempre di più

Sono almeno sei i dati significativi specifici relativi all’università resi pubblici nei giorni scorsi dall’OECD con l’edizione 2014 dell’ormai tradizionale rapporto Education at a Glance, sullo stato dell’istruzione nel mondo. I dati riportati sono relativi all’anno 2012. 

1. Il primo della piccola serie è la crescita del numero di laureati nel mondo. Nell’anno 2000 ad avere il titolo di istruzione terziaria era il 22% della popolazione dei paesi OECD con un’età compresa tra i 25 e i 64 anni. Dodici anni dopo, nell’anno 2012, la percentuale è salita al 33%. In termini assoluti significa 222 milioni di laureati. Cui vanno aggiunti tutti quelli di età superiore ai 64 anni e, soprattutto, tutti i laureati nei paesi che – come la Cina, l’India, la Russia, il Brasile, il Sud Africa (sì, insomma quei paesi dall’economia emergente detti BRIC) e altri ancora - non sono membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, l’OECD appunto. 

Secondo uno studio indipendente, redatto poco tempo fa dalla Harvard University e dalla Asian Development Bank, il totale dei laureati in tutto il mondo sfiora quota 630 milioni (7% della popolazione mondiale). Erano meno di 500 milioni nell’anno 2000 (6% della popolazione mondiale). 

I nuovi dati dell’OECD non solo confermano la tendenza alla crescita, ma registrano anche la sua l'accelerazione. Insomma, il numero di laureati aumenta con velocità crescente.

Il rapporto Education at a Glance è estremamente utile, perché consente di effettuare analisi comparate tra i vari paesi. Ebbene in Italia i laureati di età compresa tra i 25 e i 64 anni sono 5,3 milioni. Un numero nettamente inferiore a quello degli altri grandi paesi europei come il Regno Unito (13,5 milioni), la Germania (12,6 milioni), la Francia (10,0 milioni) e la Spagna (8,5 milioni). Ma un numero inferiore anche rispetto ad alcuni paesi extra-europei di dimensioni medie che hanno raggiunto di recente un livello economico paragonabile al nostro, come la Corea del sud (12,3 milioni di laureati). E ci sono paesi a economia emergente, come la Turchia, che hanno ormai raggiunto il nostro numero di laureati (5,2 milioni), ma con la concreta prospettiva di superarci a breve. 

Certo, il raffronto va fatto in termini relativi. Ma allora la differenza – anzi, la divergenza – dell’Italia dal resto dei paesi OECD appare ancora più netta. Nella fascia di età considerata, l’Italia conta il 16% dei laureati, contro il 41% del Regno Unito, il 32% della Spagna, il 41% della Corea del Sud. Solo la Turchia ne vanta di meno, ma per un pelo (15%). Sta di fatto che l’Italia non solo ha un numero di laureati inferiore alla metà della media OECD, ma la forbice tende ad aumentare.    

2. Un secondo dato significativo di Education at a Glance 2014 è che tra i giovani (di età compresa tra i 25 e i 34 anni) la laurea è ormai diventata un titolo di massa. In media nei paesi OECD il 40% dei giovani in questa fascia di età ha conseguito una laurea. Erano appena il 26% nel 2000. La crescita, dunque, è davvero veloce. E in alcuni paesi i giovani con la laurea sono più di quelli senza laurea. Hanno il massimo titolo di studio il 57% dei giovani in Russia, il 58% in Canada, il 59% in Giappone e addirittura il 66% in Corea del Sud. L’Italia, con il 22%, è ancora volta in coda. Solo la Turchia in tutta l’area OECD ne ha di meno (21%). Ancora per poco. Tutte le proiezioni dicono che nel 2020 la Turchia avrà il 30% di giovani laureati, mentre lo scenario più ottimistico per l’Italia non va oltre il 27%. Tra pochi anni saremo gli ultimi della classe.

 3. È chiaro che il mondo sta puntando sulla conoscenza. E su un’economia fondata sulla conoscenza. Tutto ciò trova un preciso riscontro negli investimenti. Tra il 2005 e il 2011 in tutta l’area OECD la spesa per l’istruzione (o meglio, la spesa procapite per studente) è aumentata, in media, del 18%. Malgrado la crisi, dunque, il mondo – o, almeno, il mondo più ricco – ha deciso di investire di più nella scuola di ogni ordine e grado. In alcuni paesi l’incremento di spesa è significativo. Nella solita Corea del Sud è stato del 41%, in Russia del 48%, in Brasile addirittura del 97%. Nella Spagna squassata dalla crisi, l’incremento è stato meno eclatante: 10%. L’Italia – solo l’Italia – è andata in controtendenza, con un significativo – 9%. Noi, unici al mondo, abbiamo deciso di disinvestire nell’istruzione. 

4. Tuttavia i dati OECD non fanno alcuna concessione al trionfalismo. Denunciano, infatti, un generale incremento della disoccupazione. Anche tra i giovani con la laurea. Nel 2012 nei paesi OECD sono risultati senza lavoro il 5,0% dei cittadini in possesso di una laurea, contro il 3,3% del 2008. Piccole cifre, si dirà. Ma la disoccupazione tra i giovani con laurea è del 7,4%, in netto aumento rispetto al 4,6% del 2008. A conferma, commentano gli esperti dell’OECD, che la crisi sta colpendo soprattutto i giovani, compresi quelli più qualificati, e gli adulti con un basso livello di formazione.

5. Tuttavia avere una laurea continua a essere meglio che non averla. In tutti i paesi OECD ha un lavoro l’82% dei laureati di età compresa tra i 25 e i 64 anni, contro il 74% dei diplomati e il 55% dei cittadini senza diploma. Anche in Italia è così. Lavora l’80% dei laureati, contro il 70% dei diplomati e il 50% di coloro che hanno al massimo la licenza di scuola media inferiore. Laurearsi, dunque, conviene.

6. Peccato che barriere economiche sempre più alte impediscono l’accesso all’università a un numero crescente di giovani appartenenti a famiglie con reddito medio e basso. L’università rischia di ridiventare un luogo per ricchi. Il fenomeno è generale ed è stato denunciato anche dagli esperti OECD. Ed è un fenomeno rilevante anche in Italia: Regno Unito a parte, le tasse di iscrizione all’università che si pagano in Italia – registrano gli esperti OECD – sono tra le più alte d’Europa. E questo contribuisce a un fenomeno che, per ora, si registra solo nel nostro paese, in Ungheria e in Russia: il calo delle iscrizioni. Sempre meno giovani italiani scelgono l’università. E questo è, a ben vedere, l’indicatore più inquietante del lungo declino, relativo e assoluto, economico e non solo economico, del nostro paese.

Pietro Greco

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