SOCIETÀ

Europa: Angela Merkel o Altiero Spinelli?

Non ci saranno sconti per la Grecia e, molto probabilmente, la Bce deciderà di “staccare la spina” della linea di credito di emergenza che oggi ne tiene in piedi le banche dopo la riunione dell’Eurogruppo, in questi giorni a Riga. Se questo avvenisse il governo Tsipras non sarebbe in grado di rimborsare le varie scadenze di prestiti del Fondo Monetario in giugno, né di pagare stipendi e pensioni. Dovrebbe adottare misure drastiche come il controllo dei capitali e addirittura la chiusura delle banche almeno per il tempo necessario a stampare dracme e uscire dall’euro. Ne seguirebbe un groviglio quasi insolubile di problemi economici e giuridici, sia interni che internazionali, perché i trattati europei non prevedono un meccanismo di uscita dalla moneta unica. Soprattutto, i mercati finanziari subirebbero uno scossone violento perché, negli ultimi mesi, si era diffusa la convinzione che un accordo di qualche tipo, alla fine, sarebbe stato trovato.

Tutti sanno che i debiti di Atene non saranno mai ripagati perché l’economia greca non è in grado di produrre reddito sufficiente a farlo, soprattutto dopo sette anni di recessione aggravata precisamente dalle misure di austerità imposte dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario. I cosiddetti piani di salvataggio della Grecia degli ultimi anni sono stati, in realtà, piani di salvataggio delle banche francesi e tedesche, che hanno avuto il tempo di sbarazzarsi dei titoli di stato greci, ora in gran parte nelle mani della Bce e del fondo di stabilità, l’organismo ad hoc creato per tamponare la situazione. Se la Grecia dichiarasse il default le perdite sarebbero scaricate sui contribuenti europei (all’Italia costerebbe una quarantina di miliardi di euro).

Il problema non è quindi di “riforme” economiche chieste da Bruxelles e rifiutate dal governo di Atene: si tratta di una scelta puramente politica. Nessuno chiederà mai all’Ucraina, che neppure controlla integralmente il proprio territorio, di licenziare i dipendenti pubblici, abolire la sanità o far pagare le tasse agli oligarchi (il cui principale rappresentante, Petro Poroshenko, è l’attuale presidente): il sostegno dell’Europa e degli Stati Uniti è incondizionato, in funzione antirussa. Nel caso della Grecia la situazione è l’opposto: il governo Tsipras deve cadere (questo è il vero obiettivo della UE) per mostrare a tutti che non si può tornare indietro dalle politiche neoliberiste imposte in questi anni. E’ un monito, in particolare, agli elettori spagnoli tentati di cacciare il governo di Mariano Rajoy alle prossime elezioni.

Tutti i segnali provenienti dalla Germania, nelle ultime settimane, sono stati di totale chiusura e nemmeno la scelta, da parte di Tsipras, di un negoziatore più diplomatico per i dossier europei, Yannis Dragasakis, è servita a qualcosa. Il primo ministro greco dovrebbe incontrare Angela Merkel il 21 o il 22 maggio ma né la data, né l’effettiva tenuta dell’incontro, sono sicure.

In realtà, le sorti della Grecia sono nelle mani del cancelliere tedesco che, a questo punto, deve pagare il prezzo della strategia di rinvio perseguita negli ultimi anni. Se deciderà di accettare la continuazione dell’assistenza ad Atene dovrà scontrarsi con metà del proprio partito, in particolare con l’ala bavarese della Cdu-Csu e pagare un prezzo politico elevato con i propri elettori. Se invece accetterà di seguire l’opinione dei finlandesi, degli olandesi e dei funzionari di Bruxelles che vogliono punire la Grecia per aver “osato” eleggere un governo ribelle dovrà fare i conti con il giudizio storico sul suo operato.

La Grecia, di per sé, conta ben poco ma potrebbe accelerare il processo di uscita della Gran Bretagna, dove si terrà nel 2016 un referendum dall’esito tutt’altro che scontato, e in generale una disgregazione della costruzione iniziata nel 1956 a Roma (e, in un certo senso, nel 1943 a Ventotene con il “Manifesto” di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni). La Merkel vorrà prendersi la responsabilità di vedere l’Europa, iniziata con sei paesi membri ai tempi di De Gasperi e Adenauer e cresciuta fino a comprenderne 28, tornare indietro durante il suo mandato? 

Difficile ma non impossibile: in fondo, i tre antifascisti confinati a Ventotene avevano intuito dove stava il problema: “i ceti privilegiati che avevano consentito all'uguaglianza dei diritti politici non potevano ammettere che le classi diseredate se ne valessero per cercare di realizzare quell'uguaglianza di fatto che avrebbe dato a tali diritti un contenuto concreto di effettiva libertà”. Era vero nel 1943, è vero oggi: non si può ammettere che le classi diseredate decidano del proprio destino e le attuali istituzioni europee sono diventate lo strumento per impedirlo.

Fabrizio Tonello

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