CULTURA

L'effimero digitale sconfitto dalla carta?

Il dibattito circa la supremazia del digitale sulla carta stampata, o viceversa, è destinato ad essere infinito: i sostenitori del nuovo metodo di fruizione della letteratura argomentano la loro tesi avvalendosi di schemi razionali; i fan del libro classico fanno appello al sentimento. 

Nella pratica, sebbene l’annunciata apocalisse dovuta alla nascita dell’e-book non si sia ancora abbattuta su di noi, la carta sta subendo delle pesanti perdite. Il formato digitale ha indiscutibili vantaggi: può essere letto sui vari smartphone, tablet e Kindle, dispositivi che occupano poco spazio e hanno un peso quasi impercettibile, rendendo il formato elettronico più pratico del cartaceo; è economico; i più bassi costi di produzione permettono ad autori indipendenti di pubblicare le proprie opere, e questo lo rende democratico; al tempo stesso può essere d’élite, è possibile - ad esempio - trovare versioni digitali di libri ormai fuori produzione, oppure opere riguardanti argomenti molto specifici e difficili da trovare. 

Vi è anche chi sostiene, come Tim Parks in un suo articolo per The New York Review of Books, che la forma del libro non incida sul contenuto. Con buona pace dei romantici sostenitori della carta, egli afferma: “Se pronunciassimo delle parole in sequenza, perfino in silenzio senza aprire la bocca, allora avremmo avuto esperienza di cosa sia la letteratura.” Essa non ha immagini da contemplare come avviene per la pittura, o forme tangibili da osservare, non si può girare attorno ad un libro come si gira attorno ad una statua. Parks prosegue poi con un’altra argomentazione: “La letteratura è formata da parole. […] Possiamo leggere queste parole a qualsiasi velocità, interrompendo la nostra lettura ogni volta che vogliamo. Chi leggesse l’Ulisse in due settimane l’avrebbe letto né più né meno di qualcun altro che l’abbia fatto in tre mesi, o tre anni”.

Secondo altri, l’insormontabile problema del libro digitale risiede, tuttavia, proprio nella sua velocità. Dal 1909, quando Marinetti e i futuristi esaltavano “… Una bellezza nuova: la bellezza della velocità”, questa divenne culto e restò tale fino ai nostri giorni. Per l’informazione, per i quotidiani in particolare, la velocità del digitale è risultata essere una rivoluzione per molti versi positiva: le distanze si sono annullate, le notizie viaggiano in tempo reale da una parte all’altra del mondo e arrivano a miliardi di persone contemporaneamente. Tuttavia, per quanto riguarda il libro cartaceo, l’importanza del fattore tempo è riassunta bene da Craig Mod in un suo recente articolo: “La relazione tra un lettore e il proprio libro è misurata non in ore o minuti ma, idealmente, in mesi e anni. […] Ritornare ad un libro non è solo tornare al suo testo ma anche al proprio io del passato. Rileggere è ricordare chi eravamo, cosa che può essere spaventosa ed entusiasmante allo stesso tempo".

Nessuno meglio di Kundera è riuscito ad esprimere a parole il rapporto, insito in ognuno di noi, tra lentezza e memoria e tra velocità e oblio: “Prendiamo una situazione delle più banali: un uomo cammina per la strada. A un tratto cerca di ricordare qualcosa, che però gli sfugge. Allora, istintivamente, rallenta il passo. Chi, invece, vuole dimenticare un evento penoso appena vissuto accelera inconsapevolmente la sua andatura, come per allontanarsi da qualcosa che sente ancora troppo vicino a sé nel tempo. Nella matematica esistenziale questa esperienza assume la forma di due equazioni elementari: il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria; il grado di velocità è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio”.

La carta è lentezza, e per questo memoria. La carta è rileggere durante i periodi di sconforto i nostri commenti ai margini dei libri letti anni prima, quando quel sentimento non sapevamo neanche cosa fosse; è dover imparare a memoria la pagina della nostra citazione preferita perché non possiamo rintracciarla inserendo le tre parole che ricordiamo nella barra delle ricerche; c’è bisogno di tempo per scegliere accuratamente quale libro comprare, e ha un significato diverso scaricarne tre al giorno riempiendo la nostra libreria virtuale di volumi che non leggeremo mai; la carta è trovare finalmente il libro che si cercava da tempo e comprarlo anche se questo comporta accontentarsi di un pacco di patatine per pranzo perché al momento non si hanno abbastanza soldi. La routine del libro cartaceo crea ricordi e memoria, entrambe indispensabili per la crescita del lettore.

Lo scontro tra i due titani non avrà, a breve, una soluzione. Il futuro lettore si può senz’altro immaginare come un ibrido – ed oggi, in parte, lo è già. Ma finché al libro sarà associata la memoria e la routine che alla sua lettura è associata, il cartaceo non verrà sconfitto.

Martina De Camillis

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