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“Non invidio assolutamente la posizione del presidente Sergio Mattarella, che è un galantuomo. Penso abbia preso le sue decisioni con una sofferenza inaudita, dopo pressioni inimmaginabili. E questo è ancora più preoccupante”. E preoccupato è anche Mario Bertolissi, costituzionalista di fama e docente all’università di Padova, dopo il fallimento dell’incarico di governo a Giuseppe Conte.
Professor Bertolissi, il presidente Mattarella aveva il potere di rifiutare la nomina di un ministro, Paolo Savona in questo caso?
“Sottolineo innanzitutto che si è venuta a creare una situazione che credo non abbia termini di riferimento nella nostra storia recente. Di conseguenza ritengo che non si possano prendere teorie elaborate decine di anni fa, in un quadro istituzionale ancora stabile, e trasportarli nel tempo presente. Penso che il costituente, quando ha formulato il testo del secondo comma dell’art. 92, non pensasse a situazioni patologiche come quella attuale, ma allo sviluppo naturale di un percorso guidato dal senso delle istituzioni e della concordia. Certo c’erano state altre occasioni in cui l’allora presidente della Repubblica si era opposto alla nomina di un ministro, cito ad esempio i casi dell’onorevole Previti o del dottor Gratteri”.
In questo caso cosa c’è di diverso?
“Capisce bene che qui purtroppo è difficile escludere che in gioco ci sia l’indirizzo politico. Pongo il problema da un punto di vista concreto invece che astratto: se il presidente della Repubblica, a prescindere dalle ragioni, rifiuta di nominare un ministro desiderato dalla maggioranza e il governo non si forma, poi si andrà alle elezioni. Ora immaginiamo che il nuovo panorama politico confermi le forze attuali, e che queste ripropongano la stessa nomina al Capo dello Stato: a quel punto cosa si fa? Si torna a votare una seconda, poi una terza volta? È possibile che una magistratura che per natura dovrebbe essere neutra si affermi all’infinito rispetto alla volontà espressa dal corpo elettorale? Perché, e in nome di cosa? In democrazia quello che conta è il metodo e a me, se devo essere sincero, in questo momento i conti non tornano”.
È anche vero che la nuova maggioranza aveva presentato un programma basato sulla spesa mentre, volenti o nolenti, dal 2012 la nostra Costituzione prevede il principio del pareggio di bilancio.
“A quel punto però il Capo dello Stato ha sempre il potere di rinviare al Parlamento le leggi e, se queste vengono riapprovate, di ricorrere di fronte alla Corte Costituzionale per un conflitto di attribuzione. Sempre e comunque mantenendo il suo ruolo di potere neutro e di garanzia”.
Quindi ha ragione chi in questo momento parla di impeachment?
“No, nel modo più assoluto. Non esiste (si infervora, ndr). Non mi convincono i ragionamenti dei miei colleghi che illustrano soluzioni elaborate in dottrina su situazioni che non sono comparabili a quella attuale. Tutti ad esempio eravamo d’accordo sul fatto che il potere di grazia fosse presidenziale governativo, poi però la Corte Costituzionale ha stabilito che è solo presidenziale (Il riferimento è alla sentenza 200/2006, ndr)”.
Come uscire da questa situazione?
“Il vero problema è il seguente: qui abbiamo ripetute consultazioni elettorali che non producono effetti, a cui spesso seguono governi tecnici. Si può procedere in questo modo? Per quanto tempo? È evidente che si tratta di una patologia, il cui protrarsi genera tensioni preoccupanti. Federico Fubini ha scritto che ‘Il populismo, almeno in Occidente, non nasce da fattori culturali ma dalla diffusione dell’insicurezza economica’. Quando i cittadini vengono messi in queste condizioni rischiano di ridiventare plebe. Come uscirne? Ridando spazio ai fatti, al pensiero e al ragionamento, che dovrebbe essere caratterizzato da assoluto onestà intellettuale. Il problema non è tanto giuridico ma politico, e per uscirne servirebbe la politica, quella alta. Che però, purtroppo, oggi non si vede in giro”.