SOCIETÀ

Gli affari nascosti della criminalità ambientale

I crimini ambientali sono attività illegali dannose per l’ambiente, portate avanti da individui, gruppi o organizzazioni che traggono beneficio dallo sfruttamento, il deterioramento, il commercio o il furto di risorse naturali.

Gli ambiti d’azione dei criminali ambientali sono variegati: tra questi si annoverano il traffico di fauna e flora selvatica, il commercio clandestino di legname, l’estrazione illegale di minerali, la contraffazione di pesticidi e altri prodotti chimici, la gestione illegale dei rifiuti.

Quella della criminalità ambientale è una realtà tanto diffusa quanto sconosciuta. Sebbene non sia percepita come un pericolo incombente da Stati e cittadini, i dati di monitoraggio degli “eco-crimini” sono allarmanti: il loro valore monetario globale è cresciuto approssimativamente dell’8% annuo tra il 2014 e il 2018, aumentando il proprio bacino da 70-213 miliardi nel 2014 a 110-281 miliardi nel 2018. Un tale business fa gola a molti: non è un caso, infatti, che sia la terza più ampia categoria di attività criminali, dopo il traffico di droga e la contraffazione. Di recente, la criminalità ambientale ha addirittura sorpassato, in questa classifica dei crimini più redditizi, il traffico di esseri umani.

Un business in crescita

Questi dati sono raccolti in un documento che si occupa precisamente di analizzare il legame tra commercio illegale e crimini ambientali, pubblicato a luglio 2023 dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Come mette in luce il rapporto, il recente aumento del numero di crimini ambientali transfrontalieri è eloquente. Da alcuni dati raccolti nel 2016 emerge che i settori in cui le attività illegali sono più fiorenti sono la raccolta e la vendita di legname (che produce più di metà dei guadagni illegali su scala mondiale), l’estrazione mineraria (un quarto dei profitti), e poi la pesca, il contrabbando di specie selvatiche e la gestione dei rifiuti, attività la cui pratica illegale garantisce complessivamente un quarto dei profitti. Inoltre, bisogna tenere a mente che questi dati non prendono in considerazione il giro di denaro derivante dalla contraffazione e dal commercio illegale di prodotti chimici e pesticidi, attività che possono essere considerate crimini ambientali per via del loro impatto distruttivo sia sull’ambiente, sia sulla salute umana.

Una delle principali difficoltà nel far fronte alla questione è la mancanza di una definizione ufficiale del concetto di crimine ambientale e l’assenza di un quadro giuridico condiviso a livello internazionale. Di questo vuoto giuridico i criminali ambientali sono consapevoli, e sfruttano questa debolezza istituzionale a proprio vantaggio.

Un sintomo eloquente del fallimento delle istituzioni nazionali e internazionali nell’affrontare questo problema è il fatto che, sempre più di frequente, ad occuparsi di crimini ambientali internazionali sia la criminalità organizzata. Il crimine ambientale è infatti percepito come un settore a basso rischio, per via della mancanza di una regolamentazione internazionale condivisa e per le basse sanzioni, e ad alti profitti, poiché il contrabbando di merci rare, come le specie selvatiche, o pericolose, come alcuni tipi di rifiuti e diverse sostanze chimiche, sono molto redditizi. Si tratta dunque di un settore nel quale, anche secondo le mafie, investire conviene.

Impatti sulla natura, sulla salute, sull’economia

I crimini ambientali deteriorano gli ecosistemi, contribuiscono ad inasprire il cambiamento climatico e incidono sulla già drammatica riduzione della biodiversità, ma non solo. Infatti, molte di queste attività illegali hanno effetti negativi anche sulla salute umana: si pensi alle conseguenze dell’utilizzo di pesticidi e altri prodotti chimici contraffatti, che pongono seriamente a rischio la sicurezza alimentare ed espongono lavoratori e comunità a gravi danni per la salute. Tale pericolo si concretizza, ad esempio, laddove si esercitano attività estrattive in cui le regole di sicurezza non vengono rispettate, con il rischio concreto di sversamenti di materiali tossici nell’ambiente e la conseguente contaminazione di suoli e acque.

I crimini ambientali, inoltre, causano enormi danni anche sul piano economico e sociale. Come riporta il documento curato dall’OCSE, “i reati ambientali internazionali possono causare ingenti perdite economiche, dal momento che innescano un meccanismo di concorrenza sleale e compromettono i mercati e i commerci legali, come accade nel settore del legname e della pesca”. La presenza di eco-criminali su un territorio ha un costo molto alto anche dal punto di vista sociale: come viene sottolineato nel rapporto, queste attività illegali “possono anche minare valori fondanti come i processi democratici, lo stato di diritto, la sicurezza nazionale e la governance globale in materia ambientale”.

A completare il quadro vi è il fatto che quasi sempre i crimini ambientali sono accompagnati da altri reati: corruzione, riciclaggio di denaro, intralcio delle attività giudiziarie sono attività necessarie per la riuscita delle attività illegali, e la loro realizzazione contribuisce ulteriormente alla disgregazione dello stato di diritto sia nei Paesi in cui queste attività si consumano (molto spesso si tratta di Paesi in via di sviluppo, dove lo Stato e le istituzioni democratiche sono generalmente più fragili, per ragioni storiche e socio-economiche) sia a livello internazionale.

Risposte istituzionali

Uno dei punti focali degli ecoreati a livello globale è l’Europa: ad oggi, infatti, il vecchio continente rappresenta ancora il più importante centro economico e commerciale del pianeta, e per questo motivo gran parte dei reati ambientali internazionali si consuma, almeno in parte, sul suolo comunitario. Solo in Italia, i crimini contro l’ambiente perpetrati nel 2022 sono stati 30.686, come riportato nell’ultima edizione del rapporto “Ecomafia”, pubblicato annualmente da Legambiente. Tra questi, l’abusivismo edilizio, il commercio illecito di fauna selvatica e il ciclo illegale dei rifiuti la fanno da padrone nel nostro Paese.

Pur essendo un obiettivo privilegiato per la criminalità ambientale, l’Unione europea è anche tra le realtà istituzionali più attive nel far fronte a questa problematica. I casi di reati ambientali gestiti dall’Agenzia europea per la cooperazione giudiziaria penale (Eurojust) sono aumentati di quattro volte tra il 2014 e il 2018; inoltre, gli Stati membri dell’Unione hanno largamente aderito alle numerose iniziative internazionali vòlte a prevenire e ridurre i traffici ambientali illeciti.

Alcuni degli strumenti più utili ed efficaci a livello internazionali sono i Multilateral Environmental Agreements (MEAs), che forniscono un quadro giuridico vincolante e condiviso a livello internazionale per contrastare alcuni dei reati ambientali più diffusi. Tra i principali MEA ricordiamo la CITES, che è la convenzione che regolamenta il commercio di specie selvatiche; la Convenzione di Basilea, che stabilisce regole per la compravendita di rifiuti; la Convenzione di Rotterdam, che disciplina il commercio di sostanze chimiche pericolose con l’obiettivo di tutelare la salute ambientale e umana; la Convenzione di Minamata – il cui nome ricorda il disastro ambientale consumatosi nell’omonima cittadina giapponese – che regolamenta l’utilizzo del mercurio; il Protocollo di Montreal, che istituisce un quadro giuridico per la gestione delle sostanze che corrodono lo strato di ozono atmosferico.

Questi strumenti hanno svolto, negli anni, un fondamentale ruolo di rafforzamento della cooperazione internazionale. Tuttavia – si evidenzia nel rapporto dell’OCSE – questo approccio multilaterale presenta alcune lacune: ad esempio, i MEA non riescono ad armonizzare gli approcci di politica internazionale e la gestione dei controlli di frontiera, che sottostanno alle leggi dei singoli Stati. Inoltre, diversi settori in cui la criminalità ambientale è fiorente non sono ancora protetti da alcun tipo di accordo multilaterale con valore giuridico, il che rende ancor più difficile il contenimento dei fenomeni criminosi.

Alla luce della situazione corrente, in cui la mancanza di un impianto giuridico condiviso è riconosciuta come uno dei principali elementi che facilitano l’azione criminale, il primo passo da compiere è senz’altro la costituzione di un corpus giuridico condiviso su scala internazionale che consenta di combattere la criminalità ambientale in maniera organica e coerente.

Inoltre, è importante riconoscere e affrontare le motivazioni socio-economiche che rendono la criminalità ambientale così appetibile. Chi commette questo genere di reati è, molto spesso, spinto dall’indigenza: limitarsi a punire chi viene riconosciuto come responsabile di un reato ambientale non è sufficiente, ma bisogna assicurarsi che, soprattutto per chi opera alla base della catena di illegalità, vi sia un’alternativa praticabile per sostentare sé stessi e la propria famiglia.

Infine, è essenziale aumentare l’attenzione pubblica e diffondere la conoscenza sul tema della criminalità ambientale, sottolineando quanto le conseguenze di queste attività illecite incidano, direttamente o indirettamente, sulla vita e sulla salute di tutti noi.


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