SOCIETÀ

La complessa eredità di Giovanni Paolo II

Dopo aver considerato l’impatto della figura di Karol Wojtyła sulla storia del Novecento ed aver ascoltato chi lo ha conosciuto e ha lavorato con lui, ci rivolgiamo a Giovanni Vian, docente all’università Ca’ Foscari di storia del cristianesimo e delle chiese, con cui affrontiamo il tema delle caratteristiche del pontificato di Giovanni Paolo e delle sue conseguenze su una realtà complessa come quella della Chiesa cattolica.

“Si tratta sicuramente di un pontificato importante, anche se guardiamo solo ai dati – esordisce lo studioso, che proprio alla storia del papato nel XX e nel XXI secolo ha dedicato una parte importante delle sue ricerche –. Dura oltre un quarto di secolo e coinvolge oltre un miliardo di individui: una macchina enorme che mette a durissima prova, anche fisica, chi deve prestarle volto e corpo in prima persona. Un papato di straordinario impatto innovativo, condotto da un uomo che vive la sua missione con un tratto estremamente moderno. C’è un definitivo abbandono della dimensione sacrale dell’esercizio del papato e un ricorso sempre più massiccio alle moderne tecniche di comunicazione: papa Wojtyła diventa una star, anzi la star a livello mondiale. Eppure non rinuncia alla sua corporeità; rivendica ad esempio spazi personali inusuali per un papa: va in ferie, e non solo a Castel Gandolfo, scia o passeggia nella montagna veneta, ogni tanto si concede persino una nuotata in piscina”.

Intervista di Daniele Mont D'Arpizio, montaggio di Elisa Speronello

Conservatore o innovatore: come si colloca Wojtyła nella Chiesa a cavallo tra due millenni?

“Il suo pontificato pone al centro il Concilio Vaticano II in un’ottica interpretativa moderata che, pur accogliendo alcune istanze di rinnovamento, è segnata da una forte continuità con il magistero precedente. Respinge chi vede il Concilio come un errore, ma anche i tentativi di lettura che dal suo punto di vista sono eccessivamente progressisti. L’esperienza maturata come presbitero e vescovo polacco lo spinge a contrastare qualsiasi forma di dialogo che possa essere sospettata di cedimenti verso posizioni comuniste, anche nella versione moderata dell’eurocomunismo. Sul piano del dibattito interno dopo il travaglio degli anni ’70 si provvede a serrare i ranghi e a rafforzare la disciplina interna, sotto una guida autorevole che in qualche caso si rivela anche autoritaria. Il coinvolgimento degli episcopati viene riletto come una loro subordinazione alle linee guida dettate dal romano pontefice, che li consulta ma poi decide da solo. Se ad esempio Francesco è come il direttore di un’orchestra sinfonica, nella quale ogni strumento mantiene la sua voce, Giovanni Paolo II è piuttosto un timoniere, che orienta da solo la nave convogliando l’energia di tutti i rematori”.

Il suo è anche il papato dei ‘principi non negoziabili’.

“Soprattutto dopo il 1989 si accentua la critica alla società occidentale, che diventa il primo bersaglio polemico. La critica viene portata avanti dal punto di vista di valori individuati sulla scena della biopolitica: il diritto alla vita, la difesa degli embrioni e degli anziani nel fine vita, il contrasto ad aborto ed eutanasia. Molte energie sono indirizzate alla tutela del mondo del lavoro, ma forse non con la stessa forza”.

E dal punto di vista dei rapporti con lo Stato?

“Su piano dell’impegno socio-politico Giovanni Paolo II accetta il pluralismo delle presenze partitiche dei cattolici, soprattutto dopo la dissoluzione della Dc nel 1994: allo stesso tempo però li chiama a condividere i capisaldi della dottrina sociale della Chiesa e a promuoverli concretamente sul piano etico politico. Accetta formalmente la laicità e il pluralismo dello Stato, ma vi introduce l’irrinunciabilità di una riflessione considerata razionale, che in ultima istanza si appella alla legge naturale. In questo si rifà alla teologia neoscolastica, così come messa a punto da Tommaso d’Aquino e opportunamente rivisitata e rinnovata in risposta alle teologie e alle filosofie del tardo millennio”.

Se Francesco è come il direttore di un’orchestra, Giovanni Paolo II è stato piuttosto un timoniere

Altri temi caldi sono quelli del celibato nel clero e dell’ordinazione delle donne.

“Il Vaticano II aveva accennato alla possibilità di attenuare il celibato ecclesiastico, che d’altra parte ha assunto nei secoli una conformazione diversa nelle Chiese orientali, anche cattoliche. Giovanni Paolo II su questo punto, nonostante le grandi pressioni, non si mostra disponibile a mettere in discussione il magistero più recente. Lo stesso accade sul ruolo delle donne nella Chiesa: è vero che Wojtyła esalta il cosiddetto ‘genio femminile’, ma il protagonismo delle donne – una delle grandi rivoluzioni della recente storia dell’umanità, nonostante non possa ancora dirsi del tutto compiuta – non trova ancora oggi riscontro nella Chiesa cattolica e nelle Chiese ortodosse, mentre le Chiese protestanti hanno in larga maggioranza aperto la strada a ministeri femminili).  Non si arriva a farne un dogma, ma il fatto che il sacerdozio sia riservato agli uomini diventa di fatto un enunciato teologico sostanzialmente irreformabile. E questo nonostante le fonti ci portino a concludere con buona sicurezza che nei primi secoli sia esistito un diaconato femminile ordinato, e che questo fosse conferito con l’imposizione mani – uno dei momenti caratteristici ed essenziali del sacramento dell’ordine. Questioni articolate, che non a caso sono state sottoposte da papa Francesco a un’apposita commissione”.

Arriviamo alla piaga della pedofilia nel clero, su cui a Wojtyła é stato rimproverato – soprattutto dopo la morte – di non aver fatto abbastanza. Lei che ne pensa?

“Anche qui si tratta di tematiche straordinariamente complesse, quando non le si voglia tagliare con l’accetta. Per quello che sappiamo dagli archivi c’è stato effettivamente un ritardo nella presa di coscienza del problema; nei decenni precedenti spesso c’era stata una gestione troppo spiccia di queste situazioni, che associava i rapporti con i minori – ma anche le violenze condotte su adulti in determinati ambienti, come i seminari e i conventi – agli altri comportamenti sessuali. La prima preoccupazione era di evitare scandalo, quindi la prassi consisteva nell’allontanamento del prete – che si tentava di ridisciplinare dal punto di vista morale – o del partner, donna o uomo che fosse. Durante i pontificati di Giovanni Paolo e di Benedetto anche al vertice della Chiesa universale si è passati da una difficoltà nel rendersi conto della situazione alla presa di coscienza e al contrasto. Da questo punto di vista quello di Giovanni Paolo II è un pontificato di transizione verso il periodo attuale, nel quale la condanna della pedofilia nel magistero ha raggiunto una durezza e una nettezza indiscutibili”.

Cosa possiamo dire dei problemi inerenti la gestione economica della Santa Sede, venuti alla luce soprattutto durante con Benedetto XVI?

“Quello delle ricchezze è un problema con cui la Chiesa cattolica si misura da molti e molti secoli. Con Wojtyła le finanze sono sicuramente servite per alleviare i drammi della fame e delle malattie in molte parti del mondo, oltre che per aiutare le Chiese dell’est a reggere l’impatto del comunismo sovietico: verrebbe quasi da dire a fin di bene. Rimane il fatto che la movimentazione di risorse enormi da parte della Chiesa cattolica, così come in qualsiasi altra istituzione che si rifaccia al Vangelo, è sempre a rischio se non si attiene alle norme più rigide sulla gestione dei beni, condivise con il consorzio dei credenti. Dal mio punto di vista persino l’obiettivo di avere più risorse per contrastare la fame del mondo non giustifica il fatto di sottrarsi ai regimi fiscali nazionali, a cui sono sottoposte anche le componenti più povere della società. Non solo, occorre fare di più: dimostrare che risorse entrano solo temporaneamente nel patrimonio della Chiesa, e solo per consentirne un uso solidaristico e caritativo. Da questo punto di vista Giovanni Paolo II era attento a queste problematiche, ma meno del successore e soprattutto di papa Francesco, che ancora oggi in questo campo si deve misurare con l’inerzia dell’istituzione di cui è alla guida”.

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