SOCIETÀ

A tu per tu con Wojtyła

Gian Franco Svidercoschi, giornalista classe 1936, ricorda ancora quella sera di 35 anni fa, a cena con il papa. “Ero appena arrivato con il direttore dell’Osservatore Romano Mario Agnes, quando don Stanislao (il segretario particolare Stanisław Dziwisz) ci disse che padre Popiełuszko era morto. Andammo subito in cappella e ricordo ancora il volto di Giovanni Paolo II: vederlo e sentirlo pregare era incredibile, tutti restavano in silenzio”.

Era il 30 ottobre 1984 e il corpo del sacerdote che aveva sfidato il regime comunista era stato appena ripescato dalla Vistola, nella quale era stato buttato legato a una pietra dopo un brutale pestaggio da parte delle forze di sicurezza. “In seguito ci sedemmo a tavola e accendemmo la tv: al telegiornale il presidente Pertini disse che aveva appena sentito il papa per esprimergli il suo cordoglio. Guardai Wojtyła meravigliato, perché eravamo sempre stati insieme; lui allora, quasi per giustificarsi: ‘al telefono a volte mi confonde con don Stanislao’”.

I racconti di Svidercoschi sono costellati di aneddoti del genere: dai rimproveri del cerimoniere Virgilio Noè al papa appena eletto (secondo l’etichetta vaticana il discorso del famoso “se sbaglio voi mi corrigerete” non avrebbe mai dovuto aver luogo), allo scontro con il generale Jaruzelski durante un viaggio in Polonia, quando minacciò di tornare subito a Roma se non gli fosse stato concesso di incontrare il leader di Solidarność Lech Wałęsa. Del resto lo scrittore e giornalista ha vissuto in prima fila il pontificato di Giovanni Paolo II, come vaticanista e poi come vicedirettore dell’Osservatore Romano; “Dopo un po’ però rinunciai all’incarico – aggiunge –: temevo per la mia fede”. In seguito ha collaborato con Giovanni Paolo II alla stesura di Dono e Mistero (1996) e ha curato diversi volumi e trasmissioni sul pontefice polacco, tra cui Storia di Karol (Ancora 2001), da cui sono state tratte due miniserie televisive prodotte dalla Rai. Il suo ultimo libro Chi ha paura di Giovanni Paolo II? Il Papa che ha cambiato la storia del mondo, scritto a quattro mani con Giacomo Galeazzi (Rubbettino 2019), a quasi 15 anni dalla scomparsa traccia un quadro della figura di uno dei protagonisti del Novecento, tentando anche un bilancio della sua eredità.

Di Wojtyła posso solo ripetere che era anzitutto un uomo – ricorda oggi il giornalista, intervistato da Il Bo Live –. Sicuramente un mistico, ma senza quel velo clericale che ancora oggi purtroppo vedo in molti ecclesiastici”. Una caratteristica che si spiega anche con il tipo di formazione ricevuta: “Dopo la morte della madre a trasmettergli la fede furono due laici, suo padre e l’amico Jan Tyranowski, straordinaria figura di sarto e catechista. E quando decise di farsi prete dovette studiare per conto suo, dato che il regime aveva chiuso i seminari. Frequentò sempre i giovani e le coppie: era insomma un prete diverso, che non si fermava al discorso religioso ma spesso entrava in quello esistenziale”.

Anche il fatto di aver vissuto direttamente l’esperienza di due totalitarismi fu determinante: “Da qui gli veniva questo rispetto per la dignità dell’uomo che è stato la linea del suo sacerdozio e del suo pontificato: un nuovo umanesimo, non integralista ma aperto al mondo e alla storia”. Svidercoschi pensa che il ruolo di Giovanni Paolo II non sia stato sufficientemente sottolineato in occasione del recente anniversario della caduta del muro di Berlino: “eppure a riconoscerlo fu lo stesso Gorbaciov. Certo non fu materialmente lui a buttare giù il muro; senza però un papa polacco sarebbe stata la stessa cosa? Solidarność avrebbe resistito alla repressione?”.

Wojtyła era un mistico, ma senza quel velo clericale che ancora oggi purtroppo vedo in molti ecclesiastici Gian Franco Svidercoschi

C’è una cosa che a distanza di anni non va giù al giornalista: l’immagine di un Wojtyła conservatore e di destra; “Chi ricorda che, appena caduto il muro, disse agli imprenditori messicani che le miserie non erano ancora scomparse? Tanto che l’Unità titolò: ‘non regaliamo il papa alla destra’. Fu odiato a destra come a sinistra: contestato dai sandinisti in Nicaragua ma anche dal regime di destra in Salvador, dove cercarono di impedirgli di andare a pregare sulla tomba di monsignor Romero. Il quale, tra l’altro, prima di essere ucciso aveva a sua volta fama di conservatore e di topo di biblioteca. Come vede è tutto molto più complesso di come viene raccontato”. E il famoso balconazo con Pinochet? “Quella fu una carognata organizzata ad arte dal regime. Ricordiamo però che Giovanni Paolo durante un viaggio Sudamerica cambiò i discorsi preparati dalla curia e dagli episcopati locali per schierarsi contro le disuguaglianze, e successivamente arrivò a definirsi teologo della liberazione. Su quest’ultimo punto impose a Ratzinger di essere più morbido con i sacerdoti che simpatizzavano con le lotte sociali”.

Per Svidercoschi Wojtyła è stato soprattutto un apripista e uno sperimentatore: “Oggi forse, a distanza di anni, dimentichiamo quanto sia stato straordinario quel pontificato, quanto fossero innovativi alcuni gesti. Pensiamo solo al fatto di andare in sinagoga e chiamare ‘fratelli maggiori’ gli ebrei, lui che era cresciuto a 30 chilometri da Auschwitz e aveva avuto diversi amici e conoscenti morti nei campi. C’erano già stati il Concilio e la dichiarazione Nostra Aetate, la cancellazione dell’accusa di deicidio: mancava ancora però un gesto così potente. Oppure ricordiamo le richieste di perdono, come quella che fece in Cecoslovacchia per l’uccisione di Jan Hus o in Grecia per il sacco di Costantinopoli da parte dei crociati nel 1204. Pensiamo al tema della misericordia: ora è l’emblema del pontificato di Francesco, ma a suo tempo è stato sviluppato prima da Giovanni XXIII e poi soprattutto da Giovanni Paolo II”.

Tutti gesti e percorsi che il papa decise di intraprendere in prima persona, senza pretendere contropartite e prendendo su di sé tutti i rischi: “Giovanni Paolo II non amava forzare gli altri; preferiva andare in avanscoperta, gettare le basi. Ma non fu sempre aiutato, sia dalla curia che dagli episcopati nazionali”. Il riferimento è anche agli scandali vaticani, come quello dello Ior e della pedofilia nel clero, che il giornalista imputa soprattutto a cordate e circoli di potere interni ed esterni al piccolo Stato. “Il papa aveva un progetto per cambiare la Chiesa e la sua presenza nel mondo, ma questo non fu sempre accettato – conclude Svidercoschi –. Per questo viaggiò molto: per smuovere il mondo in questa maniera”.

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