SCIENZA E RICERCA
Tutelare la natura e continuare a produrre: uno studio ci dice che si può fare

Foto: Ales Krivec/Unsplash
Anche in Europa, come nel resto del pianeta, la biodiversità sta rapidamente diminuendo a causa delle attività umane. Per far fronte a questa sfida, esattamente un anno fa, in giugno, l’Unione Europea ha approvato il regolamento europeo sul ripristino della natura (Nature Restoration Regulation), che mira a proteggere e migliorare le condizioni di salute del patrimonio naturale del nostro continente. Questo regolamento pone agli Stati membri diversi obiettivi vincolanti, tra cui quello di ripristinare almeno il 20% degli ecosistemi terrestri e acquatici entro il 2030, e di arrivare al 100% di ecosistemi ripristinati entro il 2050.
Sono obiettivi molto ambiziosi, seppure in linea con quelli delineati a livello internazionale (si pensi al famoso obiettivo del “30% [di aree protette] entro il 2030” del Kunming-Montréal Global Biodiversity Framework). L’Europa è il continente più antropizzato del pianeta: la densità degli insediamenti umani è molto alta e centinaia di anni di attività umane altamente impattanti hanno ridotto drasticamente l’integrità e compromesso la salute degli ecosistemi. Secondo l’ultima edizione del rapporto sullo “Stato dell’ambiente in Europa”, pubblicata nel 2020 dall’Agenzia ambientale europea, solo il 15% degli habitat già posti sotto protezione è in buone condizioni di conservazione, mentre l’81% versa in condizioni di salute scarse (il 45% degli habitat) o negative (36%).
L’Unione Europea ha dato agli Stati membri due anni di tempo dall’approvazione del regolamento (la scadenza è a metà 2026) per redigere i propri “Piani nazionali di ripristino”, declinando così su scala nazionale e regionale le misure necessarie per contribuire a raggiungere gli obiettivi comunitari entro i tempi previsti.
La redazione di questi piani dovrà affrontare una sfida difficile: raggiungere gli obiettivi previsti armonizzandoli con i contesti locali, dove le attività di tutela e ripristino della natura vanno messe in pratica. Questa difficile opera di armonizzazione e la breve finestra temporale in cui gli interventi dovranno essere realizzati sono forse le principali sfide poste dalla Nature Restoration Regulation.
Misure di protezione severe (come la creazione di aree protette e riserve integrali, in cui è vietato quasi ogni tipo di attività umana) possono entrare in conflitto con settori essenziali come l’agricoltura e la selvicoltura, la produzione di energia rinnovabile (attraverso l’istituzione di “coltivazioni energetiche”) e l’uso dei suoli per aumentare lo stoccaggio di carbonio.
Armonizzare ripristino, conservazione e attività economiche
In un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Ecology & Evolution, un gruppo di ricercatori ha elaborato un metodo di pianificazione spaziale integrata dell’uso del suolo che potrebbe contribuire a superare questi potenziali conflitti. L’obiettivo dello studio è individuare le combinazioni di interventi di ripristino che consentano di raggiungere gli obiettivi di tutela della natura fissati al 2030 senza sacrificare le esigenze di produzione materiale ed energetica dell’Europa. In altri termini, questo strumento di pianificazione integrata aiuta a decidere la distribuzione e le proporzioni con cui destinare terreni sia alla conservazione e al ripristino che alle attività produttive, così da raggiungere nei tempi previsti gli obiettivi della Nature Restoration Regulation e, al contempo, soddisfare le necessità di produzione.
I ricercatori hanno analizzato 12 scenari possibili, individuati attraverso la combinazione di tre variabili:
- Le modalità di uso del suolo: business as usual, cioè un mantenimento della rotta attuale, e ‘Fit for 55’, cioè un aumento delle aree destinate a sequestrare carbonio per ridurre le emissioni nette europee del 55% rispetto al 1990;
- Il livello di ambizione negli interventi di ripristino: un livello di base, che mira a raggiungere i target riducendo l’intensità dei paesaggi produttivi, e un livello alto, che, in aggiunta a questa misura, punta a espandere del 6% gli ecosistemi naturali attraverso interventi di ripristino attivi o passivi;
- Le modalità di condivisione degli impegni di ripristino ecologico tra i Paesi dell’Unione: uno scenario prevede che tutti i Paesi debbano raggiungere la stessa percentuale di territori ripristinati, un secondo prevede flessibilità tra gli Stati per raggiungere gli obiettivi comuni, e un terzo scenario non prevede alcuna costrizione, ipotizzando che i singoli Paesi elaborino i propri piani in relativa autonomia.
Per valutare i benefici derivanti da ogni scenario, sono stati considerati i dati sulla distribuzione attuale e potenziale di circa 700 specie di interesse conservazionistico e sulla capacità dei suoli di sequestrare carbonio.
I risultati sono chiari. Gli scenari con una pianificazione integrata (e non settoriale) della destinazione d’uso dei suoli sono quelli che consentono di ottimizzare le esigenze di protezione della natura con quelle (di cui si prevede una crescita nei prossimi anni) di produzione economica. Una pianificazione che tenga conto soltanto delle necessità di ripristino e conservazione rischia di sovrastimare le aree in cui il ripristino sarebbe attuabile e apporterebbe benefici; al contrario, secondo gli autori della ricerca, "una pianificazione integrata offre una prospettiva più completa e informata per dare priorità a conservazione e ripristino e consente di valutare i potenziali conflitti delle soluzioni proposte con la bioeconomia" (cioè le attività economiche basate sull’uso delle risorse naturali).
Inoltre, la cooperazione tra i Paesi membri è cruciale: condividere obiettivi e strategie è infatti essenziale per far sì che le misure proposte dai singoli Stati siano reciprocamente coerenti e concorrano al raggiungimento degli obiettivi comunitari nel modo più efficiente possibile. A tal proposito, i risultati delle simulazioni condotte in questa ricerca suggeriscono che un certo grado di flessibilità nella distribuzione degli sforzi di ripristino tra i Paesi garantirebbe il raggiungimento di gran parte degli obiettivi di tutela della biodiversità e di sequestro del carbonio, minimizzando al tempo stesso i conflitti con la produzione di cibo, legname ed energia pulita.
In tutti gli scenari considerati, l’implementazione del Regolamento sul ripristino della natura contribuirà al miglioramento dello stato di conservazione delle popolazioni di oltre il 20% delle specie monitorate dalla Direttiva Habitat e dalla Direttiva Uccelli, e al tempo stesso aumenterà il sequestro di carbonio nel suolo. Pianificare il ripristino e la conservazione della natura tenendo conto degli usi del suolo a fini produttivi non significa rinunciare alla tutela, ma consente di operare scelte più informate e realistiche, riducendo le sovrapposizioni e le incompatibilità tra esigenze e strategie diverse e, di conseguenza, garantendo benefici duraturi sia per la natura che per le persone. Perché, nella maggior parte dei casi, il benessere della natura e quello umano non sono mutualmente esclusivi, ma vanno di pari passo.