
Washington, 19 marzo 2025. Da www.whitehouse.gov
Lasciare assieme alla propria famiglia il Paese nel quale si vive da 17 anni, in cui per giunta si è costruita una parte fondamentale della propria carriera, non è semplice: è però la scelta di Massimo Faggioli, in procinto di migrare a settembre dalla Villanova University, ateneo dell’ordine degli agostiniani (lo stesso di Leone XIV) in Pennsylvania, all’altrettanto prestigioso Trinity College di Dublino. “Sono qui in Italia contro le indicazioni del mio ateneo – spiega lo studioso a Padova, ospite di un seminario interdisciplinare –. Molti colleghi che, come me, non hanno la cittadinanza statunitense oggi preferiscono non lasciare il Paese perché non sanno se gli sarà permesso di tornare. Vado anche perché oggi è più difficile lavorare negli Stati Uniti: la pressione è continua e c’è paura a esprimere un’opinione o una critica sul governo, con il rischio di vedersi catapultati sui social e di finire magari sotto la lente delle autorità”.
Esperto di cattolicesimo americano e globale, oltre che voce influente nel dibattito ecclesiale nordamericano, Faggioli ha attraversato da testimone diretto i passaggi più importanti della storia recente americana, dall’elezione di Barack Obama al ritorno di Donald Trump, e conosce bene la profonda crisi delle istituzioni democratiche e religiose del paese. Il suo ultimo libro Da Dio a Trump (Scholé 2025) prova a fare i conti con una stagione che, avverte, “potrebbe non finire con Trump”. “Biden, secondo presidente cattolico nella storia del Paese, sembrava nel 2020 poter rappresentare una specie di esorcismo del trumpismo – continua Faggioli –. Oggi appare invece una parentesi: sia per la sua scelta di non ricandidarsi, sia per il peggioramento delle sue condizioni di salute”.
Cos’è dunque il trumpismo?
“Molto più di un populismo all’italiana. All’inizio si pensava fosse una sorta di Berlusconi americano, mentre in realtà Trump ha intercettato una trasformazione profonda della società statunitense: la secolarizzazione non intesa come allontanamento dalla religione, ma come crisi di fede nell’America stessa. Dopo l’11 settembre, e ancor più negli ultimi dieci-quindici anni, è crollata la fiducia nel progetto nazionale americano. Movimenti come Black Lives Matter e correnti culturali come il femminismo e le teorie di genere, di solito indicati sotto l’etichetta del woke, hanno denunciato i ‘peccati originali’ degli Stati Uniti – razzismo, genocidio dei nativi, schiavismo – arrivando a metterne in discussione l’intero mito fondativo. È come se una parte della società avesse smesso di credere nell’America: in questo vuoto il trumpismo si è offerto come religione alternativa”.
“ "Make America Great Again" non è uno slogan ma un progetto di redenzione, tutt’altro che ingenuo: è la risposta a una crisi spirituale collettiva Massimo Faggioli
In che senso?
“L’America dei padri pellegrini nasce essenzialmente come progetto religioso, che in qualche modo ancora oggi non ammette scetticismo né tantomeno abiure. In questo senso, soprattutto nel suo secondo mandato, Trump si presenta come un messia politico: un salvatore, un unto del Signore che sopravvive ai giudici e persino ai tentativi di assassinarlo. Make America Great Again non è uno slogan ma un progetto di redenzione, tutt’altro che ingenuo: è la risposta a una crisi spirituale collettiva. Negli Stati Uniti, a differenza di quanto accade in Europa, la religione non si ritira in buon ordine ma si trasforma: Trump ha solo capito prima di molti pastori e vescovi che c’era un bisogno in cerca di risposte. E le Chiese si sono spaccate”.
Compresa quella cattolica, la confessione relativamente più numerosa e organizzata.
“Dopo secoli di diffidenza da parte dell’establishment, oggi il cattolicesimo americano ha un ruolo centrale, e Trump ha vinto anche perché una parte significativa dei credenti è passata con lui, complice la mancanza di strategia da parte dei democratici: Kamala Harris, a differenza di Biden nel 2020, ha mostrato in tutti i modi di non essere interessata al voto cattolico. Non è solo questione di voti: attorno a Trump e a una figura chiave come quella di J.D. Vance si muovono intellettuali che vogliono riscrivere il patto tra politica e religione. Si parla apertamente di ispirare la legislazione alla morale cristiana su temi come aborto e soprattutto gender e immigrazione. Un ritorno del fondamentalismo che nel mondo cattolico prende il volto del ‘magistero a scelta’: si costruisce la propria ideologia scegliendosi un papa preferito, si tratti di Benedetto XVI o di Pio IX, ignorando tutti gli sviluppi successivi”.
Come si arriva a questa polarizzazione?
“È una situazione che non nasce con Trump, anche se oggi tocca il suo climax: oggi il Partito Repubblicano e quello Democratico somigliano sempre più a due chiese, con dogmi intoccabili e spazi ridottissimi per il dissenso. Paradossalmente c’è più libertà nella Chiesa cattolica, dove perlomeno negli ambienti accademici non si rischia il posto se non si segue ‘la linea’. La maggioranza dei Repubblicani ha capito che parlare un linguaggio religioso è la chiave per fare politica oggi, mentre dall’altra parte il Partito Democratico è diventato un po’ come il Partito Radicale degli anni ’70: laicista, ultralibertario e individualista. Un progetto che larga parte dell’America non ha mai davvero accettato: in alcuni Stati decisivi – la Pennsylvania per esempio – si è votato per Biden nel 2020 e per Trump nel 2024”.
In questo contesto che significato assume l’elezione di papa Leone XIV?
“Inizierei da un dettaglio apparentemente secondario: nei giorni precedenti il conclave Trump ha postato sui social un meme in cui si raffigurava come papa. Non era una battuta ma una dichiarazione d’intenti: l’auto-identificazione come guida spirituale dei cattolici americani. Robert Prevost arriva da Chicago, che non è solo la città dei Blues Brothers ma la culla e il simbolo di un cattolicesimo che in parte non esiste più, multiculturale e progressista oltre che legato alle lotte sociali. Allo stesso tempo è un papa missionario e panamericano, e proprio per questa complessità la sua elezione apre interrogativi cruciali”.
— The White House (@WhiteHouse) May 3, 2025
Fino a qualche anno fa l’idea di un pontefice statunitense appariva quasi blasfema.
“Troppo rischioso affidare la guida spirituale della Chiesa a un esponente della prima potenza politica e militare del pianeta, per giunta di tradizione protestante e a lungo anticattolica. Il trumpismo ha però scardinato anche questi schemi: se il gioco è diventato questo – sembrano aver pensato in conclave – allora giochiamo anche noi. L’elezione di papa Leone XIV rompe oggettivamente un tabù e apre scenari del tutto inediti”.
Che tipo è Leone e che ruolo potrà giocare in un momento così critico?
“Finora ha parlato poco, soprattutto in inglese: uno stile cauto e misurato che però sembra anche una strategia diretta a spostare l’attenzione dal messaggero al messaggio, un cambiamento notevole rispetto ai papi mediatici degli ultimi cinquant’anni, da Giovanni Paolo II in poi. Il Giubileo per il momento lo costringe in una sorta di camicia di forza liturgico-istituzionale, ma già si intravede un cambio di stile: austero, più attento al linguaggio teologico che a quello della comunicazione globale. Essere americani significa portarsi dietro un carico identitario forte, in più Leone dovrà gestire una frattura profonda nel cattolicesimo americano, uno ‘scisma liquido’ che separa conservatori e progressisti, liturgie e teologie, visioni morali e politiche”.
E per la Chiesa cosa significa un papa statunitense?
“Fare i conti, finalmente, con il peso reale del cattolicesimo americano, che nonostante la crisi culturale e istituzionale in corso resta una superpotenza per spirito militante, risorse economiche e numero di vocazioni. Da lì sono ad esempio arrivati negli anni movimenti culturali e riflessioni teologiche essenziali nella genesi del Concilio Vaticano II, mentre oggi l’aspetto determinante sembra essere una sorta di spinta a un Make Catholicism Great Again. Una realtà che, comunque la si guardi, è impossibile da ignorare se non a proprio rischio e pericolo”.