SOCIETÀ
Le università e la guerra a Gaza. Mascia: “La ricerca promuova la pace”

Palestinesi dopo i raid aerei israeliani, nel nord della Striscia di Gaza, il 16 maggio 2025. REUTERS/Mahmoud Issa
Pochi mesi dopo l’inizio della controffensiva israeliana su Gaza in seguito all’attacco terroristico del 7 ottobre 2023, proteste e mobilitazioni hanno iniziato ad animare le piazze e, soprattutto, le università di molti Paesi. Il principale oggetto di contestazione di organizzazioni studentesche e associazioni della società civile è stato, fin da allora, la sproporzione tra l’offensiva di Hamas e la risposta di Israele, che oggi, dopo un corretto periodo di cautela, sempre più organizzazioni internazionali e media sono propense a definire genocidio. Questo termine è usato, con il supporto di dati e analisi giuridiche, nel rapporto di Amnesty International pubblicato a dicembre 2024, che suffraga l’accusa contro Israele presentata dal Sudafrica alla Corte Internazionale di Giustizia già a fine 2023. Il termine ‘genocidio’ per descrivere l’azione di Israele a Gaza e nei Territori Palestinesi Occupati è rimbalzato nelle parole di diversi esperti delle Nazioni Unite e, infine, trova la più recente conferma nel rapporto della Relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori Palestinesi occupati dal 1967.
Di fronte alle proteste studentesche, che anche in Italia proseguono da ormai più di un anno, diversi atenei hanno iniziato a prendere posizione rispetto a una delle richieste avanzate dagli studenti: che si recidessero i rapporti accademici e istituzionali con università e aziende israeliane, soprattutto laddove i progetti in corso coinvolgono realtà che si sono rese colpevoli di azioni che violano i princìpi del diritto internazionale. A differenza di quanto accaduto nel 2022, all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, il Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) non ha preso nessuna iniziativa circa il mantenimento o la sospensione delle relazioni accademiche e le collaborazioni di ricerca con Israele; di conseguenza, le università italiane si sono mosse in ordine sparso, utilizzando diversi strumenti e adottando diverse soluzioni, alcune più drastiche – come nel caso dell’università di Palermo, che ha chiuso tutte le collaborazioni con entità israeliane e attivato programmi di studio dedicati agli studenti palestinesi, o l’università di Torino, che si è tirata fuori dalla partecipazione all’Accordo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica Italia-Israele finanziato dal Ministero degli Esteri (MAECI), che, tra l’altro, è stato da poco rinnovato – e altre più simboliche.
La più recente presa di posizione accademica rispetto alla guerra di Israele contro Gaza è quella dell’università di Padova: il primo giorno di luglio 2025, il Senato Accademico ha approvato una mozione nella quale, tra le altre cose, si riafferma la condanna delle “ripetute violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani compiute dallo Stato di Israele” e si impegna da un lato a promuovere la pace “in qualsiasi sede nazionale e internazionale”, e dall’altro a “non intraprendere nuovi accordi istituzionali, né a rinnovare gli accordi in essere, con le istituzioni e gli enti israeliani che contribuiscono al perpetrarsi delle gravissime violazioni del diritto internazionale e al mantenimento dell’occupazione illegale del Territorio Palestinese”.
Per comprendere più approfonditamente il significato, il valore e le implicazioni di questa nuova mozione dell’università di Padova, situandola nel contesto internazionale, ci siamo rivolti a Marco Mascia, presidente del Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca” e titolare della Cattedra UNESCO “Diritti umani, democrazia e pace” all’università di Padova.
Partiamo dalla recente mozione approvata dal Senato accademico dell'università di Padova: in cosa consiste esattamente la presa di posizione in essa contenuta, cosa implica, e quali obiettivi punta ad ottenere?
Questa mozione ribadisce la centralità delle Nazioni Unite e del diritto internazionale per la prevenzione dei conflitti e la soluzione pacifica delle controversie internazionali in un’epoca storica nella quale le istituzioni multilaterali e il diritto internazionale sono sotto attacco. Oggi, infatti, ci sono governi che mirano a indebolire – se non distruggere – l’ONU, la Carta delle Nazioni Unite(pdf) e il diritto internazionale dei diritti umani, cioè quella che possiamo considerare la prima parte di una “Costituzione mondiale”, scritta all’indomani della Seconda guerra mondiale. Con la nascita dell’ONU e la proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti umani(pdf) sono state poste le fondamenta per un ordine internazionale basato sui princìpi dello stato di diritto e dei diritti umani. L’alternativa all’ONU è la legge del più forte, il dominio dell’illegalità e dell’impunità, la violazione sistematica dei fondamentali diritti umani, la fine delle libertà e della democrazia, l’anarchia internazionale.
Con questa mozione, il Senato Accademico dell’università di Padova afferma che l’ONU deve tornare ad essere il cantiere globale della costruzione della pace nel mondo, il garante della legalità internazionale, e un’istituzione di global governance democratica vòlta a prevenire i conflitti e a promuovere il rispetto dei diritti della persona e dei popoli e la sicurezza umana. Infatti, la via dell’ONU è la via giuridica, istituzionale e nonviolenta alla pace. Senza istituzioni non ci sono diritti, e senza diritti non c’è pace! Questo è vero a tutti i livelli di governance, “dalla città alle Nazioni Unite”.
Inoltre, con il richiamo alla Corte penale internazionale, la mozione del Senato Accademico sottolinea che la responsabilità di indagare e punire i crimini è un obbligo giuridico per gli Stati. Né la ragione politica né la ragion di Stato possono essere invocati per non rispettare questo obbligo. Nessuno può essere al di sopra della legge.
L’impunità è l’ostacolo più grande alla giustizia e alla riparazione per le vittime e per i sopravvissuti alle violazioni dei diritti umani, ai crimini di guerra e ai crimini contro l’umanità. L’impunità mina la fiducia nelle istituzioni politiche e nei princìpi della democrazia e dello stato di diritto, a livello nazionale e internazionale.
Con questa mozione, dunque, si mettono in evidenza due verità: la prima è che i governi che non agiscono nel rispetto della Carta delle Nazioni Unite e delle norme internazionali sui diritti umani operano nell’illegalità; la seconda è che chi, a qualsiasi livello di governance, agisce per costruire un ordine internazionale di pace ha dalla sua parte la legge internazionale e, dunque, è forte di legittimazione giuridica – oltre che morale – a livello internazionale.
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Qual è la differenza tra la chiusura pressoché immediata dei rapporti accademici con istituzioni e ricercatori russi all’inizio dell’invasione dell’Ucraina e, invece, il mantenimento di rapporti con le istituzioni israeliane a quasi due anni dall’inizio della controffensiva a Gaza? Quali motivi hanno reso, in questo secondo caso, più difficile per le istituzioni accademiche prendere posizione in maniera trasversale?
La politica del “doppio standard” attuata dall’Unione Europea e dai suoi Stati membri è inaccettabile. Sì alle sanzioni contro la Russia, no alle sanzioni contro Israele; sì all’embargo di armi contro la Russia, nessun embargo di armi contro Israele; sì al mandato d’arresto internazionale contro Putin, no al mandato d’arresto internazionale contro Netanyahu; sì alla sospensione dei rapporti accademici con le istituzioni russe, no alla sospensione dei rapporti accademici con le università israeliane.
Nello specifico, l’Unione Europea non ha ancora sospeso l’Accordo di associazione con Israele(pdf) [in vigore da giugno 2000]. Nell’ultimo rapporto(pdf) della Relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati dal 1967, Francesca Albanese, si afferma: “Il programma di finanziamento della ricerca Horizon Europe della Commissione Europea facilita attivamente la collaborazione con istituzioni israeliane, incluse quelle coinvolte in pratiche di apartheid e genocidio. Dal 2014, la Commissione ha erogato oltre 2,12 miliardi di euro (2,4 miliardi di dollari) a entità israeliane, incluso il Ministero della Difesa, mentre le istituzioni accademiche europee beneficiano e rafforzano queste interconnessioni”.
Con queste decisioni, l’UE ha perso tutta la sua credibilità internazionale di attore civile (a livello economico, commerciale, culturale) e la sua capacità di soft power a sostegno del diritto internazionale dei diritti umani, della diplomazia preventiva e del multilateralismo. Mi ripeto: nessuno può essere al di sopra della legge. Anche nell’ambito del diritto internazionale, tutti sono uguali davanti alla legge.
In tal senso, la Corte Penale Internazionale è uno strumento di giustizia internazionale che trova il suo fondamento giuridico nella Carta delle Nazioni Unite e nelle Convenzioni internazionali sui diritti umani. La sua legittimità e capacità d’azione vanno perciò difese, costi quel che costi, insieme al diritto internazionale dei diritti umani, il quale impone agli Stati il dovere di promuovere e salvaguardare la vita e la pace.

Carro armato e distruzione a Gaza, 15 maggio 2025. REUTERS/Amir Cohen
Come trattare, nel contesto dell’attuale guerra di Israele contro Gaza, il tema del “dual use” – espressione che indica le tecnologie, i prodotti e le ricerche sviluppate soprattutto per usi civili, ma potenzialmente applicabili anche in ambito militare – nell’ambito della ricerca scientifica?
Il tema del dual use è al centro del dibattito in tante università, italiane e non solo. In un mondo in rapida evoluzione, le tecnologie a duplice uso rappresentano una questione complessa e, ovviamente, controversa. In letteratura non c’è (ancora) una definizione chiara e condivisa di questo concetto, e ciò non aiuta il dibattito in corso. Il dual use solleva interrogativi di natura etica e giuridica, e pone il ricercatore di fronte al tema della responsabilità. La grande sfida, in questo ambito, è: come conciliare il progresso tecnologico con la salvaguardia dei diritti umani?
Le tecnologie a duplice uso sono, da un lato, potenzialmente in grado di tutelare la sicurezza e supportare le iniziative umanitarie, ma dall’altro possono portare a gravi violazioni dei diritti umani. L’approccio alla diffusione delle tecnologie deve essere basato sui diritti umani: questo significa che ogni (nuova) tecnologia deve essere sottoposta a una valutazione dei diritti umani in termini di legalità, proporzionalità e necessità.
È dunque urgente predisporre quadri normativi trasparenti, che pongano al centro la responsabilità e i diritti umani nell’utilizzo delle tecnologie a duplice uso. Infatti queste tecnologie, se adoperate in modo improprio, minano le libertà e favoriscono l’aumento delle diseguaglianze. Per affrontare efficacemente questa sfida, è necessaria la collaborazione tra Stati, istituzioni internazionali, organizzazioni della società civile, università e centri di ricerca al fine di proteggere i diritti fondamentali dai potenziali rischi derivanti dai progressi tecnologici.

Foto Reuters
Può la ricerca scientifica assumere il ruolo - e se sì, in che modo – di creatrice di ponti e fautrice di dialogo e, dunque, di pace, alla luce della guerra di Israele contro Gaza?
La ricerca può e deve contribuire a costruire ponti e a promuovere la pace. La Rete delle Università italiane per la pace promuove la riflessione sulla responsabilità sociale di tutte le discipline e sostiene la costruzione e il consolidamento della pace come vocazione costitutiva del mondo accademico e perno delle attività di ricerca, formazione e condivisione sociale delle conoscenze. Si propone, altresì, di sostenere la didattica e la ricerca per la Pace e sulla Pace come ambito accademico con forte caratterizzazione interdisciplinare e in chiave trasformativa della realtà. È all’interno di questa traiettoria culturale che la Rete delle Università italiane per la Pace ha promosso l’istituzione del Dottorato d’interesse nazionale in Peace Studies, che coinvolge trentaquattro università.
Di fronte al genocidio del popolo palestinese oggi in atto, è impossibile continuare a mantenere relazioni con le università israeliane. Mantenere queste relazioni significherebbe, infatti, essere complici di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e crimine di genocidio.
La Relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati dal 1967, Francesca Albanese, nel suo ultimo rapporto “From economy of occupation to economy of genocide”(pdf), pubblicato il 30 giugno 2025, afferma: “Le università [israeliane, ndr] hanno sostenuto l’ideologia politica alla base della colonizzazione della terra palestinese, hanno sviluppato armamenti e hanno trascurato o persino avallato la violenza sistemica, mentre le collaborazioni di ricerca globali hanno oscurato la cancellazione palestinese dietro un velo di neutralità accademica”.
E ancora: “In Israele, le università – in particolare le facoltà di giurisprudenza, i dipartimenti di archeologia e di studi sul Medio Oriente – contribuiscono all’impalcatura ideologica dell’apartheid, coltivando narrazioni allineate con lo Stato, cancellando la storia palestinese e giustificando le pratiche dell’occupazione. Parallelamente, i dipartimenti di scienza e tecnologia fungono da centri di ricerca e sviluppo per le collaborazioni tra l’esercito israeliano e i contraenti del settore bellico, contribuendo così alla produzione di strumenti per la sorveglianza, il controllo delle folle, la guerra urbana, il riconoscimento facciale e le uccisioni mirate, strumenti che vengono di fatto testati sui palestinesi”.
La decisione dell’ateneo di Padova di impegnarsi a non intraprendere nuovi accordi istituzionali, né a rinnovare gli accordi in essere, con le istituzioni e gli enti israeliani che contribuiscono al perpetrarsi delle gravissime violazioni del diritto internazionale e al mantenimento dell’occupazione illegale del Territorio Palestinese è coerente con il suo Statuto(pdf), che all’articolo 1, comma 2, stabilisce che l’università di Padova “promuove l’elaborazione di una cultura fondata su valori universali quali i diritti umani, la pace, la salvaguardia dell’ambiente e la solidarietà internazionale”.