SOCIETÀ

La retorica militare conquista anche la transizione energetica europea

La transizione ecologica e l’azione climatica devono fare sempre di più i conti con i tempi di guerra in cui viviamo. È questo uno dei temi che è emerso dalla European Sustainable Energy Week (EUSEW) che a Bruxelles ha visto l’organizzazione di più di 60 eventi in tre giorni, dal 10 al 12 giugno, con circa 300 relatori.

Abbassare emissioni e costi

Sono tanti gli aspetti che rendono il processo di decarbonizzazione un puzzle complesso: oltre a rendere l’economia europea sostenibile dal punto di vista ambientale, occorre che la transizione sia anche giusta, ossia sostenibile sotto il profilo sociale. Molti settori industriali, quelli più emissivi soprattutto, dovranno convertire la propria produzione e questo significa cambiare le specializzazioni professionali dei lavoratori impiegati in quei settori.

Rispetto alla media globale, l’Europa si riscalda al doppio della velocità: prodursi in casa energia pulita consente non solo di abbassare le emissioni che provocano il riscaldamento, ma anche i prezzi dell’energia, che sono tra le due e le tre volte più alti rispetto ad esempio a quelli degli Stati Uniti e che ad oggi rendono la vita impossibile a milioni di famiglie e imprese, in condizioni di povertà energetica. Il costo dell’energia prodotta da fotovoltaico dal 2010 al 2020 si è letteralmente decimato, rendendola la fonte più sostenibile sia sotto il profilo economico sia ambientale.

Le uniche risorse naturali rinnovabili di cui l’Europa dispone per prodursi energia sono il sole, nel Mediterraneo, e il vento, al nord. Impararle a sfruttarle a pieno, tramite la produzione energetica da fotovoltaico ed eolico, significa emanciparsi dalle dipendenze straniere, soprattutto dalla Russia, da cui l’Europa comprava, prima della guerra in Ucraina, quasi la metà del gas che consumava.

“L’Europa manda un messaggio forte e chiaro alla Russia” ha scandito il Commissario per l’energia e le politiche abitative Dan Jørgensen nel suo discorso di apertura della EUSEW. “Non vi permetteremo più di usare il sistema energetico come un’arma e di ricattare i Paesi europei”. La rottura è totale e la strada segnata: entro la fine del 2027 l’Europa intende far completamente a meno del gas russo. L'ultimo pacchetto di sanzioni, il diciottesimo, include anche il gasdotto Nord Stream.

Neutralità tecnologica

Su quali siano però le fonti energetiche alternative su cui puntare il dibattito rimane aperto, soprattutto per la pressante azione di lobbying che ruota attorno alle istituzioni europee. Il risultato è che la neutralità tecnologica è ormai una parola d’ordine per dire van bene le rinnovabili, ma non dimentichiamo il nucleare, l’idrogeno, i biocombustibili. Va inoltre ricordato che, sebbene sia cresciuta la quota di energia prodotta da rinnovabili, finora buona parte del gas russo è stato sostituito principalmente con altro gas proveniente da altri Paesi, non meno inaffidabili sul lungo termine.

La diversificazione dei vettori energetici ha sicuramente senso a un livello, quello comunitario, che deve integrare i diversi approcci e le diverse specificità dei singoli Paesi. Il problema è che, legittimata dal livello europeo, la neutralità tecnologica viene spesso brandita dalla politica nazionale per ritardare decisioni che non hanno il lusso del tempo dalla loro parte. L’Italia ne sa qualcosa.

Quel che è certo è che l’Europa vuole abbassare la sua dipendenza dall’energia fossile, per lo meno quella della Russia, e ricorrere a più energia elettrica, che per poter venire scambiata velocemente da un Paese all’altro avrà bisogno di un potenziamento dell’infrastruttura della rete elettrica, vero e proprio sistema circolatorio della nuova economia europea.


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In ogni caso, diversamente dall’amministrazione statunitense, che mette la testa sotto la sabbia rispetto al problema ambientale e climatico, la classe dirigente europea è perfettamente consapevole che la sfida climatica non può non essere incorporata nel modello di sviluppo economico e sociale del Vecchio Continente.

Clima, competitività e indipendenza”: questi macro temi devono essere affrontati insieme secondo Wopke Hoekstra, commissario europeo per il clima e la crescita a emissioni zero, che ha tenuto il discorso principale della sessione pomeridiana del 10 giugno. “Il Clean Industrial Deal punta proprio a questo, mettendo a disposizione 100 miliardi di euro per la manifattura sostenibile”.

Sicurezza energetica in tempi di guerra

Quel che però colpisce è che la narrazione della transizione ecologica abbia ormai virato bruscamente verso un bacino semantico più bellicista. Lo riconosce anche Hoekstra: “Il tono dell’azione climatica è slittato verso parole come sicurezza energetica, competitività economica, ma anche difesa”.

Durante un incontro dedicato proprio alla sicurezza energetica è stato ricordato che le infrastrutture energetiche sono state tra i principali bersagli degli attacchi russi in Ucraina: “fa parte della dottrina russa per fiaccare il moraleha detto Samu Paukkunen, direttore della sezione di sicurezza climatica ed energetica della Nato, ospite dell’evento.

“I cyberattacchi in Finlandia e nei Paesi Baltici sono ormai all’ordine del giorno” ha rincarato Jari Stenius di Fortum, azienda energetica nordeuropea. Anche per questo la rete elettrica dei Paesi Baltici è stata desincronizzata da quella russa e allacciata a quella europea. Un'operazione analoga era già stata compiuta con l'infrastruttura ucraina all'indomani dell'invasione russa. “Servono piani di preparazione. Con ogni probabilità quello iberico non sarà l’ultimo blackout, vuoi per ragioni climatiche o per attacchi mirati”. Sebbene si parli di un problema tecnico (non climatico, né informatico), ad oggi le cause del blackout in Spagna e Portogallo non sono state ancora individuate con certezza.

Ancora più esplicito è stato Jean Charles Ellermann-Kingcombe, assistente segretario generale per l’innovazione, ibrida e cyber, della Nato: “Noi al quartiere generale della Nato parliamo di mentalità da tempi di guerra (wartime mindset, Ndr). E questa mentalità andrebbe applicata anche al settore energetico”.

Con questa premessa, il rappresentante della Nato ha evidenziato quelli che secondo il settore militare sono rischi cui verrebbe esposta l'Europa con la transizione a un sistema energetico sostenibile: “La guerra è un’attività energeticamente intensiva: i combustibili liquidi ci serviranno nei decenni a venire”. Kingombe ha evidenziato che con la transizione l’Europa perderebbe l’85% dei combustibili: “Dovremmo importarli da fuori” ha sottolineato, senza però ricordare che è sostanzialmente quello che già facciamo.

“Così come al settore dell’aviazione, anche alla Nato servono i SAF”, ovvero i Sustainable Aviation Fuel (o biocombustibili impiegati sugli aerei). “I data center per l’Intelligenza Artificiale richiederanno maggiore produzione elettrica, che servirà anche per il Power-to-Liquid”, ossia quel processo che a partire da energia elettrica rinnovabile, combina idrogeno e anidride carbonica per ottenere combustibili, detti appunto sintetici (o e-fuels). Il processo stesso però è molto energivoro e poco efficiente.


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L’altro rischio intrinseco alla transizione energetica verso fonti pulite, secondo il rappresentante della Nato, è quello di passare da una dipendenza all’altra, o peggio crearne una nuova: “La situazione peggiore sarebbe trovarsi dipendenti dalla Russia per il petrolio e il gas, ed essere dipendenti per le batterie della Cina”.

Se quindi da un lato la crescita delle rinnovabili viene promossa dai vertici delle istituzioni europee come strumento di emancipazione, dall’altro c’è chi ammonisce riguardo al rischio di vincolare il nuovo sistema energetico ed economico alla Cina, che quanto ad affidabilità viene trattata come seconda solo alla Russia.

Senza contare che l’aumento della spesa militare dei Paesi europei di per sé renderà più difficile trovare risorse economiche da investire nella transizione, in quelli che vengono chiamati tempi di guerra anche le ragioni strategiche portate dal rappresentante della Nato remano nella direzione opposta rispetto a quella che a metà secolo dovrebbe portare all’azzeramento delle emissioni nette.

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