SOCIETÀ

Srebrenica 30 anni dopo, letture e podcast per conoscere di più

Luglio 1995. Sotto gli occhi di un contingente olandese delle Nazioni Unite, il cui consiglio di sicurezza aveva promesso di proteggere la popolazione bosniaca che lì, a Srebrenica si era rifugiata, dichiarandola zona sicura, l'esercito della Repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina, con l'appoggio del gruppo paramilitare degli "Scorpioni",  consuma uno sterminio di massa seguito dalla dispersione dei resti umani in decine e decine di fosse comuni, muovendoli più volte, per renderne difficile o impossibile l’identificazione.

Un genocidio che sarà riconosciuto come tale dalla Corte di giustizia internazionale e dal Tribunale penale internazionale per i crimini della ex-Jugoslavia, istituito presso le Nazioni Unite, che ha emesso negli anni una serie di sentenze e condanne definitive, come quella nei confronti di Radovan Karadžić, ex Presidente della Repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina nonché comandante supremo delle sue forze armate, o quella di Ratko Mladić, comandante militare dei serbo-bosniaci. 

Nel 2024, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite proclama l'11 luglio Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio di Srebrenica.

A trent’anni di distanza, dice Marino Sinibaldi, autore e saggista, nel suo podcast Timbuctu, su il Post, c’è ancora qualcosa di meno semplice da conoscere e capire. Lui prende un libro, su cui torneremo, e ce lo propone. E noi seguiamo il suo esempio, proponendovi un percorso che non ha la pretesa di essere esaustivo ma che abbiamo selezionato per voi, tra libri, articoli e podcast che offrono non solo la ricostruzione dei fatti, per chi quei fatti non li ha vissuti o non li ricorda o sente comunque il bisogno di tornarci sopra, ma anche analisi, storie, prospettive. 

Libri e articoli che in molti casi ci riportano anche al presente, alle conseguenze ancora attuali di quel massacro, in una terra che una pace vera fatica a trovarla. 


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Oltre 8.000 gli uomini e ragazzi uccisi, ma mancano ancora all’appello più di 1000 corpi. E solo con un instancabile lavoro di inchiesta che tiene insieme la storia, le storie, i ricordi e i racconti, ma anche la genetica e l’antropologia forense e perfino le analisi geologiche e ambientali, anno dopo anno si riesce a dare sepoltura, ogni luglio quando cade l’anniversario, a qualche decina di quelle persone nel memoriale di Potočari che è diventato luogo di ricordo e di memoria di quel massacro. Quest’anno il Memoriale ha anche pubblicato delle linee guida per parlare e scrivere correttamente di quel genocidio, che non si riduce, è sottolineato nel testo, all’uccisione degli 8000 uomini e ragazzi. “Dagli anni dell’assedio alla fame agli stupri di massa”, leggiamo “fino all’influenza di Srebrenica sugli eventi attuali nel mondo, c’è così tanto di più da scrivere, dire e imparare sul genocidio.”

Un genocidio che, ancora una volta, non è stato l’ultimo nonostante gli auspici e le speranze della collettività internazionale, se siamo qui, in questi mesi, a raccontare altre guerre e genocidi in corso, dall’Ucraina a Gaza. E se le guerre sono tutte diverse, uguale è la disperazione, il dolore, il dramma delle popolazioni che vengono sistematicamente aggredite, delle vite perdute, dei futuri strappati. 

Mémorial (Srebrenica, Bosnie)

Iniziamo dunque il nostro percorso

Lo facciamo attingendo a tre tipi di fonti: pagine istituzionali; racconti giornalistici e saggi, scritti e podcast e infine libri.

Partiamo dal sito del Centro di ateneo per i diritti umani Antonio Papisca, dell’Università di Padova, che offre una serie di collegamenti a documenti delle Nazioni Unite e al testo della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (1948). Nel testo si sottolinea anche come il genocidio di Srebrenica, e quello dell’anno prima in Ruanda, il 1994, abbiano esercitato “un’influenza determinante per l’evoluzione del diritto penale internazionale e l’assunzione di un reale impegno a livello mondiale per la prevenzione dei genocidi”.

Sull’impegno e la responsabilità collettiva è incentrato il commento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che nel suo intervento, leggibile sul sito del Quirinale, esplicita “La coscienza della comunità internazionale non è uscita indenne da quegli eventi che hanno lasciato in eredità la consapevolezza che esiste una responsabilità collettiva, che invoca l’intervento e la condanna dei popoli.”

Una ricostruzione lineare dei fatti la fa, come sua tradizione, Il Post, con l’articolo “Quello che successe a Srebrenica, 30 anni faLa storia del primo genocidio in Europa dalla Seconda guerra mondiale”, in cui non solo si ripercorrono puntualmente gli avvenimenti, partendo dai mesi precedenti e dalle condizioni che hanno fatto da contorno al massacro, ma si fa riferimento anche alle prime evidenze che arrivarono sui media americani nelle settimane successive, già ad agosto di quell’anno, quando la rappresentante americana alle Nazioni Unite, Madeleine Albright, mostrò al consiglio di sicurezza foto aeree che mostravano inequivocabili segni dello scavo recente di quelle che parevano fosse comuni. Una prima prova di quanto accaduto, di quanto stava ancora accadendo a Srebrenica. 

La mattina del 12 luglio 1995, il giornalista serbo Zoran Petrović riprese il generale serbo bosniaco Ratko Mladic mentre rassicurava la popolazione musulmana di Srebrenica

Le voci di chi c'era e di chi lavora per ricordare, analizzare e restituire identità

Un lungo speciale, andato in onda nel Magazine di Radio3 Suite e curato dal giornalista Gigi Riva, che la guerra dei Balcani l’ha seguita e raccontata in quegli anni, lo possiamo riascoltare su RaiPlay Sound, nell’episodio intitolato "Luglio di sangue. 30 anni da Srebrenica - Memorie e riflessioni su un genocidio”. Oltre alla ricostruzione dei fatti, la puntata si snoda attraverso le letture di capitoli di diversi libri, da testi scritti dallo stesso Riva alle pagine tratte dal libro “Dieci prugne ai fascisti” della scrittrice e traduttrice serbo-bosniaca, naturalizzata italiana, Elvira Mujčić, il cui padre fu vittima della strage e rimane tra le persone scomparse, fino a “Cartolina dalla fossa. Diario di Srebrenica” di Emir Suljagić, uno dei sopravvissuti, attuale direttore del Memoriale di Potočari. Una lettura, quest’ultima, interpretata dall’attore Paolo Musìo, piena di ricordi personali di quei giorni, come il momento in cui da interprete dei militari si trova faccia a faccia con Mladic mentre accompagna uno degli osservatori dell’Onu. “Io sono sopravissuto” dice Suljagić, “Molti no. Sono sopravvissuto allo stesso modo in cui loro sono morti. Tra la loro morte e la mia vita non c’è alcuna differenza. Perché sono rimasto a vivere in un mondo che in modo duraturo, irreversibile, è stato segnato dalla loro morte.”  


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Un libro di chi trent’anni fa non si rese conto bene di quello che stava accadendo, e che da allora si dedica invece a ricostruirlo in tutti i modi possibili., è quello preso in mano da Marino Sinibaldi, dicevamo, nel suo podcast Timbuctu, sulla piattaforma de Il Post. Il libro è Metodo Srebrenica, pubblicato per la prima volta nel 2020, per Bottega Errante Edizioni. L’autore è Ivica Đikić, sceneggiatore, croato-bosniaco, che parte proprio dalla considerazione del fatto che il suo scarso ricordo di quei giorni è dovuto anche a quella sorta di assuefazione che prende le persone quando stanno vivendo dentro a un conflitto. Ma nel decennio dell’eccidio inviato dal suo giornale a Srebrenica per raccontarlo, Ivica Đikić si trova di fronte a un abisso, si rende conto all’improvviso di aver ignorato, forse di non aver voluto sapere troppo. E da lì comincia un lavoro certosino di comprensione e analisi del meccanismo del genocidio. Un lavoro che mira a descrivere come sia stato possibile uccidere e far sparire, migliaia di persone in pochi giorni, senza che l’esercito fosse organizzato per farlo, senza che ci fosse un sistema già costruito e razionalizzato, come nel caso del nazismo. Un libro utilissimo, quello di Đikić a far capire i ragionamenti, i discorsi, le decisioni, le contraddizioni anche, le reazioni, e i lasciti, quello che c’è stato di ricordo, ma anche tutto il rimosso. 

Se vogliamo capire il lavoro minuzioso e faticosissimo che sta dietro la restituzione di una identità ai resti riesumati dalle fosse comuni, lo possiamo fare leggendo Le scavatrici, pubblicato in Italia da Fandango nel 2022, un saggio giornalistico e un libro di grande potenza narrativa. L’autrice è Taina Tervonen, giornalista e documentarista finlandese, che arriva in Bosnia nel 2010. “Non conosco granché la storia di questo paese” ammette Tervonen nelle prime pagine, “se non che c’è stata una guerra, che è finita nel 1995, una guerra con 110.000 morti, di cui 30.000 dispersi. Se ne cercano ancora una terzo, cioè 10.000 persone.” Nel suo primo viaggio, Tervonen incontra Senem Škulj, antropologa forense, che le spiega, tra le altre cose, che “L’identificazione è come un punto che le famiglie riescono a mettere alla fine di una frase lunga più di 15 anni (il testo si riferisce a 15 anni fa - ndr). Quindi meglio non sostituirlo con dei puntini di sospensione, quando è possibile.” Il libro non si concentra su Srebrenica ma parte dalle fosse comuni scoperte nel nord della Bosnia. E capiamo la difficoltà ma anche la fondamentale importanza di questo lavoro attraverso le storie di Senem e di Darija Vujinovic, allora coordinatrice della raccolta e gestione dei dati della Commissione sulle persone scomparse, che visita le famiglie raccogliendo sistematicamente campioni di sangue per poter operare confronti e identificazioni, negli anni in cui Tervonen raccoglie materiale per il suo reportage in Bosnia. Un lavoro che, oltre al libro, è diventato nel 2020 anche un film documentario, Parler avec les morts

Reportage da una comunità ferita e in attesa di rispose

Srebrenica, una ferita aperta è il titolo di un lungo racconto che Nicole Corritore pubblica su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa scrivendo direttamente da Srebrenica in questi giorni, durante le cerimonie per il trentennale, con le voci e le storie soprattutto delle donne, dell’Associazione delle Madri di Srebrenica e del Movimento delle donne di Srebrenica e Žepa. Donne che in questi 30 anni hanno lavorato moltissimo per avere giustizia. L’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa è nato nel 2000, dopo la guerra, in risposta alle richieste di informazione della società civile europea proprio su quest’area appena uscita dalla guerra. Sul sito si trovano altri contributi su questi temi, inclusa la vicenda di Srebrenica, e da settembre arriverà anche Enclave. Sopravvivere a Srebrenica, un podcast realizzato sul campo, di cui per ora è disponibile il trailer.

Ultima tappa la facciamo sul sito di IrpiMedia, progetto di giornalismo investigativo indipendente italiano, su una serie di reportage - Srebrenica, le risposte che mancano - firmati da Christian Elia, giornalista che segue e scrive di vicende balcaniche da lungo tempo. Prima quelle legate alla guerra e poi, in anni più recenti, quelle associate alla rotta migratoria dove migliaia di persone migranti vivono esperienze atroci nel tentativo disperato di arrivare in Europa. Il primo di tre contributi, “Srebrenica, Potočari, Brautunac: lo stallo della memoria e il peso della storia”, si concentra sulla comunità locale, ed è un reportage e inchiesta, molto dettagliato anche nella ricostruzione dei fatti, completata da infografiche e contenuti multimediali. Una lettura lunga, ricchissima di punti di vista e di domande, molte delle quali ancora non hanno risposta, sulle responsabilità ma anche su come gli abitanti attuali riescano, o non riescano, a trovare una dimensione di vita che permetta loro di andare oltre il genocidio, oltre quel momento di collasso della vita collettiva. “Come si convive con una tomba vuota? Come si convive con un passato che non ti appartiene, ma ti definisce?” scrive Elia, che continua “Una risposta non c’è e non è l’unica cosa a mancare a Srebrenica. L’idea che giustizia non è stata fatta è ancora molto diffusa in tutte le comunità.” 

Le prossime due puntate si concentreranno sulla comunità nazionale e su quella internazionale. L’idea è di mettere in dialogo queste tre dimensioni, dalla locale all’internazionale, ci spiega Elia nell’introduzione alla serie, con delle storie che le rappresentano. “Per arrivare, alla fine di questo viaggio nella memoria che parla al futuro, a capire anche il valore simbolico globale di Srebrenica, all’epoca del dibattito su vecchi e nuovi genocidi.”

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