
La secca del fiume Po, estate 2022
“Facile come bere un bicchiere d’acqua”: per molto tempo questa espressione ha indicato qualcosa di immediato, naturale e alla portata di tutti. Oggi l’accesso all’acqua – pulita, disponibile, garantita – non è più così scontato: perfino nella ricca e fertile Pianura Padana. Così anche quella risorsa che Francesco d’Assisi, otto secoli fa, definiva “multo utile et humile et pretiosa et casta”, si fa ogni giorno più fragile, contesa e vulnerabile. Non possiamo più permetterci di sprecarla, né di darle per scontato il valore.
Non è stata, finora, un’estate particolarmente torrida: soprattutto nella Pianura Padana, ci siamo anzi trovati ancora una volta a fare i conti con fenomeni come ‘bombe d’acqua’ e grandine, oggi sempre più frequenti e violenti. Di fatto le precipitazioni, nel corso dell’anno, non sono diminuite in modo significativo: il problema è che riguardano meno giorni, concentrate in episodi sempre più brevi, intensi e potenzialmente dannosi.
Anche se dunque non siamo di fronte a una situazione come quella del 2022, con il Po in secca e i ghiacciai in forte ritiro, non c’è sicuramente da cantar vittoria su cambiamenti climatici e crisi idrica. “Il nostro errore più grande è reagire solo quando il problema esplode, per poi dimenticarlo non appena tornano le piogge – spiega Filippo Moretto, responsabile del Centro Studi di ANBI Veneto, l’associazione che riunisce i consorzi di bonifica della regione –. Il cambiamento climatico richiede coerenza, continuità e lungimiranza. Non basta parlare di ‘transizione ecologica’ se poi non cambiamo davvero modo di produrre, consumare e costruire”.
Moretto, che è anche docente a contratto del Laboratory of Sustainability presso il Collegio Internazionale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha appena pubblicato il libro Il tempo dell’acqua (Ronzani, 2025), nel quale sottolinea che il cambiamento climatico non è più una possibilità futura, ma una realtà con cui dobbiamo imparare a convivere. “Uno degli effetti più importanti sono proprio i fenomeni estremi – spiega –, che provocano danni all’agricoltura, erodono dei suoli e rendono difficile la raccolta e la gestione delle acque”. Nelle valli, nei campi e nei canali di bonifica si registra infatti una crescente difficoltà a trattenere l’acqua quando arriva, per poi soffrire la sua mancanza nei periodi più asciutti.
Un tempo nella Pianura Padana l’acqua non mancava: il problema era liberarsene, drenarla e impedirle di ristagnare nei campi e nei centri abitati. Oggi la situazione si è capovolta: la soluzione non può tuttavia essere semplicemente quella di imbrigliare ogni goccia, incanalarla in infrastrutture o metterla tutta nei tubi. “Un simile approccio – avverte Moretto – significherebbe snaturare profondamente l’ambiente che ci circonda, alterando il paesaggio e le condizioni che definiscono, tra le altre cose, anche la nostra identità territoriale”. Aree umide, fossi, rogge e risaie non sono ‘sprechi’, ma habitat essenziali per molte specie animali e vegetali, parte integrante di un prezioso equilibrio ecologico. Questi ambienti contribuiscono inoltre a servizi fondamentali di regolazione e mitigazione: dal raffrescamento naturale del clima locale alla riduzione delle isole di calore, dall’assorbimento di carbonio al filtraggio dei contaminanti. “Adattarsi al cambiamento climatico non significa solo risparmiare acqua in termini quantitativi – sottolinea lo studioso –: se si vuole evitare la desertificazione occorre accettare che una parte di essa continui a scorrere libera, mantenendo l’ambiente vitale, resiliente e abitabile”.
Come? Imparando innanzitutto a trattenere l’acqua tramite soluzioni diffuse, modulari e a limitato impatto ambientale: “Ad esempio attraverso una rete di piccoli invasi, che hanno anche il pregio di essere più facili da accettare da parte delle comunità locali rispetto alle grandi opere – continua Moretto –. Un sistema di laghetti che può contribuire a regolare i flussi, fornendo allo stesso tempo aree verdi dove passeggiare o andare in bicicletta. Non solo tutela idraulica quindi, ma anche servizi”.
C’è poi la questione delle falde, che per anni sono state sovrasfruttate e oggi si cerca di ‘ricaricare’ tramite un complesso di boschi da situare nella pedemontana: le Aree forestali di infiltrazione (AFI). L’autore porta a questo riguardo una serie di esempi concreti, in particolare dal Vicentino: “A Schiavon, Carmignano, Bressanvido, Sarcedo e Tezze sul Brenta sono ad esempio attive da anni sperimentazioni di ricarica artificiale. L’acqua, proveniente dalle precipitazioni o prelevata dal Brenta in periodi non irrigui, viene in seguito immessa in terreni ad alta capacità drenante. In alcune aree si riesce in questo modo a mettere in falda fino a un milione di metri cubi d’acqua all’anno per ettaro”. Le piante, in questo scenario, hanno un’essenziale funzione di filtro, favorendo l’equilibrio ecologico e la biodiversità: “Alberi come quercia o paulonia aiutano a trattenere sostanze organiche legate all’agricoltura come carbonio, azoto e potassio, mentre il sottobosco può fermare altri contaminanti. Un modello ecologico ed efficace già sperimentato nel progetto regionale ‘Democrito’: si calcola che basterebbero tra i 300 e i 400 ettari di queste superfici, in certe condizioni, a stabilizzare i e mettere in sicurezza l’intera falda, assicurando gli attuali consumi”.
Moretto sottolinea anche la centralità delle coltivazioni: “È una falsa contrapposizione quella tra territorio e agricoltura, che è sempre stata il mezzo attraverso cui l’uomo ha abitato il territorio. Se in passato, in Pianura Padana, il problema era allontanare l’acqua in eccesso, essa oggi può diventare strumento per conservarla, difenderla, capitalizzarla. Coltivare oggi significa anche coltivare acqua, non solo per le produzioni, ma per garantire la conformazione stessa del paesaggio e la sopravvivenza delle specie che lo abitano”.
Una sfida richiede non solo investimenti infrastrutturali, ma anche un ripensamento profondo delle pratiche agricole, urbanistiche e industriali: una nuova ‘cultura dell’acqua’ che può nascere solamente da un confronto ampio e democratico. Per questo Il tempo dell’acqua è un libro che parla di ambiente ma anche di politica, rivolgendosi non solo agli addetti ai lavori, ma a chiunque voglia comprendere come il clima stia già cambiando la nostra vita quotidiana. L’obiettivo, conclude Moretto, è suscitare il dibattito: “Tutti i cittadini devono poter capire cosa sta succedendo e contribuire con le loro posizioni e idee. Se non lo facciamo le scelte verranno comunque prese da altri, magari non nella direzione giusta”.