SOCIETÀ

Troppi sbarchi a Creta. La Grecia ha deciso di bloccare tutte le richieste d'asilo

La Grecia ha deciso di chiudere le sue frontiere agli immigrati clandestini provenienti dal Nord Africa. A tutti gli immigrati, a prescindere dalle loro condizioni sociali e di salute, dalla loro età, senza più tenere conto dei diritti stabiliti, in quanto “esseri umani”, dalle norme internazionali. «D’ora in poi tutti i migranti che entreranno illegalmente in Grecia saranno arrestati e detenuti», ha annunciato in Parlamento il premier greco, il conservatore Kyriakos Mitsotakis. «A chi arriva via mare dal Nord Africa non sarà più concesso chiedere protezione nel nostro paese. E questo è un messaggio a tutti i trafficanti e a tutti i loro potenziali clienti: i soldi che spendete sono completamente sprecati. Il passaggio verso la Grecia ora è chiuso». Lo stop alle domande d’asilo per ora è fissato a tre mesi, poi si vedrà. Una decisione drastica dovuta, come ha spiegato il primo ministro, all’impennata di sbarchi registrata negli ultimi mesi. «Conoscete il numero di immigrati clandestini che sono arrivati a Creta nelle ultime settimane. Questa è una situazione di emergenza che richiede risposte d’emergenza». Secondo stime fornite dal governo greco, e confermate dalle agenzie umanitarie, quest’anno oltre 9mila migranti (del Sudan, provenienti principalmente dalla Libia nordorientale, sono già sbarcati sulla grande isola a sud del Mar Egeo (2mila soltanto negli ultimi giorni). Nello stesso periodo del 2024 gli sbarchi erano stati circa 5mila. 

L’ultimo episodio risale a mercoledì scorso, con 520 migranti soccorsi al largo della piccola isola di Gavdos, a sud di Creta, dalla guardia costiera greca e portati sulla terraferma, al porto di Lavrio, vicino ad Atene. I trasferimenti verso la terraferma sono stati ordinati perché i centri di accoglienza temporanei a Creta sono al collasso. Secondo quanto riferisce il quotidiano Athens Times «…i residenti di Chania, Heraklion e Rethymno sono sopraffatti dall’arrivo dei migranti. Le immagini che provengono da Creta mostrano uomini, donne e bambini che dormono per terra sotto il caldo intenso, nonostante gli aiuti umanitari forniti dai comuni locali, dalla Croce Rossa e dai volontari». Secondo Eleni Zervoudaki, vicesindaco di Chania per le politiche sociali, «siamo al culmine della nostra capacità di accoglienza». Mentre Nikos Kalogeris, vice governatore regionale di Chania, ha descritto la situazione come “ingestibile”. Anche se è paradossale che il diritto all’asilo venga negato proprio nella terra che ha dato origine a quel termine (dal termine greco “ásylon”, composto dalla particella  privativa “a”  e  dal verbo “syláo”, che vuol dire “catturare, violentare,  devastare”: letteralmente “senza cattura”). 

Una crisi evidente quella delle migrazioni illegali, ma che la Grecia ha annunciato di voler gestire con le maniere forti: non soltanto nei confronti dei migranti, arrivando perfino a violare le norme dettate dalla direttiva europea n. 95 del 2011 (che impone agli stati membri di esaminare le domande di protezione internazionale), ma anche degli scafisti, con la decisione di inviare due fregate a ridosso del confine con le acque territoriali della Libia, con il compito di intercettare i barconi carichi di migranti: una sorta di “blocco navale”, come anche l’attuale governo italiano, un tempo, aveva ipotizzato di applicare. L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha espresso “seria preoccupazione” per la decisione del governo greco di bloccare per 3 mesi la presentazione delle domande di asilo, pur riconoscendo la situazione di “pressione” creata dagli sbarchi di questi giorni. «Il diritto di chiedere asilo  - ribadisce l’Agenzia delle Nazioni Unite - è un diritto umano fondamentale, sancito dal diritto internazionale, europeo e nazionale, e si applica a tutti, indipendentemente da come o dove arrivano in un paese. Anche nei momenti di pressione migratoria, gli Stati devono garantire che i richiedenti asilo abbiano accesso alle procedure di asilo. Riportare le persone in un luogo in cui affronterebbero minacce alla loro vita o alla loro libertà violerebbe il principio di non respingimento. Gli Stati non possono discostarsi da questo importante principio del diritto internazionale». 


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La “questione” libica

Il premier greco Mitsotakis l’ha ribadito esplicitamente: «Siamo pronti a cooperare con le autorità libiche per impedire alle imbarcazioni di lasciare le coste di quel Paese o, in caso di partenza, di farle tornare al punto di partenza prima di entrare in acque internazionali». Ma in che modo? E con quale destino per i disperati che sono a bordo? Quella con la Libia resta una partita assai delicata, soprattutto in virtù della caotica situazione politica del paese nordafricano, con la presenza di due governi contrapposti: uno nell’ovest del paese, il Governo di Unità Nazionale, guidato dal primo ministro Abdul Hamid Dbeibah, ufficialmente riconosciuto dalla comunità internazionale e dall’ONU; l’altro, nella parte più orientale, la più ricca, fa capo al generale Khalifa Haftar, leader dell’Esercito Nazionale Libico, sostenuto di fatto da Russia, Egitto e Turchia. E questa divisione genera non pochi problemi a livello internazionale. E imbarazzi: l’ultimo episodio è stato, pochi giorni fa, il respingimento della delegazione europea composta da diversi ministri dell’interno (di Italia, Grecia e Malta) che era arrivata pochi giorni fa a Bengasi dopo aver incontrato i rappresentanti del governo di Dbeibah. Haftar, ad accoglierli in aeroporto, aveva mandato una delegazione di militari del suo Governo di Stabilità Nazionale: incontrarli, per la missione europea, avrebbe significato un riconoscimento di fatto di quel governo, mossa che avrebbe innescato un incidente diplomatico. Da lì l’espulsione della delegazione, in quanto “persone non gradite”. Ma è proprio da lì, dai porti orientali della Libia che partono i migranti, soprattutto dal porto di Tobruk. È uno snodo decisivo per quei viaggi della disperazione. La “gestione” di quelle partenze, e le indicibili violenze che da anni vengono denunciate nei centri di detenzione (in tutta la Libia sono 34) dove i migranti sono trattenuti con la forza, sono nelle mani delle milizie comandate dal generale Haftar. Inutili finora le denunce delle associazioni umanitarie, loro stesse prese di mira, intimidite, minacciate. Con l’Unione Europea che continua da anni a dare supporto logistico e finanziario alla guardia costiera libica (oltre 700 milioni di euro tra il 2014 e il 2020) per “fermare le partenze”, esponendosi all’accusa di aver finanziato il modello di business dei trafficanti e di coloro che abusano e maltrattano le persone. Scriveva pochi giorni fa Amnesty International: «La cooperazione moralmente fallimentare dell’UE in materia di migrazione con le autorità libiche equivale a complicità in orribili violazioni dei diritti umani. I tentativi di fermare le partenze ad ogni costo mostrano un totale disprezzo per la vita e la dignità dei migranti e dei rifugiati».

Accordo raggiunto tra Regno Unito e Francia

Giovedì scorso anche Regno Unito e Francia hanno annunciato di aver raggiunto un accordo sulla questione delle migrazioni, per i continui attraversamenti illegali della Manica (oltre 21mila soltanto in questi primi mesi del 2025) che avevano spinto i precedenti governi conservatori britannici ad architettare la deportazione in Rwanda dei richiedenti asilo (piano approvato dal Parlamento, ma poi abbandonato dall’attuale primo ministro laburista Keir Starmer). Il nuovo programma, chiamato “one in, one out”, prevede che i funzionari britannici arresteranno coloro che arrivano a bordo di piccole imbarcazioni, soprattutto gommoni (traversata assai pericolosa: nell’ultimo anno i morti sono stati 73) per poi riportarli “in breve tempo” in Francia (in quanto “paese sicuro”). Per ogni migrante che la Francia riaccoglierà, il Regno Unito s’impegna a concedere asilo a un migrante proveniente dalla Francia che può dimostrare di avere un legame familiare con il Regno Unito. Il piano presenta ancora lati non del tutto chiari sui tempi e sui modi di attuazione (secondo il quotidiano Le Monde il numero dei “rimpatri” sarebbe di 50 a settimana, un numero assolutamente esiguo rispetto al totale degli sbarchi).«Accettiamo i veri richiedenti asilo perché è giusto offrire un rifugio a coloro che ne hanno più bisogno», ha dichiarato Starmer nella conferenza congiunta con il presidente francese Macron. «Ma questo accordo mostrerà ai migranti che intraprendere questo viaggio pericoloso sarà vano, e i posti di lavoro che sono stati promessi loro nel Regno Unito non esisteranno più, poiché stiamo attuando una legislazione senza precedenti contro il lavoro illegale». Secondo Macron l’impennata degli attraversamenti illegali è stata innescata dalla Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’UE, nel 2020, che a suo avviso ha peggiorato la situazione nella Manica, tagliando le rotte di migrazione legale e l’accesso agli accordi di rimpatrio del blocco europeo. «Ma ora sono totalmente impegnato a far funzionare questo accordo - ha rimarcato il presidente francese -, perché è questo il nostro interesse comune. Vogliamo innescare un effetto deterrente». 

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