Un tratto del confine tra Bulgaria e Turchia
Erano tre ragazzi, di nazionalità egiziana, con un sogno in testa e pochi indumenti indosso. In quella zona boschiva nel sud-est della Bulgaria, nel distretto di Burgas, a pochi chilometri di distanza dal confine con la Turchia, erano entrati illegalmente. È facile immaginare che avessero festeggiato, posati i primi passi sul territorio dell’Unione Europea; abbracci, pacche sulle spalle, con l’entusiasmo degli adolescenti, magari con un mezzo sorriso, filando via di corsa, che gli agenti della polizia di frontiera sarebbero potuti arrivare da un momento all’altro. Come ci fossero arrivati lì, a varcare una delle più trafficate e sorvegliate cerniere tra Europa e Medio Oriente, non è dato sapere: si può, di nuovo, soltanto immaginare la fatica, le mille difficoltà da affrontare, la paura. Era la fine di dicembre 2024. Faceva freddo, specialmente la notte: temperature al di sotto dello zero. Probabilmente si erano persi in quei boschi e non sono riusciti per tempo a trovare un riparo decente, qualcosa da mangiare. Sappiamo che sono morti per ipotermia, com’è scritto nel referto medico. Tragica fine di un tragico viaggio, com’è accaduto migliaia di altre volte, lungo quella che viene chiamata la rotta Balcanica. Si chiamavano Seifalla Elbeltagy, Ahmed Elawdan e Ahmed Samra: avevano, rispettivamente, 15, 16 e 17 anni. Accanto al corpo senza vita del più “grande”, erano state trovate impronte di animali e di stivali, che poi però sono state cancellate. Un particolare che collima con la denuncia presentata da due ong che si occupano attivamente dell’assistenza ai “migranti in cammino”: l’italiana Collettivo Rotte Balcaniche (ha sede in Veneto, a Schio) e No Name Kitchen, fondata nel 2017 a Belgrado. “La polizia di frontiera bulgara - scrivono gli attivisti in un rapporto pubblicato la scorsa settimana, dal titolo “Frozen Lives” - avevano trovato quel ragazzo, non sappiamo se ancora vivo o già morto, ma hanno deciso di lasciarlo lì al freddo”.
Attivisti minacciati dalla polizia di frontiera
La denuncia delle due organizzazioni è estremamente dettagliata: indica luoghi, orari e dinamiche dei fatti, corredati con foto e testimonianze. Il primo allarme è scattato la notte del 27 dicembre, quando le squadre di soccorso delle due organizzazioni hanno ricevuto una serie di avvisi per 3 minori a rischio immediato di morte, tutti a circa 25 km a sud della città costiera di Burgas, vicino ai villaggi di Gabar e Varshilo. Gli attivisti, oltre alle esatte posizioni GPS, hanno ricevuto anche dei video che mostravano i minori riversi a terra, nella neve, immobili. “Abbiamo subito contattato il numero di emergenza europeo - scrivono gli attivisti - e gli agenti della polizia di frontiera bulgara non solo non hanno agito, ma hanno anche ostacolato attivamente gli sforzi per fornire assistenza salvavita”. Nel rapporto c’è il dettaglio dei quattro tentativi di salvataggio. Nel primo si legge: “Le squadre di soccorso hanno tentato di raggiungere il primo pin (il luogo indicato dalla posizione GPS), dove si trovava un ragazzo egiziano di 17 anni. Alle 2:02, la polizia di frontiera ha fermato la prima squadra di soccorso (RT1) per mezz’ora e l’ha costretta a tornare indietro. Alle 3:04, la stessa squadra è stata fermata di nuovo dalla polizia. Nonostante abbiano mostrato agli ufficiali il video del ragazzo che si lamentava nella neve (dunque ancora vivo), sono stati costretti a guidare nella direzione opposta”. A un’altra squadra di soccorso non è andata meglio: sono stati fermati da agenti che indossavano uniformi nere e passamontagna. Gli attivisti sono stati derubati di documenti ed effetti personali e costretti a camminare per dieci chilometri in direzione opposta. Altri sono stati fermati e portati in caserma. Una delle attiviste ha riferito di essere stata costretta a spogliarsi per una perquisizione, con il solo obiettivo di intimidirla, di metterla a disagio, di umiliarla.
Il ministero dell’Interno bulgaro ha respinto le accuse, sostenendo che le sue forze di frontiera hanno reagito in modo tempestivo alle segnalazioni di giovani in difficoltà, inviando pattuglie immediatamente, ma che i corpi sono stati trovati in luoghi diversi da quelli originariamente forniti. Come conferma Balkan Insight, il sito web del Balkan Investigative Reporting Network (BIRN): “La polizia di frontiera bulgara nega le accuse di negligenza deliberata. Ha detto che il 27 dicembre, tra le 2 e le 7,35 del mattino, Mission Wings (un’altra organizzazione che si occupa di migranti) ha inviato tre messaggi su persone in situazione di emergenza con coordinate specifiche, ma quando gli agenti sono arrivati, non sono state trovate persone o corpi. Gli agenti hanno dichiarato di ‘aver reagito immediatamente a tutti i segnali ricevuti, ma gli avvisi del 27 dicembre contenevano informazioni errate o fuorvianti’”.
La questione è estremamente seria, al punto che le stesse ong che hanno presentato la denuncia contro la polizia bulgara scrivono: “Indagare su un argomento così delicato e allarmante come il potenziale omicidio colposo di tre minorenni richiede rigore nell’analisi e neutralità nelle conclusioni. Il quadro legislativo bulgaro stabilisce un obbligo civile di fornire assistenza quando c’è sia la necessità sia la capacità di farlo. Qui, non ci sono eroi o salvatori. Ci sono vittime e ci sono parti responsabili. Questa storia parla di esseri umani che hanno perso la vita e di innumerevoli altri i cui diritti di cercare un futuro migliore sono stati negati con violenza. Al contrario, le testimonianze che leggerete in questo rapporto possono essere utili alla società civile e ai politici per riflettere sul ruolo e sull’importanza degli attivisti impegnati che assistono le persone in difficoltà quando le autorità non riescono a rispettare le loro responsabilità. Tuttavia, in questa terra europea capovolta, coloro che cercano di aiutare vengono arrestati e coloro che ostacolano o trascurano i loro doveri vengono ricompensati”.
Non è la prima volta che la Bulgaria (che da quest’anno, dal 1° gennaio, è entrata a far parte dello spazio Schengen di libera circolazione nell’Unione Europea) viene accusata di violazioni dei diritti umani e di comportamento violento nei confronti dei migranti. Lo scorso settembre Balkan Insight ha pubblicato un’inchiesta dalla quale risulta che gli stessi agenti di Frontex (l’Agenzia dell’Unione Europea che ha il compito di controllare le frontiere di terra e di mare dell’UE) dispiegati al confine della Bulgaria sono stati “intimiditi e ridotti al silenzio di fronte ai respingimenti e alle brutalità contro migranti e rifugiati”. La testata riporta il caso del respingimento di un gruppo di cinque migranti, costretti dalla polizia bulgara a rientrare in Turchia, di notte, attraverso un buco nella recinzione del confine. «La donna implorava pietà, ma non eravamo noi al comando. “Non farmi arrabbiare”, le ha risposto la guardia di frontiera bulgara». Il racconto è di due ufficiali di Frontex: «Nell’auto di pattuglia l’ufficiale bulgaro ha ammesso di sentirsi dispiaciuto per la donna, ma che aveva l’ordine dal suo superiore di respingere tutti i “talebani”». Gli agenti di Frontex hanno poi denunciato di essere stati invitati a “chiudere un occhio” sui respingimenti e sugli abusi nei confronti di migranti e rifugiati, con tanto di minacce qualora avessero rivelato dettagli sugli episodi.
La crisi politica e l’indifferenza dell’UE
La Bulgaria, una delle nazioni più povere dell’Unione Europea, peraltro con una corruzione in continua crescita, è uscita da pochi giorni da uno stallo politico che si protraeva dallo scorso ottobre, quando il partito di centrodestra Gerb ha vinto le elezioni, ma incontrando non poche difficoltà per formare un governo di coalizione. Obiettivo raggiunto il 16 gennaio scorso, quando l’Assemblea Nazionale ha dato il via libera, con una maggioranza stretta (126 voti a favore su 240), al nuovo esecutivo guidato da Rosen Zhelyazkov, avvocato, ex presidente del Parlamento, ex ministro dei Trasporti: è il settimo governo in 4 anni, il che la dice lunga sulla profonda instabilità politica del paese balcanico. Il dossier-migranti, con le ormai sistematiche denunce di violenze da parte della polizia di frontiera, di certo finirà sul tavolo di Zhelyazkov, ma è improbabile che la situazione possa cambiare nel breve periodo. Anche perché l’Unione Europea preferisce guardare altrove, senza intervenire. Come scriveva anche il quotidiano francese Le Monde lo scorso anno: “I documenti interni di Frontex rivelano maltrattamenti sistematici dei migranti da parte delle guardie di frontiera bulgare. Nonostante i ripetuti avvertimenti, la Commissione europea accoglie con favore gli “eccellenti risultati” raggiunti da Sofia”.
Secondo le due ong che hanno firmato l’ultima denuncia, “la morte dei tre ragazzi non è un incidente isolato, ma un fallimento sistematico da parte delle autorità bulgare”. Si legge ancora nel rapporto Frozen Lives: “La condotta delle autorità bulgare è preoccupante perché contraddice i trattati fondativi dell’UE, nonché la legislazione sui diritti umani che stabilisce i minimi di dignità e protezione individuale. Le forze di frontiera bulgare sono state ripetutamente accusate di violazioni dei diritti umani e respingimenti disumani. Nel luglio 2024, EUobserver (testata giornalistica no-profit) ha riferito che le guardie di frontiera bulgare stanno abusando consapevolmente dei diritti dei potenziali richiedenti asilo lungo il confine terrestre condiviso con la Turchia. Per anni le forze di frontiera bulgare hanno intensificato la loro violenza, posizionandosi in prima linea in Europa in cambio di finanziamenti UE, ma a costo della vita dei migranti. Chiediamo perciò alla Commissione Europea di sospendere immediatamente i finanziamenti alla Bulgaria nell'ambito del Patto sulla migrazione e l’asilo”. Il rapporto è stato presentato anche a Mary Lawlor, relatore speciale delle Nazioni Unite per i difensori dei diritti umani.