Società

10 Settembre 2020

La cultura della vergogna

La recente valanga di insulti e prese in giro nei confronti di Armine Harutyunyan, la modella armena finita al centro del mirino dei sempre affamati odiatori da tastiera, ci porta ancora una volta a confrontarci con dei limiti culturali ancora fortemente radicati nella nostra società.
Le reazioni di Harutyunyan nelle interviste sono state senza dubbio esemplari, ma parlare di inclusione non fa mai male. Ed ecco perché, anche in questo caso, occorre riflettere su tutto quello che c'è dietro agli insulti e alle prese in giro che hanno come oggetto l'aspetto fisico di una persona. In altre parole: il famigerato body shaming.

Ne abbiamo discusso con la professoressa Laura Nota, docente del dipartimento di filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata dell’università di Padova e delegata del Rettore in materia di inclusione e disabilità.

“Il body shaming viene definito come l'atto di deridere una persona per una o più caratteristiche del suo aspetto fisico. Questo spesso avviene in particolare tramite il web e i social network”, spiega la professoressa Nota.
“Sono diversi gli aspetti che possono essere presi di mira: la magrezza, l'altezza, la bassezza, la peluria, la muscolatura, il colore dei capelli... Lo scopo però è sempre quello di indurre la persona a vergognarsi di qualche particolare del suo corpo.
Si tratta quindi di un problema di mancata inclusione per diversi motivi: agendo in questo modo, infatti, si manca di rispetto alla persona che viene derisa e si ignora il suo diritto ad essere trattato o trattata come essere umano.

Perché gli episodi di body shaming sembrano avvenire, nella maggior parte dei casi, nei confronti delle donne, per le quali i commenti sull'aspetto fisico vengono spesso accompagnati da insulti sessisti?


“Sicuramente a volte tutto questo avviene a causa di preconcetti di fondo dei quali non si è del tutto a conoscenza”, commenta la professoressa Nota. “La figura maschile a volte fatica a capire che determinati atteggiamenti possono trasformarsi in un'azione svalutativa nei confronti del genere femminile. In altri casi, però, tali comportamenti sono invece delle scelte consapevoli e vengono messi in pratica a ragion veduta proprio per mantenere la situazione così com'è.
Per questo sono necessarie delle forme di sensibilizzazione e di educazione che puntino ad aumentare la consapevolezza di questi meccanismi di fondo e stimolare la capacità di riflettere su quello che accade intorno a noi”.

“Stanno prendendo corpo alcuni filoni di ricerca che si occupano dello sviluppo della coscienza critica”, continua la professoressa Nota. “Uno degli asset di intervento educativo, sia in ambito di inclusione, sia di progettazione del futuro lavorativo e formativo, è proprio quello di favorire forme di consapevolezza. Ci sono strumenti e percorsi in fase di sperimentazione i cui primi risultati sono piuttosto interessanti.
Questi studi possono aiutarci a capire come fare a crescere in una cultura più inclusiva e attenta, e come pensare a modalità che permettano alle persone di riscoprire la complessità della natura umana ma anche una realtà che può essere guardata, giudicata, analizzata da punti di vista diversi e in cui anche i canoni di bellezza sono molteplici.

È necessario infine far arrivare il messaggio a tutte le componenti della società, anche a quelle produttive. Dietro a situazioni come quelle di body shaming ci sono spesso dei guadagni enormi da parte dell'industria della bellezza. Per costruire una cultura inclusiva, occorre comprendere anche questo genere di meccanismi in modo da poter ragionare su quali sono le forze che stanno mantenendo lo status quo o se ci sono forze vitali nuove, anche a livello produttivo, che vogliono realmente cambiare la situazione. Raggiungere un'idea di bellezza davvero inclusiva e coronata da sostenibilità sociale significa costruire un modo diverso di guardare la bellezza in cui anche l'industria della bellezza dovrebbe fare la sua parte, inserendosi quindi in una cornice culturale ed educativa costruita prima di tutto attraverso le forze indipendenti della scuola e dell'università”.

Ma è realmente possibile costruire una realtà davvero inclusiva?

“Dobbiamo sempre tenere di fronte a noi, come obiettivo, un'utopia inclusiva e sostenibile. Arrivarci, probabilmente è un viaggio che non avrà fine. Questo però non deve bloccare i nostri sforzi, ma stimolarci a ideare e attuare nuove traiettorie e vie diversificate per coinvolgere, nella costruzione di una cultura inclusiva, il più ampio numero possibile di persone”, conclude la professoressa Nota.