SCIENZA E RICERCA
Geni per l’antibiotico-resistenza: i souvenir dei nostri viaggi internazionali
Eva Darron/Unsplash
La nostra è una specie migrante: fin dall’inizio della nostra storia, infatti, noi umani abbiamo viaggiato ed esplorato il mondo. E in questo nostro pellegrinaggio abbiamo portato con noi – volontariamente o meno – tante altre specie, che in molti casi hanno colonizzato nuove terre sulla scia degli spostamenti umani. È accaduto, ad esempio, con gli animali e le piante domestiche; ma dei nostri spostamenti hanno approfittato anche tante specie animali o vegetali invasive, che abbiamo trasportato inconsapevolmente e che hanno in molti casi soppiantato le specie endemiche, portando a rimodulazioni anche profonde della struttura degli ecosistemi locali.
Con la globalizzazione, questo fenomeno ha assunto proporzioni letteralmente planetarie e una rapidità ineguagliata. Le invasioni di specie selvatiche hanno altissimi costi sanitari ed economici, e non è un caso che in molti Paesi oggi vi siano misure molto stringenti per l’introduzione di specie alloctone entro i confini nazionali.
Il pericolo, tuttavia, va ben oltre lo spettro del visibile. Ogni essere umano ospita, nel proprio corpo, un’enorme quantità di microrganismi: pensiamo soltanto alle dimensioni del microbiota intestinale, composto da miliardi di batteri, virus e altri microrganismi, e ancora perlopiù sconosciuto. Nel viaggiare, ogni individuo porta con sé questo “ecosistema interno”, esponendolo così a contaminazioni con i microrganismi di altre parti del mondo e, soprattutto, con i loro diversi patrimoni genetici.
Uomini e microbi viaggiano insieme
Proprio questo fenomeno è stato approfondito da un gruppo internazionale di ricercatori, autori di uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Genome Medicine, in cui vengono riportati i risultati di un monitoraggio condotto sul microbiota di 190 cittadini olandesi che avevano compiuto viaggi internazionali verso Paesi a basso o medio reddito, allo scopo di valutare la presenza, nella flora batterica dei viaggiatori, di geni per la resistenza antibiotica.
La ricerca ha confermato sperimentalmente, attraverso l’analisi di campioni fecali raccolti prima e dopo i viaggi, che in seguito al viaggio il microbiota dell’individuo si arricchisce di nuovi ceppi di batteri che cercano di farsi spazio tra i tanti microrganismi già residenti. E diversi fra questi batteri “colonizzatori” sono portatori di geni che li rendono resistenti a composti antibiotici.
Le macroregioni prese in considerazione come destinazioni di viaggio sono quattro: Asia meridionale, Sud-est asiatico, Africa settentrionale e Africa orientale. Non è un caso che i ricercatori abbiano scelto di monitorare aree ancora in via di sviluppo: in molti di questi Paesi, infatti, la povertà, la scarsità di adeguate misure sanitarie e il rapido mutamento dei metodi di produzione alimentare hanno creato, in breve tempo, le condizioni ideali per la proliferazione di batteri che, sottoposti a un uso sconsiderato dei composti antibiotici, hanno potuto sviluppare un ampio spettro di resistenza. È molto probabile, in queste condizioni, che i viaggiatori internazionali che visitano questi luoghi possano esporsi a una contaminazione e che, una volta tornati a casa, possano diffondere a loro volta i nuovi ceppi resistenti anche nel Paese d’origine.
Per identificare la presenza di ceppi batterici antibiotico-resistenti nei campioni fecali ottenuti, i ricercatori hanno sequenziato il DNA mediante un approccio metagenomico, che consiste nell’effettuare il sequenziamento dei microbi non attraverso la loro coltivazione in laboratorio, ma direttamente nel loro ambiente di proliferazione. Attraverso questa tecnica, è possibile individuare non solo i geni di resistenza antimicrobica già noti, ma anche quelli sconosciuti. Le analisi condotte sul microbiota dei 190 viaggiatori hanno rinvenuto 121 geni di antibiotico-resistenza, molti dei quali mai registrati prima.
Gli studiosi sottolineano come la quantità di geni resistenti riscontrata nei campioni raccolti dopo il viaggio è sensibilmente più alta: un dato che sembra indicare proprio il viaggio come causa dell’incremento di geni antibiotico-resistenti nella flora intestinale degli individui valutati. Dopo il viaggio, inoltre, è stato notato un aumento della α-diversità (la diversità interna a ogni microbiota intestinale) e, parallelamente, una riduzione della β-diversità (la diversità fra ecosistemi intestinali di più individui): ciò significa che, a livello regionale e, potenzialmente, anche a livello globale, si sta verificando una omogeneizzazione delle colonie batteriche intestinali, e quindi una diffusione trasversale di geni resistenti.
Superbatteri: una minaccia sempre più reale
La presenza di geni resistenti è un elemento da non sottovalutare anche alla luce della plasticità genetica dei microrganismi: nei batteri, come in molti altri procarioti, le barriere di specie sono molto più labili che negli eucarioti, e le informazioni genetiche possono essere trasmesse non solo per eredità verticale (da genitori a figli, di generazione in generazione), ma anche per trasferimento orizzontale. Ciò significa che un gene che garantisce la resistenza a determinati antibiotici può essere trasmesso non solo ai batteri della stessa specie della popolazione nella quale la resistenza si è sviluppata, ma anche a batteri di specie – e addirittura di generi – diversi. Ripetendo questo processo molte volte, non è difficile che si sviluppino superbatteri che presentano resistenze multiple, pressoché impossibili da debellare.
Fra i geni individuati nella ricerca ve ne sono alcuni che costituiscono un grave rischio per la salute umana, tra cui il gene mcr-1, che assicura ai batteri che lo acquisiscono la resistenza alla colistina, uno degli antibiotici più potenti ad oggi disponibili, e i geni che consentono ai batteri di produrre β-lattamasi, enzimi che neutralizzano gli antibiotici β-lattamici. Il gene mcr-1, frutto della variabilità genetica dei plasmidi, è il primo gene individuato che conferisce resistenza alla colistina, un farmaco che viene solitamente impiegato quando gli altri non hanno avuto effetto; ad oggi diffuso soprattutto nel Sud-est asiatico – in particolar modo, secondo i risultati dello studio, in Cina e in Vietnam –, questo gene potrebbe rapidamente diffondersi, anche a causa dei viaggi internazionali, ponendo seri problemi di salute pubblica su scala globale.
Monitoraggio e prevenzione
I viaggi internazionali e intercontinentali, insomma, non fanno che aumentare la possibilità che simili acquisizioni e rimescolamenti genetici si verifichino: «La nostra indagine – spiegano gli autori dello studio – indica che i viaggi internazionali costituiscono una significativa perturbazione del resistoma intestinale, e che questa circostanza mette in evidenza l’entità del fenomeno di acquisizione di geni resistenti». Il rischio, peraltro, è duplice, e riguarda sia i paesi d’origine sia quelli di destinazione dei viaggiatori, che potrebbero essere causa di scambi di geni fra microrganismi sia all’estero, sia al ritorno in patria.
La soluzione – in questo, come in molti altri casi – non può consistere nel correre ai ripari quando ormai è troppo tardi. Al contrario, è essenziale la prevenzione: come affermano i ricercatori, bisogna affrontare il problema alla radice, mettendo in atto piani per la riduzione del tasso di sviluppo della resistenza antibiotica (e, in generale, antimicrobica) nei Paesi dove, per le ragioni a cui si è accennato, tale fenomeno è più diffuso. Prevenzione, monitoraggio e studio: questa è la ricetta. Assistiamo all’emergere di un problema globale, a cui non si può che opporre una risposta altrettanto unitaria. Ancora una volta, la solidarietà internazionale sarà essenziale, per preservare il benessere di tutti.
(Con la collaborazione scientifica del dott. Andrea Menon)