SOCIETÀ

“Lodo Moro”: l’Italia ai tempi del terrorismo internazionale

Per “Lodo Moro”, stando alla definizione data da Francesco Cossiga, si intende comunemente quel rapporto di scambio e di tacita collaborazione tra governi italiani e terrorismo di matrice palestinese ai tempi della cosiddetta Prima Repubblica. Un capitolo della nostra storia recente del quale molto si è parlato e su cui ora getta luce un nuovo libro in uscita oggi, pubblicato per Laterza dalla storica Valentine Lomellini.

Il «lodo Moro». Terrorismo e ragion di Stato 1969-1986 mette a confronto diverse fonti estere e italiane, tra cui quelle declassificate negli ultimi anni dai governi Prodi e Renzi, per tracciare un quadro dal quale emergono qualche conferma e diversi elementi di novità. “Innanzitutto per la prima volta abbiamo, grazie a un'ampia documentazione storica, la prova che il Lodo è esistito – esordisce nell’intervista a Il Bo Live Valentine Lomellini, che all’università di Padova tiene un corso in Terrorism and security in international history –. Si trattò però un processo dinamico che si sviluppò dalla fine degli anni Sessanta fino alla metà degli anni Ottanta e che prevedeva un dialogo non solo con la resistenza palestinese, ma anche e soprattutto con gli Stati sponsor del terrorismo internazionale come Libia, Iraq e Siria. Più che di ‘Lodo Moro’ bisogna quindi parlare di ‘Lodo Italia’, nel senso di una politica sostenuta e incoraggiata dai rappresentanti delle nostre più alte istituzioni: politici ma anche funzionari e magistrati, sino alla presidenza della Repubblica”.

Intervista di Daniele Mont D'Arpizio; riprese di Giulio Bardelli e montaggio di Elisa Speronello

Un approccio che quindi non può essere ricondotto esclusivamente alla figura di Aldo Moro (del resto scomparso in modo prematuro quanto drammatico) ma che affonda le radici nel tradizionale filoarabismo di una parte importante della politica italiana del dopoguerra. A questo riguardo Lomellini distingue nel libro due macro-fasi: una prima dal 1969 al 1973, di carattere informale e gestita dai servizi segreti su iniziativa del ministero degli esteri e il sostegno dei dicasteri degli interni e di grazia e giustizia; una seconda, dal 1974, più formale, sviluppata direttamente dalla Farnesina con una certa compiacenza da parte del Quirinale. Già nell’autunno del 1971 comunque, in un documento scovato da Lomellini e proveniente dall’AIPE, l’Agenzia di informazioni politiche ed economiche che operava in seno al Viminale, si accenna che “A stare ad alcune indiscrezioni che circolano con una certa insistenza, una parte dei fondi segreti del Ministero degli Esteri (allora guidato da Moro, ndr) servono a finanziare le attività della Resistenza palestinese”.

A rappresentare il punto di svolta fu comunque il primo grande attentato all’aeroporto di Fiumicino, messo a segno il 17 dicembre 1973 da un commando di terroristi palestinesi e costato la vita a 29 persone. Nel corso delle indagini condotte dalla nostra intelligence divenne subito chiaro agli esponenti del governo, guidato allora da Mariano Rumor e con Aldo Moro nella veste di ministro degli esteri, la pesante implicazione della Libia di Gheddafi, salito al potere nel 1969 e subito atteggiatosi a difensore della causa palestinese. Eppure poche settimane dopo l’attentato, nel gennaio 1974, l’Italia ricevette con tutti gli onori il primo ministro libico Abdessalam Ahmed Jallud: “Invece di chiedere spiegazioni il governo adottò una politica diametralmente opposta di apertura – continua Lomellini –. Gli scopi erano sia quello di evitare nuovi attentati sul territorio italiano, sia di ottenere gli approvvigionamenti assolutamente necessari in quell'epoca di shock petrolifero globale”. Nell’ottobre 1973 infatti, in seguito alla guerra del Kippur, i Paesi dell’OPEC avevano aumentato il prezzo del petrolio del 70%, promettendo ulteriori ritorsioni fino a che Israele non avesse restituito tutti i territori occupati.

Più che di ‘Lodo Moro’ bisogna quindi parlare di ‘Lodo Italia’, nel senso di una politica sostenuta e incoraggiata dai rappresentanti delle più alte istituzioni

Da Fiumicino in poi i terroristi stranieri operarono in Italia in un regime di sostanziale libertà, se non con una vera e propria protezione da parte delle autorità, nonostante nello stesso periodo si continuasse a colpire obiettivi anche nel territorio nazionale. Come accade il 9 ottobre 1982 con l’attentato alla sinagoga di Roma, che lasciò a terra una trentina di persone e uccise il piccolo Stefano Gaj Taché. In un caso, ricostruito da Lomellini nel libro, per fornire una exit strategy ai terroristi furono coinvolti addirittura esponenti della magistratura e il presidente della Repubblica Leone, che nel 1976 graziò tre libici processati per possesso di documenti falsi e di armi e probabilmente coinvolti in un’azione diretta ad eliminare un dissidente in transito in Italia.

Un modo cinico di preservare i propri interessi che in quegli anni accomunò l’Italia ad altri Paesi europei: del resto anche i tedeschi avevano permesso ai tre attentatori superstiti delle olimpiadi di Monaco nel 1972 di scappare in Libia, così come i francesi avevano fatto partire su un aereo per il Kuwait i terroristi che avevano fatto irruzione nell’ambasciata saudita a Parigi il 5 settembre 1973. Per Lomellini “si trattò di una scelta eticamente discutibile ma sotto molti aspetti funzionale: sia perché il territorio italiano fu in parte preservato dalla violenza politica straniera, sia perché garantì la tenuta della politica estera ed economica del nostro Paese. Altra cosa ovviamente è il rispetto del diritto alla giustizia e alla verità soprattutto da parte delle vittime e dei loro familiari, che a differenza di quelle del terrorismo politico interno sono state completamente rimosse dalla memoria pubblica”.

Lo schema entra in crisi nel 1985, da una parte con il sequestro della nave italiana Achille Lauro e l’uccisione dell’ostaggio Leon Klinghoffer (7-10 ottobre), dall’altra con le 13 vittime e i 65 feriti del secondo attentato all’aeroporto di Fiumicino (27 dicembre). Pur di mantenere la propria libertà di azione il governo Craxi, con Andreotti ministro degli esteri, arrivò a Sigonella a scontrarsi direttamente con gli Stati Uniti di Reagan: qualcosa però si era rotto irrimediabilmente nelle velleità italiane. L’anno successivo Gheddafi sarebbe ancora riuscito a salvarsi dall’attacco mirato americano, forse grazie proprio a un avvertimento proveniente da Roma, ma da allora i governi repubblicani recepirono maggiormente il segnale di serrare le fila contro la minaccia proveniente dagli “Stati canaglia”.

Fino ai giorni nostri, in cui la causa palestinese è quasi scomparsa dalla scena internazionale e grandi sponsor del terrorismo come Iraq, Siria e Libia sono stati via via abbattuti o messi in forte difficoltà. Intanto negli ultimi anni è emersa una nuova forma di violenza, stavolta a matrice religiosa, che però al momento tra i grandi Paesi europei ha risparmiato proprio l’Italia. Esiste ancora oggi un “Lodo Moro” o qualcosa che gli assomigli? “Faccio la storica, non posso predire il futuro né analizzare il presente” premette sul punto Lomellini, che tuttavia appare possibilista: “Pur non avendo basi documentali, voglio essere ovviamente molto onesta in questo, è possibile ricondurre la politica del Lodo a un contesto più ampio, in un quadro più generale di collaborazione con i Paesi del Mediterraneo. Dinamiche e relazioni che possono senz'altro continuare anche oggi e che chissà, in qualche modo potrebbero averci protetto”. Fino a quando, e soprattutto a quale costo?

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