SCIENZA E RICERCA

Marmolada, tra 15 anni il ghiacciaio potrebbe non esistere più

Nel giro di meno di 15 anni il ghiacciaio della Marmolada potrebbe scomparire. Sopraffatto dalle conseguenze del cambiamento climatico, il gigante bianco delle Dolomiti ha già perso oltre l’80% del suo volume e nell’ultimo triennio il trend si è ulteriormente intensificato. Ad evidenziare la gravità della situazione sono le misurazioni annuali effettuate dai glaciologi dell’università di Padova che hanno mostrato come la perdita di superficie sia ormai arrivata a nove ettari all’anno. E la distesa di ghiaccio della cima più alta delle Dolomiti è adesso ancora più vulnerabile davanti alle alte temperature perché l’assottigliamento del ghiacciaio accelera lo scioglimento.

Quanto sta accadendo sulla Marmolada è tristemente in linea con i numeri che arrivano dall’intero arco alpino dove, secondo uno studio recentemente pubblicato su Nature Communications tra il 2000 e il 2014 i ghiacciai hanno perso un sesto del volume totale. In breve tempo quindi il paesaggio delle Alpi potrebbe cambiare radicalmente: roccia al posto del ghiaccio con conseguenti carenze nella disponibilità di risorse idriche e rischi a livello di stabilità dei versanti. 

Approfondiamo la situazione della Marmolada insieme a Mauro Varotto, responsabile scientifico del Museo di geografia dell’università di Padova e Aldino Bondesan, coordinatore delle campagne glaciologiche per il Triveneto. Entrambi sono docenti del dipartimento di Scienze storiche, geografiche e dell’antichità e, in particolare, Varotto ha condotto con Francesco Ferrarese le misure di superficie, mentre Bondesan ha effettuato le misure di volume in collaborazione con l'università di Parma. I dati che hanno raccolto ci permettono di fare delle stime sul futuro del ghiacciaio e lanciano un forte richiamo sulla necessità di azioni a contrasto del riscaldamento globale. La diminuzione delle emissioni di CO2 registrata durante i mesi in cui ampie aree del mondo erano in lockdown a causa della pandemia da Covid-19 ha rappresentato una buona notizia ma non è certo sufficiente per salvare i ghiacciai delle Alpi e l’esito della COP25 di Madrid del dicembre scorso non ha alzato l’asticella in termini di impegno da parte dei diversi paesi sul tema del clima. 

L'intervista ai professori Aldino Bondesan e Mauro Varotto sulle ultime misurazioni relative al ghiacciaio della Marmolada. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"L’università di Padova - introduce il professor Aldino Bondesan - ha condotto delle indagini sull’evoluzione del ghiacciaio della Marmolada, insieme al collega Roberto Francese dell’università di Parma. Sono state realizzate delle indagini in campo sia utilizzando droni e sistemi georadar che consentono di investigare il fondo del ghiacciaio, sia attraverso l’ausilio di metodi più tradizionali come la cartografia storica e le foto aeree, inserendole però all’interno di un sistema informativo geografico. Questo ci ha consentito di valutare i volumi del ghiacciaio nel corso dell’ultimo secolo e abbiamo osservato che la riduzione nell’arco di 105 anni è stata pari all’86% dell’intera massa glaciale. E’ un dato allarmante che ci fa pensare che il ghiacciaio sia destinato ad una riduzione estrema nel corso dei prossimi anni".

In termini numerici il ghiacciaio è passato dai 95 milioni di metri cubi del 1954 ai 14 milioni attuali. E i dati relativi alla superficie del ghiacciaio non sono più rassicuranti. "Nel corso di un secolo - entra nel dettaglio il professor Mauro Varotto - abbiamo assistito ad un dimezzamento, passando da 412 ettari nel 1905 a circa 200 ettari all’inizio degli anni duemila. Il ghiacciaio ha impiegato un secolo per perdere la metà della propria superficie e poi, negli ultimi 20 anni, la superficie rimasta si è ulteriormente dimezzata. Si tratta quindi di una progressione esponenziale che si ravvisa anche nella riduzione media annua in ettari: siamo infatti passati da una diminuzione di 3 ettari all’anno nel corso del Nocevento, dove dobbiamo considerare che si sono stati anche dei periodi relativamente freddi come negli anni ’50 e negli anni ’80 quando l’arretramento del ghiacciaio si era sostanzialmente fermato, a una successiva accelerazione notevole della perdita di superificie. Negli ultimi dieci anni abbiamo avuto una perdita di 5 ettari all’anno e se restringiamo lo sguardo agli ultimi tre anni vediamo che la riduzione annua è arrivata addirittura a nove ettari. Questa progressione ci ha fatto aggiornare le previsioni sullo scioglimento del ghiacciaio: se la riduzione fosse in media di tre ettari all’anno arriveremmo al 2060, se invece la tendenza attuale si confermasse nel futuro la Marmolada perderebbe completamente la superficie del suo ghiacciaio già tra il 2031 e il 2035. I dati delle misurazioni realizzate nel corso dell'ultima campagna glaciologica, realizzata in corrispondenza con la Carovana dei ghiacciai di Legambiente, ci hanno così portato a lanciare questo grido d'allarme". 

Per sensibilizzare i cittadini nei confronti degli effetti del cambiamento climatico il Museo di geografia ha deciso di aprire al pubblico la partecipazione alle campagne glaciologiche. Ogni anno, sul finire del mese di agosto, è possibile prendere parte alle misurazioni del ghiacciaio della Marmolada, con attività diversificate a seconda del livello di esperienza escursionistica. 

"Come Museo di geografia - spiega il direttore scientifico Mauro Varotto - abbiamo investito molto su questo tema perché è di grandissima attualità e si riallaccia anche alla tradizione storica di misurazione della Marmolada che ha nel nostro istituto uno dei punti di riferimento, partendo dalle prime osservazioni effettuate sul finire dell’ottocento da Giovanni Marinelli per arrivare ai vari rilevatori che si sono susseguiti fino ad oggi. Il Museo ricorda questa tradizione di studi e di ricerche ma ha anche la missione di coinvolgere, attraverso un’operazione di partecipazione alla campagna glaciologica, chi è interessato ad osservare da vicino questi cambiamenti. Da due anni abbiamo infatti aperto al pubblico i lavori di misura e abbiamo constatato un grande entusiasmo, le persone sono molto interessate e spesso sono anche molto preparate da punto di vista escursionistico perché frequentano ambienti di alta montagna e tornano da questa esperienza con un importante bagaglio di conoscenze. Quest’anno Legambiente si è unita all’iniziativa ma di fatto il Museo aveva già cominciato ad intraprendere questa campagna di sensibilizzazione pubblica".

Il professor Aldino Bondesan si è poi soffermato sul ruolo delle sostanze inquinanti sottolineando come il taglio delle emissioni globali di anidride carbonica, legato alle misure di lockdown messe in atto dai governi per contrastare la pandemia di Covid-19, abbia rappresentato un fattore positivo che però da solo non può certamente risolvere gli effetti della crisi climatica. "Abbiamo assistito ad una riduzione delle emissioni di CO2 - approfondisce il docente del dipartimento di Scienze storiche, geografiche e dell'antichità - ma evidentemente non è sufficiente ad invertire il trend. A proposito delle emissioni di CO2 è importante osservare come oggi siano stati raggiunti dei valori pari alle 400 parti per milione, numeri che non erano mai stati registrati nella storia della Terra nel corso degli ultimi 800 mila anni. Questo possiamo saperlo attraverso i carotaggi condotti in Antartide, dove l’Italia ha avuto un ruolo fondamentale con il Programma nazionale di ricerche in Antartide. Vediamo che nell’alternarsi dei periodi glaciali, che durano mediamente 100 mila anni, e dei periodi interglaciali questi valori non sono mai stati raggiunti in precedenza. Ci troviamo quindi in una condizione in cui la Terra, almeno nell’ultimo milione di anni, non si è mai trovata. Per quanto riguarda le previsioni che possono essere fatte se anche oggi invertissimo il trend delle emissioni, e questo naturalmente è nei programmi della comunità mondiale, avremmo bisogno di un certo tempo perché vi sia una risposta da parte dei ghiacciai. Tra l’altro i tempi di reazione sono diversi: le grandi calotte glaciali come l’Antartide e la Groenlandia risentono un po’ meno velocemente dei cambiamenti climatici, anche se delle modificazioni sensibili sono in atto. Sono invece i ghiacciai alpini cioè i piccoli ghiacciai a reagire molto rapidamente. In questo senso la Marmolada è particolarmente importante perché per la sua configurazione, mancando di un bacino di alimentazione a monte, è in grado di reagire con molta velocità. E’ una sorta di termometro naturale istantaneo e le variazioni climatiche, anche di breve termine, provocano un’immediata reazione del sistema glaciale".

La situazione osservata sulla Marmolada non è isolata in quanto il fenomeno dei ritiro dei ghiacciai si sta ormai verificando in tutta l'area alpina. E le conseguenze non riguardano solo la perdita di identità di luoghi iconici come i grandi ghiacciai delle nostre montagne ma implicano anche rischi per il territorio e minore disponibilità di risorse idriche. "Il quadro - conferma il professor Bondesan - è fosco: ogni anno quando con i colleghi dobbiamo redigere la campagna glaciologica e quindi illustrare i risultati che vengono pubblicati osserviamo una riduzione generalizzata di tutti i ghiacciai delle Alpi. Oggi sono monitorati circa 200 ghiacciai e 120 sono quelli per i quali vengono effettuate le misure. Tutti sono soggetti a ritiro e mediamente il ritiro è sui dieci metri alle fronti ma abbiamo valori che possono raggiungere anche le centinaia di metri, come accaduto per esempio l’anno scorso sul Monte Rosa dove abbiamo registrato ritiri anche superiori ai 300 metri".

Il problema della riduzione delle masse glaciali ha ripercussioni anche sul territorio circostante. "Abbiamo un’esposizione sempre maggiore di rocce e detriti - approfondisce Aldino Bondesan - i detriti sono soggetti a crolli o all’apertura di finestre rocciose e, come abbiamo anche visto recentemente nella cronaca nazionale, possono verificarsi anche fenomeni di crolli di masse di ghiaccio che possono rappresentare un pericolo per chi vive a ridosso dei ghiacciai. Un altro fenomeno che si è manifestato più volte negli anni scorsi è il rischio di sfondamento dei laghi proglaciali con possibilità di inondazioni. Abbiamo quindi una serie di problemi a livello di sicurezza delle aree montane e contemporaneamente, soprattutto nelle Alpi centrali e occidentali, abbiamo anche una forte riduzione delle risorse idriche. Da questo punto di vista benché rispetto alla neve o alle precipitazioni piovose i ghiacciai non costituiscano la risorsa principale sono comunque una fonte molto importante perché consentono una ridistribuzione delle acque di fusione durante l’estate, che è il momento più critico, e permettono di tenere vivo il deflusso fluviale e rialimentare, almeno parzialmente, le falde in pianura ed è quello che aiuta nella compensazione di volumi idraulici che sono trasferiti dalla montagna".

Un altro punto su cui i glaciologi richiamano l'attenzione è la necessità di ripensare le nostre pratiche turistiche in un’ottica di sostenibilità. "Fino al 2005 sul ghiacciaio della Marmolada si sciava anche d’estate", ricorda Mauro Varotto. "Poi a seguito delle proteste, perché si andava ad erodere ulteriormente l’apparato di neve residua per spalmarla sulla pista da sci, si è arrivati alla chiusura del turismo estivo. Ci sono però alcuni ghiacciai, ad esempio delle Alpi occidentali e centrali, in cui si scia ancora d’estate. Probabilmente dobbiamo cominciare a pensare che, nel loro piccolo, anche queste attività sono dannose per il mantenimento della neve rimasta nel periodo estivo. Poi a volte sui giornali si legge che i teli salva neve proteggono il ghiacciaio: a tale proposito dobbiamo mettere in chiaro che questi teli che hanno una superficie relativamente irrisoria rispetto a quella molto più ampia del ghiacciaio servono semplicemente a proteggere la neve per la pista da sci. In generale non dobbiamo dimenticare che tutti noi abbiamo contribuito e contribuiamo con la nostra impronta carbonica a questi effetti sui ghiacciai. Ad esempio, una dieta che prevede un elevato consumo di carne è molto più energivora e dissipativa dal punto di vista delle emissioni e dell’aumento della CO2 planetaria. Non dobbiamo pensare che per salvare il ghiacciaio debbano intervenire solo le amministrazioni locali. Il ghiacciaio è il termometro, la sentinella di un comportamento generale che non è più sostenibile e porta a delle conseguenze gravi non solo sul ghiacciaio stesso ma anche su tutto il clima, compresi gli eventi estremi che vediamo ripetersi sempre più frequentemente”, conclude Varotto. 

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