CULTURA

"Natura in posa" e il fascino dell'illusione

L'opera che dà il benvenuto al visitatore, all'ingresso della prima sala espositiva, si intitola La vanità della ricchezza o l'avaro malinconico (1585 circa), l'autore è Lodewijck Toeput, detto Pozzoserrato. Per arricchire la sua formazione, l'artista si spostò dalle Fiandre a Venezia, e infine si fermò a Treviso. Affascinato dal tema del paesaggio, scelse di calare il suo dipinto nello scenario delle Prealpi venete e qui ambientò la parabola del Ricco stolto: appoggiato a una tavola splendidamente apparecchiata, con un trionfo di frutta, l'uomo viene colto nell'attimo di riflessione malinconica sulla transitorietà delle cose umane. Non è l'opera più bella, ma gioca un ruolo strategico, perché sintetizza e introduce il tema scelto per la nuova mostra Natura in posa del Museo di Santa Caterina di Treviso, anticipandone il messaggio più profondo legato all'illusione e alla caducità. 

Composizioni di fiori e frutta, sontuose tavole imbandite, mercati della carne e del pesce, le stagioni, i ritratti di interni, scene di caccia, con attrezzi venatori e selvaggina, vanitas popolate da teschi, strumenti musicali, libri, globi, orologi, clessidre (a segnare lo scorrere del tempo) sono i soggetti dei quadri di natura morta, scelti per raccontare una quotidianità che, in realtà, si rivela un inganno: dietro all'apparenza, infatti, si nasconde una riflessione costante sulla fugacità delle cose terrene. Le nature morte rappresentano oggetti, animali e fiori familiari a tutti noi e che, tuttavia, non conoscono decadenza – spiega Francesca Del Torre, curatrice del Kunsthistorisches Museum di Vienna e dell’esposizione trevigiana con Gerlinde Gruber e Sabine Pénot – Esse ingannano l’osservatore, stimolandone allo stesso tempo la riflessione sulla transitorietà della vita. In questo risiede il loro fascino”.

Sviluppatosi pienamente tra la fine del Cinquecento e lungo tutto il XVII secolo, il genere pittorico della Natura morta, lo still life, fonda le sue origini già nell'antichità (con il tema decorativo del "pavimento non spazzato"), conquista poi l'attenzione dei Bassano, nel Veneto, fino ad assurgere al rango di rappresentazione autonoma intorno al Seicento nei Paesi Bassi, dove raggiunge la massima realizzazione. Ora, in occasione di questa mostra al Museo di Santa Caterina, oltre 50 capolavori provenienti dalla collezione del Kunsthistorisches Museum di Vienna sono presentati per la prima volta in Italia: gli spazi trevigiani accolgono opere di Francesco Bassano, Jan Brueghel, Pieter Claesz, Willem Claesz Heda, Jan Weenix, Gerard Dou, Evaristo Baschenis, Gasparo Lopez dei Fiori, Elisabetta Marchioni.

Tra le opere più belle in mostra, si possono ammirare l'Estate di Francesco Bassano (1585-1590), sistemata nella sezione dedicata ai mercati, il Medico di Gerard Dou (1653), allievo di Rembrandt, in cui il soggetto principale diventa l'uroscopia, ovvero la pratica dell'ispezione delle urine utilizzata in passato da ciarlatani per diagnosticare ai pazienti un malanno o una gravidanza. E ancora, il Mazzo di fiori in un vaso blu (1608 circa) di Jan Brueghel il Vecchio, tra i principali artefici dello sviluppo della natura morta floreale come genere autonomo: il dipinto offre un trionfo di 31 specie di fiori, ognuna con una fioritura diversa, qui la fedeltà alla natura è inscenata con incredibile maestria artistica.

A chiudere il percorso, al piano superiore del museo, è un focus dedicato alla fotografia contemporanea. “Lo still life – spiega Denis Curti, curatore di questa sezione – è un genere fotografico che continua a registrare un crescente interesse e che, con la tecnologia digitale, è addirittura esploso. La selezione di immagini in mostra è lo specchio di questa passione ed è il riflesso di una modalità fotografica che intende avvicinarsi agli stessi sentimenti delle pratiche pittoriche".

Si passa, così, dalle vanitas che ingannano di David LaChapelle, con le composizioni floreali di fiori appassiti che diventano simboli di decadenza, ai reportage di Martin Parr dedicati all'omologazione del trash food e del cattivo gusto nello scenario del consumo di massa; dagli audaci e sensuali fiori di Robert Mapplethorpe ai flowers di Nobuyoshi Araki, di una bellezza da contemplare. Fino alla serie dedicata alle zuppiere di Franco Vimercati, all’idea di classicità pittorica di Hans Op De Beeck e al progetto Herbarium di Nino Migliori, forse il più affascinante di questa piccola sezione, in cui viene associato il tema della natura morta a quello della caducità della fotografia stessa, intesa come materia che assorbe luce e riflette le forme del mondo. 

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