SOCIETÀ

La nuova età della militarizzazione

Non c’è solo l’aumento dei budget della difesa, che tempo fa ha spinto la Germania verso un piano di spesa da almeno 100 miliardi (che peraltro potrebbero non bastare): da più parti si torna addirittura a parlare di leva obbligatoria, come annunciato dalla Svezia nel 2017 per rispondere alle minacce strategiche provenienti dalla Russia. “Quella che stiamo vivendo è una nuova età della militarizzazione, che sfugge ancora alla comprensione dei decisori politici e dei media italiani ma che emerge sempre più chiaramente nel dibattito internazionale”, spiega Marco Mondini. Una tendenza che, secondo lo storico della guerra dell’università di Padova, risale a ben prima della guerra in Ucraina: “Almeno al 2007, quando alla conferenza sulla sicurezza internazionale di Monaco Putin pronuncia un discorso che segna gli equilibri internazionali rilanciando la corsa agli armamenti. Nel 2014 diventa poi chiaro a tutti che la nuova aggressività della Russia non è esclusivamente una paranoia della Polonia o dei Paesi Baltici”.

Con l’annessione della Crimea la Nato comincia dunque a organizzare e in seguito a schierare i cosiddetti gruppi di battaglia multinazionali, a cui partecipano anche contingenti dell’esercito italiano “e che a tutt’oggi – continua Mondini, che sulla situazione in Ucraina ha recentemente organizzato un seminario – anche se con numeri abbastanza ridotti, rappresentano un primo argine strategico ma soprattutto politico e simbolico sul fianco dell’Alleanza”. Seguono poi le esercitazioni condotte dall’Alleanza nell’Europa orientale, ma non è ‘l’abbaiare della Nato alla porta della Russia’ a convincere Putin a una decisione probabilmente già presa tempo prima. Semmai gli errori sono stati fatti con l’invasione dell’Iraq, ma il dato principale è il ritorno della Russia alle ambizioni imperiali, “orchestrato dal presidente russo per motivi di politica interna, quando decide di disintegrare quello che rimane delle istituzioni democratiche russe per implementare una forma di autocrazia personale”


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Quali altre reazioni ha comportato negli anni la nuova minaccia a est?

 “Se in Italia si leggesse un po’ di stampa estera si vedrebbe come proprio a partire dal 2007 persino Paesi tradizionalmente pacifici o neutrali comincino a preoccuparsi seriamente: tra il 2013 e il 2014 Finlandia, Austria, Danimarca e Svizzera decidono, con referendum o con decisioni comunque fortemente appoggiate dall’opinione pubblica, di mantenere la leva obbligatoria. Un dato stupefacente se si considera che nel quindicennio precedente l’Europa aveva conosciuto una profonda demilitarizzazione, con la dismissione degli arsenali pesanti e la forte riduzione degli effettivi. Apparati ad altissimo livello tecnologico e di addestramento, ideali per intervenire al di fuori dal territorio nazionale in situazioni come lotta al terrorismo, peace-keeping e peace-enforcement, ma sostanzialmente inadatti alla difesa del territorio nazionale”.

Strumenti probabilmente adeguati al tipo di conflitti che ci si aspettava in quegli anni.

“Attenzione però: la guerra del ventunesimo secolo è per definizione multidominio, nel senso che ai normali domini dei conflitti convenzionali – terra, mare e cielo – vanno aggiunti lo spazio e internet. Gli eserciti di cui disponiamo oggi, per quanto professionali e superaddestrati, potrebbero non avere risorse sufficienti per combattere questo tipo di guerra, in parte per la cronica mancanza di volontà politica in Europa di considerare un problema che poi è l’elefante nella stanza: il budget per gli armamenti. Nei prossimi anni però anche i Paesi europei dovranno arrivare almeno al 2% del bilancio in spese militari, a meno ovviamente di rinunciare a ogni forma di politica di sicurezza”.

Perché gli Stati Uniti devono sempre tenere alta la guardia mentre gli europei si considerano un popolo di pacifici consumatori?

La prospettiva è dunque quella di un ritorno agli eserciti di leva?

“È inimmaginabile oggi pensare ad eserciti da centinaia di migliaia di najoni male addestrati, da schierare magari a difesa di confini nazionali che non esistono più. È però interessante che in molti Paesi europei, in particolare in Francia in Germania, si discuta in maniera accesa della partecipazione dei cittadini alla difesa comune. In Germania è stato il neoministro della Difesa, Pistorius, a sollevare il problema, mentre in Francia si è evocato a più riprese (da ultimo, il presidente Macron nel suo messaggio di saluto alle Forze Armate) il termine forze morali”.

Cosa intendono?

“Ad esempio hanno appena portato a termine delle grandi manovre in cui per la prima volta sono stati richiamati i riservisti. In generale in Francia si discute se si debba necessariamente ritornare a una qualche forma di nesso tra cittadinanza individuale e difesa della comunità, all'idea che non si possa semplicemente infischiarsi del problema della sicurezza collettiva, come se i cittadini usciti dalla Rivoluzione fossero diventati semplicemente dei consumatori”.


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Bisogna dunque tornare a includere la guerra, ovviamente difensiva, nel nostro orizzonte etico, come suggerisce Vittorio Emanuele Parsi in un’intervista a Il Bo Live?

“Un autore importante come James J. Sheehan parla di ‘età post-eroica’, concetto che nasce sul terreno dell’analisi strategica americana e viene spesso usato in senso denigratorio o ironico nei confronti degli europei. L'idea, molto neocon se vogliamo ma condivisa non solo trasversalmente dall’elettorato ma anche dai presidenti americani, è che non si capisce perché gli Stati Uniti debbano sempre tenere alta la guardia militare mentre gli europei possano permettersi di considerarsi un popolo di pacifici consumatori, magari facendo anche la morale. Oggi possiamo dire che l'età post-eroica è finita: non l'anno scorso ma da alcuni anni, solo che non ce ne vogliamo ancora rendere conto. L'idea che l'Europa possa sopravvivere come una sorta di grande Svizzera moltiplicata per 20 – a parte che comunque la Svizzera non scherza quanto a budget per la difesa – non sta in piedi”.

Tornare ad armarsi non significa però tradire le nostre radici democratiche?

“Non direi proprio.  I padri fondatori non pensavano certo a un’Europa completamente disarmata e indifesa. Quando ad esempio ci stupiamo del ‘riarmo’ tedesco dimentichiamo a che punto era arrivata la demilitarizzazione dell’Europa. Secondo le elaborazioni della Banca Mondiale dei dati del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) all’inizio degli anni ‘60 Germania e Italia impiegavano tra il 3 e il 5% del proprio bilancio in armamenti; nel 2020 la Germania investiva in difesa appena l’1,3%. Certo hanno pesato la distensione ma anche le identità storiche: pensiamo a quanto pesa ancora nella mentalità tedesca la questione della Schuldfrage, del senso di colpa per la seconda guerra mondiale.”.

Una politica di sicurezza europea deve per forza coinvolgere gli Stati Uniti?

“È evidente che un progetto di sicurezza comune non può sopravvivere al di fuori della struttura Nato. Anche se gli europei iniziassero improvvisamente a spendere il decuplo in difesa ci vorrebbero comunque anni per costruire un arsenale di deterrenza credibile, senza contare gli aspetti tecnici e operativi: addestramento, comandi integrati, costruzione di brigate multilivello e multiarma…”.

E l’Italia?

“Quanto a budget non siamo tra i Paesi messi peggio ma dovremo comunque aumentare gli stanziamenti dello 0,4-0,5% del Pil. Da noi già a partire dal 2015 gli investimenti in difesa e armamenti sono ripresi, in larga parte perché lo strumento militare italiano era in fase di ripensamento: mancano però un numero sufficiente di riservisti e soprattutto la consapevolezza che il mondo sta cambiando, sia nella classe politica che nei media, e di conseguenza anche nell’opinione pubblica. Che è completamente digiuna di questioni militari e strategiche, convinta che basti volere la pace per ottenerla. Facciamo finta che il problema non esista ma in realtà rischia di venirci comunque addosso: il timore è che arriveremo a discuterne troppo tardi e con un personale politico impreparato, al governo come all'opposizione”.

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