Ogni fase della vita è costituita da emozioni: tristezza, gioia, rabbia o agitazione ci pervadono in modo altalenante in base al periodo che stiamo vivendo. La musica, come le altre forme d’arte, è un linguaggio che ci consente di vedere espresso ciò che proviamo ogni giorno: l’adrenalina, il brivido lungo la schiena, l’angoscia o l’allegria che le canzoni ci infondono riflettono i nostri più segreti stati d’animo. Eppure, come ogni tipo di linguaggio, anche la musica può comunicare un messaggio differente ad ogni singola persona e suscitare effetti diversi nella sua psiche.
Da lungo tempo gli studiosi si interrogano su come la musica agisca sul cervello e si domandano per quale motivo a ciascuno di noi piacciano generi musicali diversi. Si è osservato che la musica agisce sul nostro sistema nervoso, rilasciando dopamina: quest’ultima comunica con i neuroni e produce benefici nel movimento e nell’attenzione, attiva sensazioni quali piacere o repulsione ed aiuta a conciliare il sonno. Dunque, è da questo processo cerebrale che si genera la risposta emotiva che deriva dall’ascolto della musica.
Ma ogni persona è diversa dall’altra, e diverso è anche il modo in cui il cervello di ognuno reagisce a determinati stimoli: ecco perché apprezziamo stili musicali differenti.
David Greenberg, studioso presso l’università di Cambridge, ha dimostrato come le discordanze tra i gusti musicali di ciascuno potrebbero dipendere dalle differenze tra un cervello più incline alla sistematizzazione ed uno più improntato all’empatia e alla relazione con l’altro.
Il test consisteva nell’osservare le reazioni agli stimoli musicali di un grande numero di persone, le quali dovevano esprimere le proprie preferenze su una grande quantità di generi musicali. Si è notato che chi ha più spiccate capacità empatiche preferisce tendenzialmente musica più morbida e semplice: pop, rock, blues o latina; chi invece ha una mente più sistematica e rigorosa è orientato maggiormente verso musica più complessa e cervellotica o caratterizzata da vivacità e leggerezza.
Sempre all’università di Cambridge un’altra ricerca ha associato i diversi gusti musicali a tratti specifici della personalità di ciascuno.
Jason Rentfrow ed altri studiosi hanno notato come conoscere la musica che un’altra persona ascolta significa imparare a comprenderne il carattere e la sfera emotiva. Essi hanno elaborato il modello Music, che prende il nome dalle iniziali dei cinque stili musicali che lo costituiscono. Chi è più romantico preferisce canzoni “melodiose” (mellow), come il pop, mentre chi è più tranquillo e rilassato è più incline ad uno stile “senza pretese” (unpretentious), di cui fanno parte il country o il rock-n-roll. La musica “sofisticata” (sophisticated), invece, è associata a persone dotate di apertura mentale ed elevate capacità relazionali, mentre la musica “intensa” (intense) come il rock ed il punk rappresenta per lo più persone in cerca di emozioni forti e in una certa misura ostili all’ambiente circostante. Infine, chi ricerca felicità e spensieratezza nella musica meglio si accorda con uno stile “contemporaneo” (contemporary), moderno e dal ritmo incalzante, come il Rap o l’elettronica. Così la musica diventa uno strumento per conoscere l’altro, per comprenderne le emozioni e la personalità: essa, infatti, va oltre le parole, e lì dove non arriva il dialogo ci viene in aiuto, mettendoci in relazione con una sfera emotiva anche molto diversa dalla nostra.
Tuttavia, le ricerche degli studiosi sono andate anche in direzioni diverse: fattori esterni, infatti, possono determinare differenze nei gusti musicali, che mutano in una stessa persona in base al momento della vita che sta vivendo. Se ci troviamo in una fase di tristezza ricerchiamo canzoni allegre, per evadere dalla nostra situazione e trovare nella musica il conforto e la tranquillità che desideriamo; se, invece, vogliamo dare un senso a ciò che stiamo provando tendiamo ad assecondare la nostra tristezza con musica angosciante, per non sentirci soli nel nostro dolore. Ciò che ascoltiamo in un determinato periodo potrebbe non corrispondere a ciò che ci piacerà in futuro, perché stiamo vivendo esperienze diverse o perché siamo cresciuti, e con la nostra età sono cambiati anche i nostri gusti musicali.
Alcune ricerche, infatti, hanno evidenziato come la musica che ci piace muta anche in relazione alla tappa della vita in cui ci troviamo. L’adolescenza e l’età adulta sono due momenti molto diversi tra loro, in cui cambia il nostro atteggiamento verso gli altri e il modo in cui vediamo noi stessi. È ciò su cui si soffermano ancora una volta Jason Rentfrow ed il suo team.
Per loro ci sono tre diverse fasi nell’evoluzione dei gusti musicali: la prima è quella dell’adolescenza, in cui si predilige musica “intensa”, punk o metal, perché i suoni distorti e l’aggressività che la caratterizzano assecondano il desiderio di ribellione e la volontà di contrapporsi ai genitori che caratterizza i ragazzi. Dopo i vent’anni le cose cambiano: si diventa soggetti autonomi, e si sente l’esigenza di essere amati per ciò che si è. Ci si avvicina così ad una musica più “melodica”, suadente, come la musica contemporanea ed il blues, più adatte a riflettere il desiderio di intimità e l’esigenza di creare nuove relazioni. Con la mezza età, infine, aumentano le sfide richieste all’individuo nella famiglia ed in ambito lavorativo: perciò si ricercano tranquillità e relax, e si predilige musica più rilassata, come il jazz o la musica classica.
Ma oggi forse, ad influenzare ancor di più i nostri gusti musicali, sono le mode e le tendenze dettate dallo streaming e dai social media. Infatti, Per giudicare una canzone si tiene in grande considerazione l’immagine che un artista vuole dare di sé: come si legge in un articolo di The Conversation, se ci si sente affini a come il cantante appare allora lo si ama di più, insieme alla sua musica.
Come riporta sempre The Conversation, uno studio su 765 milioni di canzoni ascoltate in streaming mostra altri motivi per cui mutano le preferenze musicali: l’ora del giorno in cui si ascolta la musica, per esempio. Le persone ascoltano canzoni più intense di giorno e più rilassanti di notte, mentre chi resta sveglio più a lungo tende ad ascoltare musica più tranquilla. Anche il fattore territoriale incide particolarmente: si è notato che la musica dell’America latina provoca reazioni più rapide, mentre le canzoni asiatiche sono tendenzialmente più rilassanti.
Da notare, infine, è il ruolo fondamentale che la musica ricopre come parte integrante della storia di una società. L’arte, infatti, riflette il nostro mondo e ciò che caratterizza il contesto sociale e culturale in cui siamo immersi. Quando una forma d’arte sa cogliere i tratti essenziali di un contesto diviene parte della sua storia, acquisendo così i caratteri di universalità e immortalità. È così che si distinguono le canzoni che fanno tendenza e poi scompaiono, e quelle che restano scolpite nella memoria, rispecchiando i gusti musicali di un enorme numero di persone indipendentemente dal luogo o dal periodo in cui vivono. Per il giornalista musicale Paolo Giaccio, in un’intervista per il Messaggero Veneto, ciò che rende immortale un brano è il tempo: è quando una canzone diviene parte integrante del nostro vissuto, quando ascoltandola ci sopraggiungono ricordi e suggestioni di un passato lontano che una canzone diventa etern a.
Quest’ultima racconta una storia, la nostra, meglio di qualsiasi altra forma di comunicazione, perché ne esprime la sensibilità più profonda.
Dunque, sì, la musica è un linguaggio, e vari sono i messaggi che comunica: ci aiuta, magari, a comprendere il modo di pensare o la personalità di qualcuno, ci guida nella lettura della storia di un secolo o di una società. Le note ed il testo di una canzone contengono un mondo tutto da scoprire, che si apre a noi solo se siamo aperti e disposti a farci coinvolgere in questa straordinaria forma d’arte.