CULTURA

Pellegrini dell'Universo

Il punto più remoto della Terra, almeno per noi esseri umani, è un cimitero di relitti spaziali. Lo chiamano Punto Nemo, in onore al capitano di ventimila leghe sotto i mari, e si trova da qualche parte nell’Oceano Pacifico. È lì che mandiamo a morire i resti invecchiati della nostra migliore tecnologia, inabissandoli a quattromila metri di profondità e a 2688 km di distanza dalla terraferma più vicina.

E adesso ditemi se anche voi non siete già con le dita sulla tastiera a cercarlo su Google: Immagini, Mappe ed Earth. Ecco, il libro di Piero Bianucci, che lo sapevamo già essere un maestro del racconto di scienza, fa questo effetto qui per quasi quattrocento pagine. Si intitola “Pellegrini dell’Universo. L'uomo nello spazio tra esplorazione e turismo” (Solferino editore, 2022) e ha in copertina l’immagine di un signore coi baffi seduto su una valigia appoggiata sul suolo marziano. Dalia, che ha due anni e mezzo e per colpa di sua madre ha già una certa dimestichezza con le cose astronautiche, ha detto che si tratta di un amico di mamma in giro per lo spazio. Perché no.

Il catalogo dei viaggi spaziali

Peraltro, anche il fatto che abbiamo Google Earth non è una ovvietà: noi esseri umani siamo “nati per esplorare”, come si intitola il primo capitolo del libro, e da sempre cerchiamo il modo di rappresentare i territori in cui ci muoviamo, o vorremmo muoverci. Bianucci parte da lì per portarci ad “abitare l’altrove” (capitolo secondo), e ci racconta per filo e per segno com’è che siamo partiti per esplorare lo spazio. Regalandoci un sacco di perle. Per esempio, vi siete mai chiesti perché all’inizio della storia del volo, su ogni nuovo mezzo di trasporto ardimentoso, prima degli esseri umani, abbiamo imbarcato pecore, galli, topi, cani, scimmie… ma quando poi si è trattato di andare sulla Luna i primi esseri viventi sono stati tre uomini? La storia è raccontata con l’aiuto dello psichiatra Vittorino Andreoli (anche direttore della collana in cui esce questo libro), che nel 1968 fu tra i protagonisti della storia insieme ad alcuni scimpanzé astronauti di Alamogordo. La recensora non svelerà come e perché, ma vi assicura che la vicenda è interessante e quasi nodale per il nostro racconto, perché segna l’inizio di un’esplorazione spaziale che da quel momento in poi non poteva prevedere sperimentazione se non umana

La parte migliore del libro è il catalogo dei viaggi spaziali, e di chi ha finora potuto permetterseli. A parte le gite “facili” e “quasi facili”, a gravità ridotta o per viaggi ultrarapidi (ai quali, si scopre, sta lavorando il distretto aerospaziale campano), e a parte il megalomanico azzardo del vecchio Concorde che fu il primo (carissimo) aereo supersonico per il volo civile, sono già possibili turismi mordi e fuggi dalle parti della linea di Kàrmàn, che convenzionalmente separa noi dallo spazio.  Oggi sostanzialmente se la giocano le compagnie private di Richard Branson (Virgin Galactic, che poi sarà la prima compagnia a servirsi del nuovo astroporto di Grottaglie), Jeff Bezos (Blue Origin) ed Elon Musk (Space X): i tre nel corso del 2021 hanno ingaggiato una corsa che è stata vinta nell’ordine in cui li abbiamo scritti (Branson, Bezos, Musk), con alcune differenze in termini di spettacolo, di costi, di composizione delle comitive. Ma soprattutto per le prospettive future e le ambizioni spericolate seppur sempre più concrete, campo in cui Musk non lo batte nessuno.

Chi è il primo turista spaziale?

E allora eccoci nel settore del turismo spaziale, l’ambito più visionario, e divertente, dell’intera Space Economy. Pronti alle sorprese? La storia dell’apertura della Stazione spaziale internazionale a un uso commerciale racconta un mondo un po’ diverso dalle attese, con l’agenzia spaziale russa Roscosmos che per motivi economici si apre al libero mercato già negli anni novanta, e l’americana Nasa che tentenna. La recensora non se ne ricordava per niente, ma nel 1996 due cosmonauti (ovviamente, russi) gonfiarono il modello di una lattina della Pepsi durante un’attività extraveicolare per permettere di girare uno spot pubblicitario. E in epoca più recente la Iss, sempre da parte russa, si è trasformata in un set cinematografico. Gli americani stanno per farlo (arriverà Tom Cruise in persona per una produzione hollywoodiana), e non mancherà un reality show di Discovery Channel che metterà alla prova dieci aspiranti astronauti (ovviamente, privati e non selezionati dalle agenzie spaziali). 

Va detto che gli americani hanno avuto una partenza complicata. Negli anni ottanta, per riaccendere l’attenzione del pubblico sui voli spaziali, che a quel punto per lui non erano più una grande ed eccitante novità ma piuttosto una costosa e incomprensibile operazione di routine, la presidenza americana decise con la Nasa di aprire anche ai “laici”. E imbarcò la prima insegnante spaziale, che avrebbe dovuto fare lezione da lassù. Lei si chiamava Christa McAuliffe e morì nell’incidente del Challenger. Era il 1986. Una tragedia, e comunque anche una pessima pubblicità.

Così il primo giornalista nello spazio (1990) non fu americano ma giapponese, e non salì con uno Shuttle ma con una Soyuz, e andò ad alloggiare nella Stazione russa Mir. Per i primi veri turisti bisogna aspettare gli anni duemila, e lì sì che ricompaiono gli americani, sebbene con prudenza. Bianucci li racconta uno a uno, e ne descrive a uno a uno le storie: tra questi troviamo anche la prima donna, e prima iraniana, il due volte turista, quello che se lo chiami “turista” si arrabbia, il giocoliere miliardario e così via. E scopriamo che il destino della Stazione spaziale internazionale, che è in orbita ormai da vent’anni e probabilmente ha ormai gli anni contati, potrebbe essere quello di diventare un hotel spaziale, o un laboratorio aperto al libero mercato. 

E la Luna? Sì, ci torneremo

Cioè: ci torneranno, gli americani. La missione Artemis, affidata in parte alla Space X di Musk, porterà presto un equipaggio sulla Luna. Saranno una donna e un uomo di colore, ed è questo l’aspetto più importante della missione, quello simbolico e politico, compensatorio di decenni di missioni di “volo umano”, dove “umano” significava solo maschio e bianco. Il secondo aspetto più importante è quello del capitale privato. Il resto, la tecnologia e la scienza, potete continuare a leggerli in secondo piano, anche perché dagli anni sessanta, in questo, non ci sono state sostanziali novità.

Sulla Luna costruiremo una (almeno, una) base, e ci sarà una stazione intermedia (Gateway) che sarà u po’ cantiere e un po’ panchina tra le stelle, e da lì si godrà di un panorama spaziale, e il vero spettacolo sarà la Terra. Intanto ci saranno i primi croceristi, turisti impegnati nella circumnavigazione del nostro satellite, che potrebbero persino imbattersi negli avanzi delle prime missioni lunari, praticamente ormai archeologia spaziale.

Quando succederà? Tra un paio di anni, sapete. E poi ci sarà Marte, tra un decennio o due. Musk, sempre lui, sta costruendo un’enorme astronave che dovrebbe essere in grado di portarci lassù in centinaia alla volta, fino a formare una colonia di un milione di esseri umani stabili sul pianeta rosso: diventeremo la prima specie multiplanetaria di nostra conoscenza. 

Occhei, fantascienza? No. Solo questione di tempo. Arriverà un giorno che il futuro dell’esplorazione spaziale, che Bianucci descrive attraverso i progetti in corso e le idee in circolazione, sarà il nostro presente. Magari non sarà esattamente il presente che abbiamo immaginato chiamandolo “futuro”, né sarà come Branson, Bezos e Musk ce lo stanno vendendo. Intanto possiamo sognare, studiare, immaginare, consapevoli di avere addosso un destino segnato: quello di pellegrini dell’Universo.

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