Un'immagine di Dimorphos. Foto: Reuters/via Nasa
Possiamo chiederci perché, in questi tempi di bombardamenti drammatici per il continente Euroasiatico, le nostre agenzie spaziali siano arrivate a bombardare comete e asteroidi. Molti di noi hanno visto sul canale NASA di Youtube le immagini in diretta mondiale fatte dalla sonda “kamikaze” DART, che il 26 settembre scorso si è schiantata su Dimorphos, il satellite dell’asteroide Didymos. Ad esse si aggiungono le immagini a distanza scattate dal mini-satellite italiano LICIA cube, lanciato insieme a DART circa un anno fa.
Il bombardamento di comete e asteroidi però non è una novità. La cometa Tempel 1 era stata colpita nel 2005 a 37 mila km/h da un missile (Impactor) lanciato dalla sonda Deep Impact; l’asteroide Ryugu è stato bombardato nel 2019 dalla sonda Hayabusa con un proiettile di rame di 2,5 kg sparato da un cannone fluttuante nello spazio; infine la sonda DART ha colpito l’asteroide Dimorphos a 22.700 km/h. Possiamo chiederci perché si lancino proiettili o sonde kamikaze sui piccoli corpi del Sistema Solare, anziché limitarci a studiarli o atterrarci sopra, come è successo con la cometa 67/P Churyumov-Gerasimenko e gli asteroidi Eros, Itokawa e Bennu. Il motivo principale è quello di studiare la struttura interna di questi asteroidi per comprendere la loro genesi e – nel caso di Didymos/Dimorphos – la loro pericolosità per un possibile impatto catastrofico con la Terra.
Chiariamo subito che gli oggetti del Sistema Solare non si muovono liberamente nello spazio, come in moto rettilineo uniforme. In tal caso, basterebbe una piccola perturbazione, un buffetto sulla loro superficie, per deviare il moto di un asteroide pericoloso per il nostro pianeta che potrebbe estinguere parte del genere umano, come è successo ai dinosauri. Invece tutti gli oggetti sono vincolati alla forza di gravità del Sole, e si muovono su orbite che possono andare da cerchi quasi perfetti a ellissi molto allungate, parabole e iperboli. Questa sequenza rappresenta un’energia dell’orbita sempre maggiore, con parabola e iperbole che fanno fuggire gli oggetti nello spazio interstellare. Viceversa le orbite circolari, possedute dai pianeti più grandi, sono a più bassa energia, più vincolate al Sole e stabili. Per modificare l’orbita di un asteroide o una cometa che colpiranno la Terra bisogna fornirgli un’energia in grado di renderla più ellittica, o viceversa più circolare, accelerando o rallentando il suo moto. Intervenire quando l’oggetto è vicino alla Terra, come nei film catastrofici, sarebbe inutile perché non basterebbero dei missili nucleari a cambiarne la traiettoria. Al contrario, lo sbriciolamento del corpo celeste moltiplicherebbe i luoghi di impatto, con i frammenti che continuerebbero a seguire l’orbita del corpo principale per inerzia. Occorre agire anni prima, se la loro orbita è nota, quando sono molto lontani da noi e una piccola variazione li può deviare di qualche milione di km, 2-3 volte più lontano della Luna.
Diviene necessario perciò studiare con molta precisione le orbite di tutti gli asteroidi e comete, cercando quali di questi oggetti incroceranno la Terra col rischio di una collisione. Questi dati sono aggiornati continuamente e creano una lista di riferimento, per esempio quella del Jet Propulsion Laboratory. Cercandovi tutti quelli che nei prossimi anni passeranno a una distanza minore dell’orbita lunare si trovano oggetti di poche decine di metri di diametro ma anche l’asteroide Apophis di 340 metri. Il suo possibile impatto la notte del 13 aprile 2029 potrebbe liberare 400 Megaton creando un cratere di 3-4 km e un’onda sismica del 6 grado Richter, oppure un gigantesco tsunami se cade in mare. Essendo relativamente piccolo, non ci sarebbe l’onda di calore che potrebbe bruciare il terreno a grandi distanze. Ma è più probabile che Apophis transiti a 38 mila km di quota, circa la quota dei satelliti meteorologici, e passi oltre. A complicare la cosa c’è il fatto che i piccoli corpi, nel passaggio presso i pianeti, vengono perturbati e cambiano la loro orbita, il che rende necessaria la loro osservazione continua per aggiornare il calcolo delle loro traiettorie. Ma gli asteroidi riflettono la luce solare e quindi appaiono molto deboli in cielo quando sono lontani da noi. Per questo occorrono strumenti molto sensibili e potenti per avvistarne di nuovi quando sono ancora distanti.
L'impatto su Tempel 1
Dunque sembrerebbe possibile lanciare in anticipo una sonda esplosiva, che con un viaggio di alcuni mesi raggiunga l’asteroide pericoloso e gli trasferisca abbastanza energia da deviarlo. Tutto questo deve avvenire in una precisa “finestra” temporale di lancio; se deviato troppo presto si rischia che la sua orbita cambi ancora; se troppo tardi, la deviazione sarebbe troppo piccola per metterci al sicuro. Sembra semplice ma, tralasciando il fatto che un lancio con potenti esplosivi a bordo potrebbe essere scambiato per un atto ostile da qualche potenza nucleare, occorrerebbe anche sapere prima quanta energia scaricare sull’asteroide. Infatti la struttura interna del corpo celeste che viene deviato costituisce un ulteriore problema: se esso è molto rigido, basterà una certa quantità di energia; se è morbido o poroso l’impatto verrà assorbito internamente e la sua deviazione sarà minore. Se si guardano le foto del roccioso Itokawa o del carbonioso Ryugu si vede che questi oggetti più che una montagna rocciosa sono come cumuli di ghiaia, pietre e polveri accatastate. I campioni di Ryugu portati nei laboratori giapponesi hanno mostrato una struttura così tenera da potersi tagliare con un coltello. Un impatto per deviare Ryugu, che passerà vicino a noi quanto Apophis nel 6 dicembre 2076, richiederebbe più energia.
L'impatto di DART su Dimorphos
Per testare la capacità di difenderci deviando un asteroide è stata scelta la coppia Didymos e Dimorphos, due rocce di 800 e 160 metri che orbitano l’uno intorno all’altro. La coppia è stata raggiunta molto lontano dal nostro pianeta, a 11 milioni di km dalla Terra, 28,4 volte la distanza Terra-Luna, dopo un viaggio di 10 mesi. Il piccolo Dimorphos è un ottimo oggetto per il test di bombardamento. Non si cerca di cambiare l’orbita dei due oggetti intorno al Sole, ma quella del piccolo satellite, più facile da deviare. L’impatto dei 500 kg della sonda DART è stato progettato inviandola in senso opposto al suo moto orbitale, in modo da sommare la velocità della sonda con la sua raggiungendo i 6,3 km/s, la stessa velocità che avrebbe Apophis nel 2029. Rallentando la sua orbita, Dimorphos tende ad avvicinarsi a Didymos e di conseguenza ad accelerare la sua orbita per restare in equilibrio gravitazionale con esso. Il getto di polveri e gas che è stato rilasciato nello spazio dopo l’impatto ha creato un ulteriore effetto frenante, come un razzo a reazione acceso nel verso opposto al moto. E infatti le osservazioni ottiche e radar da Terra hanno mostrato questo effetto, ma molto più grande del previsto: ci si aspettava un rallentamento di circa 10 minuti sul periodo orbitale originale di 11h 55m ma si è riusciti a raggiungere i 32 minuti, con una diminuzione del raggio orbitale di 30 metri rispetto agli originali 1190 m.
Oggi sappiamo che possiamo tentare di deviare un asteroide o una cometa che colpiranno la Terra se le conseguenze dell’impatto potrebbero essere catastrofiche, purché si agisca in anticipo e con potenze adeguate. Per deviare Apophis ci vorrebbe un proiettile molto più pesante di una tonnellata o un’energia del bombardamento molto più grande. Verrà questo momento in cui salvare il pianeta? In passato c’è stato in media un impatto di un asteroide di 1 km ogni mezzo milione di anni ed è certo che ce ne saranno altri in futuro. Intanto teniamo d’occhio il cielo, guardando in su, come nel film ironico Don’t look up!, sperando che non succeda troppo presto.