SCIENZA E RICERCA
PM10 in Italia: il lockdown non ha migliorato la situazione
Sono stati comunicati in anteprima alcuni dati relativi alla presenza di PM10 del 2020, dandoci così l’opportunità di dare uno sguardo alla qualità dell’aria in Italia. Una delle rivelazione che più ci fa preoccupare è che nello scorso anno, pur essendoci stato un arresto significativo sia degli spostamenti che delle attività a causa della pandemia, non c’è stato un significativo calo dei PM10 nel nostro territorio.
I PM10 sono polveri fini, costituite da particelle inquinanti, di origine sia naturale che antropica, causa di possibili irritazioni e malattie respiratorie, anche gravi. Per essere in linea con le direttive dell’OMS, il valore limite giornaliero non deve superare i 50 microgrammi per metrocubo; secondo la legge italiana, questo numero non può essere oltrepassato per più di 35 volte all’anno, mentre per l’OMS si scende drasticamente fino a 3 volte.
Secondo i dati trasmessi dal SNPA, il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, su 530 stazioni di monitoraggio ben 155 hanno superato il valore limite giornaliero più di 35 volte in un anno (dato maggiore rispetto al 2019): la maggioranza di queste si trova nel bacino della pianura Padana, nelle regioni del Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Friuli Venezia Giulia.
Per quanto riguarda il limite imposto dall’OMS, “solamente” 400 stazioni hanno superato tre volte in un anno il limite di 50 microgrammi. Superare questi valori significa in primo luogo mettere a rischio la salute dei cittadini: numerosi studi epidemiologici affermano che inalare polveri sottili contribuisca alla formazione di infezioni respiratorie, malattie cardiache e tumori ai polmoni. Migliorare la qualità dell’aria, inoltre, aiuterebbe a contrastare i cambiamenti climatici, attraverso la diminuzione delle emissioni di gas e proteggere quindi anche la salute di tutti.
Rispetto al 2019, l’anno appena passato non ha registrato nessun trend positivo per quanto riguarda la presenza di PM10 nell’aria. Si sono registrate, infatti, molte meno precipitazioni, soprattutto nel mese di gennaio e nel periodo tra ottobre e dicembre. In particolare, nei mesi invernali possiamo assistere al fenomeno della stagnazione atmosferica che si verifica quando c’è poca ventilazione, la pressione atmosferica è alta, le temperature sono basse e non ci sono piogge. Le polveri, così, rimangono maggiormente nell’aria che respiriamo.
Il lockdown si è rivelato uno specchietto per le allodole in merito alle emissioni: il SNPA precisa che in quei mesi già si registrano livelli di PM10 più bassi rispetto al resto dell’anno e quindi un semplice stop non è bastato. Confrontando i dati dello stesso periodo con gli anni precedenti, troviamo una diminuzione anche al di sopra del 20% ma la situazione meteorologica che cambia di anno in anno ci invita a osservare i risultati con cautela. Soprattutto la miscela di particelle non dà la garanzia di avere dei dati chiari, data la complessità e la diversa origine degli elementi che la compongono, dai combustibili fossili alle attività agricole ma anche il trasporto di sabbie desertiche da parte delle correnti e le attività di costruzione, cantieristiche o di estrazione. La semplice osservazione dei dati, anche se a prima vista ottimistici, non può essere associata alla riduzione delle emissioni da parte delle varie fonti: è necessario che vengano calcolate delle stime credibili, che tengano conto delle variabili, per stabilire con certezza se i numeri che stiamo leggendo siano sufficienti a contribuire alla riduzioni delle emissioni, altrimenti rappresenterebbero solo una parentesi non troppo efficace.
La situazione in Veneto
Dalla collaborazione tra l’SNPA e l’ARPA Veneto è nata un’analisi degli effetti del lockdown sull’inquinamento dell’aria nel periodo precedente, dal 1 al 23 febbraio, nella fase 1 (24 febbraio e 3 maggio) e nella fase 2, dal 4 al 31 maggio. Il report prende in considerazione i livelli di biossido di carbonio e di PM10: come detto in precedenza, la valutazione è complessa, a causa della diversità delle emissioni e dalla meteorologia. Per quanto riguarda il Veneto, la concentrazione di PM10 durante il periodo di pre-lockdown è stata più alta rispetto alla media del periodo tra il 2016 e il 2019, facendo scattare anche l’allerta rossa.
Se prendiamo la fase 1, invece, troviamo dei valori piuttosto bassi nella prima parte a cui segue un episodio di accumulo e un aumento verso la fine di marzo a causa dei venti che hanno trasportato polveri desertiche, provenienti dalla zona del Kazakistan. Tra il 27 e il 29 marzo, infatti, sono stati registrati livelli di PM10 nella pianura padana pari a 100 microgrammi per metro cubo. Nella fase 2 del lockdown le concentrazioni hanno visto un aumento rispetto alle medie rispetto al quadriennio precedente solamente nei capoluoghi di Belluno e Verona, mentre nel caso di Padova si sono ridotte del 33%.
Fonte: Effetti del lockdown durante l'emergenza COVID-19 in Veneto, Arpav
Questi dati evidenziano ulteriormente la difficoltà di registrare i livelli di PM10, a causa dei diversi fenomeni, dal rilascio al trasporto, dispersione e trasformazione, oltre a quelli dettati dal meteo. Da questi report, possiamo confermare che è necessario rivalutare alcuni aspetti della nostra vita, come i trasporti o il riscaldamento, per ottenere dei risultati a medio-lungo termine e non solamente nei brevi periodi come nel caso del lockdown.