“Prendiamoci cura dei nostri vecchi, ricordiamoci che la relazione di cura e lo scambio intergenerazionale sono la chiave del cambiamento e il nutrimento per la società presente e futura”: solo adottando questo punto di vista sull’invecchiamento possiamo pensare di affrontare emergenze e trasformazioni future, oltre gli allarmismi e le paure. Non ha dubbi la professoressa Rossana De Beni, direttrice del master in Psicologia dell’invecchiamento e della longevità dell’università di Padova e presidente della Società italiana di psicologia dell’invecchiamento: “La longevità è una opportunità meravigliosa. Possiamo essere risorsa per un tempo più lungo, basta cambiare modalità di pensiero per restare cittadini a tutte le età. Parliamo di invecchiamento in cittadinanza. Il pregiudizio più diffuso nei confronti dell’età si chiama Ageism ed è legato all’idea che, con la vecchiaia, si diventi un peso per gli altri, che ci si debba togliere di mezzo”. E come si risolve questo pregiudizio? Partendo da una rivoluzione grigia come cultura dell’invecchiamento e del cambiamento. "L’essere umano non è immobile, si trasforma e non va parcheggiato o buttato via, non può prima correre come un treno e poi essere messo da parte. Questa rivoluzione ha delle ripercussioni su tutto, in generale sul senso della vita. Certamente, l’invecchiamento porta con sé l’angoscia di morte ma queste sono paure che, grazie alla psicologia, possiamo elaborare e superare. Ci sono valori come la pro-socialità che, per esempio, permette di invecchiare bene e soprattutto insieme, sfruttando la saggezza e una rinnovata positività. Si deve investire nella cultura e nella ricerca perché i nostri giovani non crescano soffocati da pregiudizi e paure: le risposte le possiamo ottenere dalla scienza e dalla democrazia che aiutano a far crescere la consapevolezza”.
“ La relazione di cura ci rende umani ed è sempre mutevole, c’è un momento per dare e uno per ricevere
Uno studio - condotto da ricercatori dell’università La Sapienza di Roma, università di Roma Tre, University of Southern Denmark, Duke University Population Research Institute di Durham, Max Planck Institute for Demographic Research di Rostock e Department of Demography, University of California a Berkeley - ha aperto nuovi scenari sulla longevità, studiando le curve di mortalità, e muovendosi verso una potenziale “vita senza limiti” perché, secondo lo studio, dopo i 105 anni il rischio di morire si stabilizzerebbe. "Human death rates increase exponentially up to about age 80, then decelerate, and plateau after age 105", si legge. E ancora, un’altra ricerca della Sapienza di Roma e dell’università della California San Diego relativa al benessere di ventinove anziani tra i 90 e 101 anni, residenti in nove comuni del Cilento, introduce fattori quali ottimismo, grinta, amore per la famiglia e la propria terra come ingredienti essenziali per una lunga vita. “Del resto tutti i dati sui centenari ci mostrano che i grandi vecchi sono più equilibrati e orientati al positivo”, commenta la professoressa De Beni. Una vita lunghissima e felice, verrebbe da dire, ma ecco che il profilo di una Italia sempre più anziana e in emergenza, con relativi effetti devastanti sul sistema Paese, viene tracciato da Istat e Italia Longeva che, in un dossier recentemente presentato al ministero della Salute, descrive lo scenario socio-demografico e assistenziale del Paese al 2030 e al 2050, parlando di “bomba dell’invecchiamento pronta a esplodere già a partire dal 2030, se non adeguatamente gestita”. Oggi, in Italia, gli over 65 sono 13 milioni, nel 2050 saranno 20 milioni con 4 milioni solo di over 85. Un cambio demografico importante che porterà certamente con sé molte criticità da affrontare a livello sanitario, con emergenze legate alle disabilità che, nel 2030, riguarderanno 5 milioni di anziani, e al rischio solitudine.
Un vero e proprio allarme, dunque, a cui risponde De Beni che considera senza dubbio fondamentale prevedere future problematicità e riuscire dunque ad affrontarle efficacemente, ricordando però che il fenomeno dell’invecchiamento non deve essere affrontato solo reagendo con timore a una prospettiva allarmistica, ma con un approccio proattivo che aiuti a sviluppare lo spirito di collaborazione, partecipazione, cura e comunità: “Dico subito che questi allarmismi che caricano di preoccupazioni e paure non mi trovano d’accordo, si creano ansie e poi non si fa niente”. E De Beni continua: “Se pensiamo di parcheggiare gli anziani, facciamo diventare tutto una emergenza. Se chiediamo agli anziani di stare fermi, di non muoversi, di non fare più nulla perché potrebbero rompersi, ecco che creiamo l’emergenza. La verità è che la partecipazione e l’attività intellettuale di un anziano sono preziose. Sbagliamo a voler parcheggiare gli anziani, a metter via i veci, come si dice in dialetto. Dobbiamo invece prendercene cura, perché costituiscono un valore. La relazione di cura è qualcosa di meraviglioso che ci rende umani ed è sempre mutevole, c’è un momento per dare e uno per ricevere. E anche quando si dà si riceve, e quando si riceve si dà. Alleviamo con amore i bambini e questi bambini allevati con amore ritorneranno le cure da adulti; le esperienze intergenerazionali funzionano benissimo, il passaggio delle conoscenze da una generazione all'altra è fondamentale. Dobbiamo fondare la cultura e le politiche dell’invecchiamento su evidenze empiriche che la scienza ci può dare: il cervello dell’uomo continua a essere plastico, può continuare a funzionare bene, anche se diversamente, durante la vecchiaia e può continuare a imparare cose nuove, sempre. Tutti fanno la loro parte nella società, l’anziano deve mantenere il suo ruolo pro-sociale, per continuare a dare il proprio contributo”.
“ Se chiediamo agli anziani di stare fermi, di non fare più nulla perché potrebbero rompersi, ecco che creiamo l’emergenza. La verità è che la partecipazione e l’attività intellettuale di un anziano sono preziose.