SCIENZA E RICERCA

Il ruolo climatico delle foreste dipende anche dagli animali selvatici

Perché un ecosistema funzioni, è necessario che tutti i membri della comunità ecologica siano vitali e svolgano il proprio ruolo. Questo vale a tutti i livelli: dalla più piccola comunità, come quelle formate da organismi che vivono in simbiosi, fino alle interazioni tra sistemi complessi. Dalla funzionalità di alcuni ecosistemi, ad esempio, dipende la regolazione del clima globale: la quantità di anidride carbonica in atmosfera, che determina la stabilità climatica del pianeta, è regolata in larga parte dalle piante, che con la fotosintesi svolgono una fondamentale funzione di cattura e stoccaggio del carbonio dall’atmosfera. Le foreste, in particolare quelle secolari, sono le più efficienti in tal senso: gli alberi, i suoli e tutte le altre componenti vegetali di questi complessi ecosistemi contengono moltissimo carbonio, accumulato per secoli.

Come spiega il conservazionista Ronnie Drever in un’intervista rilasciata a The Nature Conservancy, le foreste hanno un ruolo centrale per la mitigazione della crisi climatica: «La fotosintesi è la più antica tecnologia esistente per la cattura del carbonio. I nostri più grandi progressi nelle tecnologie di sequestro del carbonio non reggono il confronto con gli alberi né in termini di efficienza, né in termini di costi. E, naturalmente, le foreste offrono anche molti altri benefici per gli esseri umani e per il mondo naturale».

Per tutti questi motivi, proteggere le foreste è un imperativo. Ma per farlo è importante ricordare il primo insegnamento dell’ecologia: tout se tient. Le foreste non sono semplicemente un insieme di piante, ma ecosistemi complessi, abitati anche da una ricchissima fauna. Questa fauna contribuisce in modo essenziale al mantenimento della funzione di cattura del carbonio: gli animali contribuiscono alla riproduzione delle piante diffondendone i semi, ‘controllano’ la proliferazione delle specie, mantengono in equilibrio la catena alimentare. Per questo, una loro riduzione può avere effetti deleteri anche sulla funzionalità delle foreste, e indirettamente contribuire all’aggravarsi della crisi climatica.

Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica PLOS Biology, firmata da due esponenti di punta della Wildlife Conservation Society, sottolinea quanto la caccia di animali selvatici danneggi le foreste e ne riduca la capacità di stoccaggio del carbonio. La caccia eccessiva, condotta dagli umani per ragioni di sopravvivenza o per motivi commerciali, colpisce soprattutto gli animali più grandi, che ricoprono funzioni essenziali negli ecosistemi forestali. La loro scomparsa può causare una modificazione sostanziale della varietà di specie presenti: ad esempio, la rimozione di animali frugivori come primati e grandi uccelli, che prediligono semi di dimensioni medio-grandi, influisce sulla composizione del manto vegetale, poiché prevalgono le specie che producono semi piccoli che si disperdono con il vento, piante che hanno una percentuale minore di materia legnosa rispetto a quelle dai semi grandi, e dunque catturano una minore quantità di carbonio.

Inoltre, affermano gli autori, la caccia eccessiva influisce sul bilancio di carbonio anche in un altro modo: anche i corpi degli animali, infatti, sono un ‘contenitore’ di carbonio catturato dall’atmosfera. La loro morte, dunque, riduce ulteriormente la capacità di stoccaggio dell’ecosistema di cui fanno parte.

Se è facile concordare sulla necessità di proteggere anche gli animali come parte delle strategie nature-based di mitigazione del cambiamento climatico, meno facile è capire come attrarre investimenti in tal senso. Strumenti economici come il programma REDD+ (“Reducing emissions from deforestation and forest degradation in developing countries”) sviluppato dalle Nazioni Unite e dalla FAO si sono dimostrati, finora, piuttosto efficaci. REDD+, ad esempio, incentiva la riduzione delle emissioni dovute alla deforestazione attraverso il finanziamento di progetti per la protezione e il ripristino sostenibile di aree forestali degradate.

La proposta dei due ricercatori è di applicare simili meccanismi finanziari anche alla protezione di specie animali che hanno un ruolo nella conservazione delle foreste. Per poter realizzare un simile progetto, è necessario dapprima calcolare quale sia il valore monetario dell’effettivo contributo apportato da questi animali al sequestro di carbonio dall’atmosfera, includendo sia la quantità di carbonio stoccata nel corpo dell’animale, sia il contributo che questo dà alla funzionalità della foresta e alla capacità di quest’ultima di sequestrare carbonio. Gli autori affermano che «una soluzione potrebbe essere la vendita di crediti basati sulle unità aggiuntive di carbonio sequestrato dalle foreste che contengono popolazioni in salute di grandi animali». Basandosi su queste stime, si potrebbe contribuire a finanziare non solo la protezione delle foreste, ma anche la gestione della fauna selvatica e il controllo della caccia eccessiva.

Come tutti i casi in cui si propone di assegnare un valore economico a servizi o entità naturali, si tratta di una evidente semplificazione. Il principale vantaggio di un simile approccio è il suo carattere pragmatico: se l’obiettivo è trovare fondi per garantire e implementare progetti di protezione degli ecosistemi naturali, il modo più facile per realizzarlo è sottolineare il beneficio che potrebbe derivare da questo investimento. D’altra parte, una modalità di valutazione così marcatamente improntata sulla dimensione economica rischia di dare adito a una sempre crescente mercificazione del mondo naturale, avallando la stessa logica di sfruttamento che è causa degli stessi danni a cui si cerca in tal modo di rimediare.

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