Aurelio Craffonara, Pneus Pirelli, 1925-35 (dettaglio)
Il ciclismo ha i suoi grandi miti, atleti a cui generazioni di bambini e ragazzi si sono ispirati sfidando gli amici in gare di velocità lungo i viali del quartiere, immaginando di tagliare per primi il traguardo dopo tanta fatica e sudore. Per molti l'universo della bicicletta ha il sapore della nostalgia ed è popolato di eroi, quelli che hanno partecipato, lasciato il segno, vinto il Giro d'Italia, a partire dal 1909, primo anno della "meravigliosa corsa umana", come la definì Alfonso Gatto, nata da un'idea del giornalista Tullo Morgagni de La Gazzetta dello Sport. Da Luigi Ganna, il primo a vincere e ad aggiudicarsi un premio di 5.250 lire, al Girardengo cantato poi da De Gregori, Gino Bartali e Fausto Coppi, Eddy Merckx e Felice Gimondi. Fino ai campioni contemporanei.
Oggi, 26 maggio, a Treviso arriva il 105esimo Giro d'Italia, con la sua diciottesima tappa da 156 chilometri, la Borgo Valsugana-Treviso. Contemporaneamente, in città, inaugura Ruota a ruota. Storie di biciclette, manifesti e campioni, la nuova mostra del Museo nazionale collezione Salce, sede espositiva e archivio che conserva la più ampia raccolta di grafica pubblicitaria in Italia, donata allo Stato dal trevigiano Ferdinando, detto Nando, Salce.
"La bicicletta ha attraversato la storia e trasformato la società - spiega al Bo Live Elisabetta Pasqualin, direttrice del museo e curatrice della mostra -. Ha permesso alle persone di acquisire maggiore consapevolezza, di sé e nella relazione con la natura, la vita all'aria aperta". Contribuendo ad accrescere il desiderio di libertà, movimento e benessere. Nell'introduzione contenuta nel catalogo, Pasqualin riflette sul legame tra Nando Salce e la bicicletta, definendolo un "filo rosso" nella vita del collezionista trevigiano, "l’inizio della sua grande avventura [...] Nel 1895, diciassettenne, di ritorno da un viaggio all’estero, in bici appunto, mentre pedala per la sua città, Nando vede un manifesto, ne rimane sedotto e decide che deve assolutamente averlo. È quello in cui Mataloni, per pubblicizzare il Brevetto Auer della Società Anonima per l’Incandescenza a gas, disegna una figura femminile poco vestita e coperta dal gioco delicatissimo di un velo. Nando quindi contratta con l’attacchino e riesce a portarsene a casa una copia. È il primo tassello della sua collezione, l’inizio della sua lunga e meravigliosa avventura".
“ Vai Girardengo, vai grande campione. Nessuno ti segue su quello stradone "Il bandito e il campione", Francesco De Gregori
“ Oh, quanta strada nei miei sandali. Quanta ne avrà fatta Bartali. Quel naso triste come una salita. Quegli occhi allegri da italiano in gita "Bartali", Paolo Conte
Quanti e quali sono i nostri ricordi legati alla bicicletta? Probabilmente non esistono memorie ed emozioni che non si possano associare a un aneddoto legato alle due ruote, a una spensierata corsa con il vento tra i capelli, all'impegno di una salita o a un'improvvisa caduta dopo una discesa senza freni.
Memorie private ma anche collettive perché, come diceva Gianni Brera, “traverso le viti di una bicicletta si può anche scrivere la storia d’Italia”. La storia di questo mezzo (il più ecologico e oggi, dunque, il più necessario) non è fatta solo di competizioni e leggendarie imprese sportive: ha anche segnato vere e proprie trasformazioni sociali, di costume, gusto, abitudini. A partire da un nuovo rapporto con la natura, il viaggio lento, gli spazi aperti da esplorare: pensiamo per esempio alla nascita del Touring club, fondato nel 1894 proprio come Touring club ciclistico italiano, sulla scia di altri circoli europei, tra tutti l'inglese Cyclist's touring club. Uno dei fondatori della sezione trevigiana fu proprio Nando Salce.
"Se è vero che si potrebbe scrivere una storia d’Italia attraverso la storia sportiva del nostro Paese, altrettanto vero è che la bicicletta rivestirebbe un ruolo particolare in questo racconto", spiega Antonella Stelitano, giornalista e consulente storica di Ruota a ruota. "Questo non solo per la sua popolarità e ampia diffusione, ma perché la sua storia è trasversale a molte dimensioni della vita sociale. Da invenzione per pochi a mezzo di locomozione di massa, ha accompagnato il nascere di una nuova industria, ha promosso le prime forme di turismo popolare e nuove forme di socialità. È stata strumento di emancipazione per le donne [...] Inizialmente è solo un mezzo adatto al passatempo delle classi nobili. Il costo elevato la rende oggetto del desiderio, status symbol. Nobili e reali ne possiedono una. L’alta borghesia la esibisce in pubblico, costruisce velodromi e organizza competizioni per mostrarsi al passo con altri Paesi europei. Quando la bicicletta esce dai parchi dei palazzi nobiliari non è facile accettarla: è un attrezzo pericoloso, difficile da guidare. Per questo scattano ordinanze e divieti nelle principali città. Per i preti c’è addirittura il rischio di scomunica: è troppo innovativo questo mezzo, assolutamente inadatto al portamento di un prelato. La bicicletta, da subito, porta con sé qualcosa di rivoluzionario che, insieme alle nuove potenzialità di movimento, inneggia a nuove libertà, che non tutti sono pronti ad accogliere. La bicicletta affascina per la sua modernità e il senso di libertà, ma incute anche timore".
Industria e campioni
La mostra è divisa in sezioni tematiche e abbraccia un arco di tempo che va dal 1880 al 1955. Il piano superiore del museo, la terrazza, è dedicato all'industria della bicicletta, con affiches firmate da Villa, Ballerio, Alberto Martini, Craffonara Dudovich, Codognato, Mazza, Malerba, Boccasile, realizzate per gli italiani Menon, “Fabbrica di velocipedi in acciaio su commissione”, Carnielli e Bottecchia, Bianchi, Prinetti Stucchi, Maino, Atala, Pinarello, affiancati in mostra dagli esponenti dell'industria straniera.
Nel manifesto realizzato da Michel Libeaux per Bianchi (1950-1955) un bambino, un uomo (probabilmente il suo papà) e un cagnolino si spostano con il bicimotore Aquilotto, molte valigie, un ombrello e una gabbietta con un uccellino. Forse stanno andando in vacanza. La pubblicità parla chiaro: "... si è aggiornato acquistando il miglior velomotore in commercio". E continua: "Non sporca, non vibra, consuma poco, dura molto" (e ha gomme Pirelli).
Al Salce l'allestimento propone i manifesti pubblicitari e quelli relativi alle competizioni sportive del passato, dal Trofeo Rinascente (1949) ai Campionati del mondo (1939 e 1951), persino la cartina del Giro d’Italia del 1922, a cui si aggiungono infine quindici biciclette della collezione Pinarello associate, ognuna, all’impresa di un campione che ha fatto la storia del ciclismo. Partendo dal 1951, anno in cui il trevigiano Giovanni Pinarello abbandona il ciclismo professionistico, dopo aver vinto la Maglia nera del 34esimo Giro d’Italia, e investe le 100mila lire di buona uscita, ricevute dal suo team, nella creazione della sua azienda: la Cicli Pinarello. Passando per le bici di De Rosso, Bertoglio, Chioccioli, Indurain, Collinelli, Ullrich, Petacchi, Froome, Wiggins, Viviani, Bernal. Fino al 2021 di Richard Carapaz e Filippo Ganna.
Donne in bicicletta
Una donna non poteva certo andare in bicicletta da sola. Figuriamoci, che scandalo. I manifesti esposti al piano terra del Salce lo raccontano bene: da una parte troviamo donne elegantemente vestite, esponenti dell'alta società, accompagnate dai mariti o altri maschi di famiglia, pronte a trascorrere qualche ora di innocuo svago e relax pedalando “senza fretta la domenica mattina”, dall'altra vediamo donne seducenti, in abiti succinti o scandalosi per l'epoca (una donna porta persino i pantaloni!), ovvero tra fine Ottocento e inizi Novecento, giudicate socialmente inaccettabili.
La bicicletta diventa l'oggetto dello scandalo e, al tempo stesso, della rivoluzione: da mezzo non adatto alle donne (oltre alla condanna morale si arriva a collegare il suo utilizzo all'insorgere di malattie e addirittura al rischio di infertilità) ad "arma" di emancipazione femminile, con le prime cicliste impegnate a pedalare senza voltarsi, senza farsi distrarre da critiche e pregiudizi, sfidando le dure parole di uomini che il più delle volte le definivano matte e indecenti. Non si può dimenticare la storia, fatta di grande determinazione e coraggio, di Alfonsina Strada, prima donna a partecipare al Giro d'Italia nel 1924, soprannominata il "diavolo in gonnella".
"C’è una data che fa da spartiacque tra una fase pionieristica e una in cui si gettano le basi per l’organizzazione di un settore ciclistico femminile - racconta Antonella Stelitano -. É il 1962, quando l’Unione velocipedistica italiana riconosce il ciclismo femminile a livello agonistico. Ormai non si può più tornare indietro".
Ruota a ruota. Storie di biciclette, manifesti e campioni
dal 26 maggio al 2 ottobre 2022
Museo nazionale collezione Salce (Chiesa di S. Margherita), Treviso