CULTURA

Il tempo sacro delle caverne

Stretti gli uni agli altri e in silenzio, chiusi nelle nostre kway, alziamo il naso per seguire la luce della torcia che illumina le pareti di una grotta. La guida si dà da fare per mostrarci un disegno, dice, uno schizzo, un qualcosa e d’un tratto, wow, eccoli là! I dipinti di un artista preistorico che decine di migliaia di anni fa si è intrufolato qui dentro, si è arrampicato là sopra, e ha disegnato una scena di caccia. Oppure una enorme vulva.

Si alzano le braccia, cominciano le domande, si avanzano ipotesi. Gwenn Rigal parte da qui: dalla sua esperienza di accompagnatore di gruppi turistici nella grotta di Lascaux, e da quello che si è sentito chiedere per anni. Che poi sostanzialmente era sempre la stessa domanda: perché?

Trecento pagine dopo una risposta precisa ancora non c’è, ma c’è tutta la complessità del tema esposta con l’aiuto di una ricerca aggiornata (e forse persino troppo puntiglio bibliografico) che ha coinvolto studiosi di diversi ambiti. Beh intanto, di che cosa stiamo parlando. Paleolitico superiore, tra quarantamila e dodicimila anni fa (l’ultima deglaciazione), uomo di Cro-Magnon (cioè Sapiens moderno, non pelosotti strani: noi, un po’ di tempo fa). E pitture tutte più o meno simili, dall’Atlantico agli Urali, a mostrare la presenza di invarianti culturali di matrice europea. Ma non proprio arte, visto che questo è un concetto moderno e non universale (nel senso che è nato nel nostro mondo occidentale), né esattamente quello che oggi definiamo religione. E comunque, quello che è sopravvissuto al tempo e alle intemperie.

È comunque un ottimo punto di partenza. Si capisce già così che dietro c’è l’emersione del pensiero simbolico, che avrebbe spinto l’innovazione in molti modi: le diverse teorie e le diverse osservazioni, che Rigal espone con precisione, puntano più o meno tutte sull’innesco di un circolo virtuoso di produzione di novità tecnologiche e cambiamenti demografici che a loro volta avrebbero stimolato lo sviluppo di sistemi di comunicazione sempre più complessi e versatili. Dunque, bye bye Neanderthal non senza averci prima fatto un po’ di cose, col risultato di spargere per il mondo figli sanguemisto, che sarebbero i nostri bisbisnonni (poi forse anche i Neanderthal avevano qualche espressione artistica, ma è difficile ormai da affermare).

 

Nel Paleolitico superiore i Cro Magnon hanno così inventato la simbolizzazione differita

Cioè la possibilità di esprimersi a distanza nel tempo. E sono stati così zelanti che a distanza di ventimila anni eccoci qui, noi discendenti, con le nostre torce e le nostre kway.

Non ci sono solo pitture rupestri. Ci sono gioielli ed ornamenti, e sepolture. Ma è sulle pitture rupestri che ci soffermiamo quando ci si chiede perché? E allora ecco le ipotesi in gioco. Escludiamo “l’arte per l’arte”, intesa in senso moderno, perché non avrebbe senso “esporla” in luoghi così inaccessibili.

La prima teoria è legata alla dimensione del sacro può trovare a suo supporto alcune osservazioni, come la posizione “misteriosa” di alcune pitture, i segni della presenza di bambini e adolescenti, resti di oggetti votivi sul fondo della grotta e oggetti che fanno pensare a vere cerimonie, come ossa animali, lampade a grasso, talvolta segni di sentieri attrezzati per ritrovare il cammino. E oggetti che potrebbero essere serviti per fare musica. Poi ci sono le teorie legate alla caccia. Insieme, caccia e sacro producono teorie sciamaniche che periodicamente tornano a proporsi tra le pagine dei saggi soprattutto di matrice etnografica, come quella della “magia della caccia” e le teorie animistiche tipo “culto dell’orso”, a lungo attribuito al solo Neanderthal. Ma una “teoria della caccia” da sola, senza questioni spirituali aggiuntive, può essere supportata dall’idea che quei disegni siano “mappe” su dove e come trovare selvaggina ed è oggi abbastanza considerata. Altra osservazione interessante sono i dipinti di mani con dita “amputate” che forse sono semplicemente piegate secondo un codice del tipo: “pollice piegato” uguale “arriva il bisonte”. Infine le teorie sui richiami alla fertilità e alla riproduzione.

C’è anche chi, dopo tanto cercare analogie, correlazioni, prove, statistiche, perfino protoscritture… se questa domanda non possa aver avuto tante risposte diverse, magari una per ciascuna grotta.

E poi, quasi d’un tratto, alla fine dell’ultima glaciazione l’arte parietale cessa. Abbiamo disegnato altro, in altri posti, in superficie, probabilmente mentre diventavamo sedentari, allevatori e coltivatori, e non più nomadi cacciatori. Poi la scrittura, e comincia la Storia.

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