UNIVERSITÀ E SCUOLA

Regno Unito, le università sfidano gli euroscettici

“Il Regno Unito deve restare nell’Unione Europea?”. Non sappiamo come i cittadini di Sua Maestà risponderanno al quesito referendario che, nel 2017 (o, secondo alcuni, già l’anno prossimo) deciderà dei rapporti tra Europa e oltremanica; sappiamo però come si pronuncerà la grandissima parte del mondo dell’università e della ricerca britanniche: certamente sì, l’Europa della scienza e dell’istruzione superiore è impensabile senza il Regno Unito, ma è soprattutto la Corona a non poter fare a meno di essere parte del sistema europeo. Mentre tra i politici si dibattono le strategie sul quando e come arrivare alla consultazione (l’ultima presa di posizione autorevole è della commissione affari europei della Camera dei Lord, che ha affermato che il governo Cameron propenderebbe per l’autunno 2016), una scelta di campo drastica, sorprendente per la sua intensità, è venuta pochi giorni fa dalle università britanniche. Universities UK, l’associazione che riunisce 133 atenei del Regno Unito (compresi tutti i più importanti), ha ufficialmente avviato la campagna “Universities for Europe”, con la quale il gotha accademico del Paese invita i cittadini a votare per rimanere nell’Unione.

Per rimarcarne il carattere trasversale, la presentazione dell’iniziativa è avvenuta alla presenza di due esponenti dei maggiori partiti: Damian Green, il leader dell’ala europeista dei conservatori, e Chuka Umunna, il giovane ministro-ombra laburista di origine anglo-nigeriana che molti vedono come futuro leader (anche se per il momento ha rinunciato a correre per il vertice del partito). Secondo Julia Goodfellow, presidente di Universities UK e vice-chancellor della University of Kent, “è chiarissimo che l’appartenenza del Regno Unito all’Unione Europea ha un impatto immensamente positivo sui nostri atenei”. L’iniziativa delle università era stata preceduta da un’analoga campagna di una rappresentanza meno folta ma, se possibile, ancora più prestigiosa di studiosi: subito dopo le elezioni del 7 maggio e la vittoria di Cameron, Scientists for Europe, un gruppo di scienziati e accademici di grande fama, ha scritto al Times che “non è abbastanza noto al pubblico che l’Unione Europea è una manna per la scienza e l’innovazione nel Regno Unito”. Tra i firmatari dell’appello il Nobel per la medicina Paul Nurse, l’astronomo reale Lord Rees of Ludlow, l’editor-in-chief di Nature Philip Campbell e Tom Blundell, presidente del Science Council, organizzazione che raggruppa 41 associazioni scientifiche e professionali britanniche in rappresentanza di 450.000 scienziati. Voci che hanno stupito per la mancanza di scrupoli diplomatici, tanto da ricevere critiche da parte di alcuni esponenti del partito euroscettico Ukip e la radicale controproposta del parlamentare conservatore Daniel Hannan, secondo cui gli atenei del Regno dovrebbero “non perdere più tempo nelle kafkiane procedure per candidarsi ai finanziamenti europei”.

Cosa spinge il mondo accademico e scientifico britannico a prendere posizione in modo così netto e anticipato, quasi a voler spiazzare quanti, anche tra gli europeisti, si muovono con estrema prudenza su un tema fondamentale e avvelenato? La risposta migliore, forse, si può trovare guardando a un caso molto diverso, ma che presenta qualche analogia: la Svizzera, Stato non appartenente all’Unione ma ad essa affiliato in una serie di rapporti di collaborazione, com’è il caso dei principali progetti di ricerca. Associata al Settimo Programma Quadro (il più importante strumento di finanziamento europeo per la ricerca per gli anni 2007 – 2013), la Svizzera è stata esclusa dal nuovo progetto ora in vigore (Horizon 2020, che copre il periodo 2014 - 2020) a causa del referendum con cui nel 2014 i cittadini svizzeri hanno deciso di rendere più rigide le regole per l’immigrazione. Tra gli effetti che il referendum ha prodotto c’è stato il congelamento, da parte del governo svizzero, dell’accordo di libera circolazione con la Croazia, nazione che dal 2013 è diventata membro dell’Unione Europea. La risposta dell’Unione non è stata lieve: Bruxelles ha sospeso la partnership con gli elvetici per Horizon 2020. Lo stesso è avvenuto per Erasmus+, il programma di scambi per studenti e docenti aperto, in forme differenziate, ai Paesi extra Unione.

La perdita dello status di Paese associato ha avuto una conseguenza immediata: la Svizzera ha dovuto interamente farsi carico dei progetti di ricerca che in precedenza si basavano su finanziamenti europei; allo stesso modo, per preservare un programma di scambi, Berna è stata costretta a finanziare, oltre agli spostamenti in Europa dei propri professori e studenti, tutte le borse per docenti e studenti stranieri che volevano recarsi in Svizzera, a condizione che ogni progetto prevedesse un parallelo flusso di professori e studenti svizzeri verso l’Europa. Riguardo a Horizon 2020, con le autorità europee si è poi raggiunto un accordo parziale che ha consentito alla Svizzera di ripristinare lo status di Paese associato solo per un numero limitato di voci all’interno del programma. Sia nel caso di Erasmus+ che di Horizon 2020, le misure provvisorie adottate fin qui avranno efficacia fino alla fine del 2016: ma Bruxelles ha chiarito che, per tornare allo status di “Paese associato”, la Svizzera ha tempo fino al febbraio 2017 per firmare l’accordo di libera circolazione con la Croazia. In caso contrario, l’Unione revocherà definitivamente ogni partnership con la Confederazione, il cui status verrà così retrocesso a quello di “Paese terzo” sia per Erasmus+ che per Horizon 2020. Cosa significa per la Svizzera, in concreto, privarsi dei fondi europei per la ricerca? La risposta l’ha data lo stesso governo elvetico, che nel rapporto sul Settimo Programma Quadro ha fornito alcune cifre interessanti. Per il periodo di vigenza del programma (2007/2013), la stima più recente disponibile dei fondi europei ottenuti nel complesso dai ricercatori svizzeri è di un miliardo 460 milioni di euro. Si tratta della seconda maggiore fonte pubblica di finanziamento per la ricerca elvetica dopo il Fondo nazionale per la ricerca scientifica.

La sospensione degli accordi di cooperazione è stata, secondo alcuni osservatori, non solo una sanzione per la nuova politica svizzera in contrasto con i princìpi di libera circolazione che sono cardine dell’Unione Europea, ma anche un modo per lanciare un segnale che arrivasse a Londra: non crediate che, una volta usciti, sia così facile rinegoziare regole che non vi penalizzino. Secondo Universities UK, ogni anno gli atenei britannici beneficiano di un flusso di finanziamenti europei pari a un miliardo 700 milioni di euro. Viene invece dal governo il dato complessivo (anche se provvisorio) sull’ammontare delle risorse assegnate ai ricercatori del Regno Unito nel corso del Settimo Programma Quadro: 6 miliardi 142 milioni di euro, un budget secondo (di poco) solo a quello ottenuto dagli scienziati tedeschi. E se lo stanziamento complessivo del Settimo Programma Quadro ammontava a circa 55 miliardi, Horizon 2020 sfiora gli 80 miliardi. Il contributo dell’Unione Europea è stato decisivo su ricerche fondamentali sviluppate principalmente nel Regno Unito, come quelle sul grafene, che hanno fruttato agli studiosi dell’Università di Manchester Andre Geim e Konstantin Novoselov il Nobel 2010 per la fisica e che hanno portato, nella stessa città, all’istituzione dell’Istituto Nazionale per il Grafene. Infine, il dato sugli studenti che nel 2012/2013 (più recente periodo disponibile) hanno usufruito di una borsa Erasmus: 14.572 britannici hanno compiuto un’esperienza all’estero, mentre 27.147 stranieri sono venuti a studiare nel Regno Unito. Riusciranno scienziati e intellettuali a essere più convincenti dei populismi e particolarismi dei partiti? La lezione svizzera può essere decisiva anche per il mondo della ricerca e dell’istruzione superiore, che forse ha fatto tesoro dell’autocritica espressa da Martine Rahier, presidente di Swissuniversities, all’indomani del referendum: “Avremmo dovuto curare di più la comunicazione prima che si votasse”. 

Martino Periti

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