UNIVERSITÀ E SCUOLA

Addio alle cattedrali dell'apprendimento?

In pochi hanno ormai dubbi sul fatto che l’innovazione tecnologica abbia aperto una vera e propria voragine nel settore dell’istruzione. Il dibattito verte piuttosto sul tipo di impatto avuto da essa, in che misura positivo e negativo, e sulla sua capacità di rivoluzionare davvero il mondo della scuola e dell’università, in maniera non solo radicale ma anche duratura.

Un nuovo libro appena pubblicato negli Stati Uniti pende decisamente dal lato dell’ottimismo tecnologico, come si deduce immediatamente dal titolo. The End of College rappresenta il più recente lavoro di Kevin Carey, direttore dell’Education Policy Program presso New America Foundation a Washington D.C. Metà storia dell’evoluzione dell’istituzione universitaria in occidente, a partire dall’università di Bologna, metà resoconto dell’incredibile sviluppo tecnologico avvenuto negli ultimi sessant’anni circa, il volume sposa con entusiasmo l’idea, avanzata soprattutto dai guru della Silicon Valley, che l’applicazione delle ultimissime scoperte scientifiche e tecnologiche al mondo accademico e dell’istruzione post-secondaria sia ormai sul punto di smantellare definitivamente quello che è un sistema antiquato e inutilmente elitario per far posto a un nuovo modello finalmente al passo con i tempi, di qualità più alta e persino più egalitario. Modello che Carey chiama “University of Everywhere” (che in italiano si traduce approssimativamente con “Università Ovunque”).

“All’Università Ovunque risorse educative che per secoli sono rimaste scarse e costose diventeranno abbondanti e gratuite – scrive Carey – L’idea di essere ammessi al college diventerà obsoleta perché l’Università Ovunque sarà aperta a tutti”. L’autore insomma non lesina certo gli elogi. Che continuano: “L’Università Ovunque coprirà la terra […] Offrirà un’istruzione personalizzata e individuale a grandi numeri di persone a prezzi ragionevoli […] Gli studenti faranno parte di ricche comunità globali […] Gli standard di eccellenza saliranno al massimo comune denominatore degli studenti di più talento e maggior dedizione al mondo […] La frequentazione dell’Università Ovunque durerà tutta la vita”.

Sullo sfondo oggi di tasse di iscrizione al college in vertiginoso aumento a fronte di una qualità dell’insegnamento inalterata se non addirittura in via di peggioramento; della rincorsa fine a se stessa delle alma mater più prestigiose e costose, non per via della ricchezza di conoscenze offerta da esse ma come porta di ingresso nell'aristocrazia politica-economica nazionale; dell’insistenza di Washington rispetto all’idea di un titolo di studio universitario per ogni americano nonostante il mercato del lavoro non sia pronto a far posto a tutti questi laureati – trend questi che hanno contribuito all’esplosione del debito studentesco che, negli Stati Uniti, ha ormai superato quota mille miliardi di dollari – l’Università Ovunque descritta da Carey appare senz’altro come una ventata di aria fresca.

Nel corso del libro, il lavoro di ricerca e reportage porta lo studioso di New America Foundation a visitare le aule di Harvard, le start-up di San Francisco e persino uno yacht attraccato sul fiume Potomac a Washington, mentre il filo conduttore dei vari capitoli consiste dell’esperienza da lui fatta da studente di un famoso corso introduttivo di Biologia, chiamato “il segreto della vita” e insegnato dal professor Eric Lander, che è obbligatorio per tutti le matricole del Massachusetts Institute of Technology (Mit) ma è anche disponibile interamente online sulla piattaforma edX con il nome di 7.00X.

L’obiettivo centrale del viaggio nella storia dell’università e dell’innovazione effettuato da Carey è dimostrare perché il momento giusto per l’avvento dell’Università Ovunque sia questo in cui viviamo ora e non, ad esempio, l'invenzione della stampa da parte di Gutenberg o quella, assai più recente, del personal computer. Nonostante abbiano rappresentato enormi passi avanti dal punto di vista tecnologico, e abbiano rivoluzionato enormemente altri ambiti dell’economia e della società, quelle due scoperte non hanno realmente abbattuto i muri imposti dalle limitazioni spaziali e temporali, e non hanno quindi intaccato le fondamenta dell’università tradizionale, che Carey chiama l’‘università ibrida’, ovvero “un’istituzione [contemporaneamente] progettata come un centro di ricerca, incaricata di garantire la formazione professionale [dei propri iscritti] e immersa nello spirito degli studi umanistici”. La quale ha così potuto mantenere il proprio monopolio sul sapere, accumulando migliaia di volumi, ben più di quanti possa un singolo individuo, nelle proprie biblioteche, e migliaia di computer e altre attrezzature scientifiche ed elettroniche nei propri laboratori. Oggi invece la diffusione di Internet su scala globale, delle tecnologie mobili, della cloud, parallelamente ai progressi fatti nel campo dell'intelligenza artificiale, stanno scardinando completamente le cose, giacché, almeno in teoria, permettono a chiunque, ovunque e in qualsiasi momento della giornata e della propria vita di accedere a ogni contenuto mai prodotto nella storia dell’umanità, sia esso in formato scritto, sonoro o video.

Così, il pendolo della bilancia passa finalmente dai professori e dagli amministratori, che nella narrazione di Carey sono poco più che una lobby dedita all’auto-preservazione e alla difesa dei propri privilegi, agli studenti, di ogni età, provenienza e talento. E l’istruzione post-secondaria diventa un affare decentralizzato, altamente personalizzato e vita natural durante, libero dalle restrizioni di etichette come laurea, master e dottorato e quindi ripensato in mille forme e tempi diversi a seconda delle esigenze dei singoli. The End of College offre già un breve excursus di alcune di queste nuove possibili conformazioni, oltre i Mooc come edX, Udacity e Coursera: ad esempio il Minerva Project, che mira a replicare il prestigio delle varie Yale e Princeton, aprendone però le porte a più persone e abbattendone i costi grazie alle nuove tecnologie; e ancora Dev Bootcamp, che in nove settimane forma web developer professionisti; per finire con Open Badges, un’organizzazione che sta provando a ripensare il sistema di credenziali educative accettato oggi, e controllato dalle università tradizionali, per renderlo più flessibile e trasparente, più adatto ad una nuova era in cui, sui propri cv elettronici, i lavoratori potranno elencare in dettaglio, anziché i soliti titoli di studio, ogni genere di esperienza e corso fatto, ogni conoscenza e competenza acquisita.  “La logica dell’università ibrida è onnicomprensiva e auto-sufficiente, qualsiasi cosa e qualsiasi persona di cui si può avere bisogno racchiusi all’interno dei muri del campus – scrive Carey – Gli spazi di apprendimento del futuro saranno tanto portali quanto luoghi di incontro, connessi sempre all’Università Ovunque”.

Complessivamente, Carney finisce con l’eccedere con l’entusiasmo, con i proclami apocalittici per quanto riguarda il futuro delle università tradizionale e con il fervore con cui descrive invece l’evoluzione del sistema dell’istruzione oltre i confini di queste ‘cattedrali dell’apprendimento’. Tra le altre cose, giacché si tratta di una trasformazione in fase ancora molto sperimentale, mancano ancora dati sufficienti a valutare in maniera scientifica, ad esempio, i vantaggi e gli svantaggi dell’insegnamento di persona rispetto a quello a distanza. Oltre ad essere di piacevole lettura, però, il libro di Carey è utile piuttosto perché mette bene a fuoco le deficienze del mondo accademico di oggi e perché descrive un panorama estremamente interessante di come le nuove tecnologie possono, se non soppiantarlo, perlomeno affiancarlo e migliorarlo. 

Valentina Pasquali

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