Scienza e Ricerca

18 Settembre 2015

Cibo e nanotecnologie, un matrimonio possibile?

Cibo e nanotecnologie. L’associazione può sembrare improbabile, ma la ricerca e gli interessi dell’industria negli ultimi anni si muovono proprio in questa direzione. Sdoganato ormai da tempo il loro utilizzo in ambito medico, le nanoparticelle vengono oggi studiate anche per un possibile impiego nel settore alimentare. E le potenzialità intraviste sono numerose.

Si tratta di oggetti molto piccoli, di dimensioni comprese tra uno e 100 nanometri, che presentano proprietà nuove, non riscontrabili in sostanze identiche di dimensioni maggiori. Possono essere utilizzati, solo per citare alcune applicazioni, per produrre nuovi materiali da imballaggio, spiegano Valeria Sodano e Maria Quaglietta dell’università Federico II di Napoli, con proprietà antimicrobiche potenziate come nel caso del nanoargento. O per migliorare la conservazione del prodotto, servendosi ad esempio di nanocomposti a base di argilla che minimizzano la perdita di anidride carbonica e l’entrata di ossigeno (utili per il confezionamento delle  bevande gassate). Ma non solo. Sono in fase di studio nanosensori per il monitoraggio dei cibi confezionati durante il trasporto e lo stoccaggio o per il rilevamento di pesticidi, nanofiltri per la purificazione delle acque e dei terreni. Si pensa addirittura a nanoparticelle in grado di migliorare colore, consistenza e sapore degli alimenti. In quest’ultimo caso, tuttavia, non senza qualche riserva.

Qualche prodotto è già in commercio, ma al momento molto rimane ancora confinato nei laboratori di ricerca. “Nel settore alimentare – sostiene Fabio Vianello, del dipartimento di Biomedicina comparata e alimentazione dell’università di Padova – le nanotecnologie non hanno ancora preso piede al punto tale da consentire la commercializzazione diffusa del prodotto finale. Le applicazioni effettive sono ancora poche. Ci si sta lavorando e ciò che si sta dimostrando interessante è l’utilizzo di nanoparticelle nei processi tecnologici, garantendo che l’alimento non ne presenti al suo interno”.

Vianello parla con cognizione di causa. Nel 2012 infatti il suo gruppo di ricerca ha brevettato la sintesi di nanoparticelle magnetiche in ossido di ferro (Surface Active Maghemite Nanoparticles) in grado di “legare” enzimi e proteine e dunque capaci di individuare, purificare o eliminare molecole biologiche. Per capirci, immaginatevi una sorta di amo (senza filo) in grado di catturare un pesce e riportarlo in superficie grazie a un campo magnetico che attrae l’amo fuori dall’acqua. Il pesce può essere una molecola che vogliamo eliminare da un composto complesso, una tossina ad esempio, o al contrario una molecola di interesse commerciale. Fuor di metafora, per queste loro capacità le nuove nanoparticelle possono essere utilizzate in svariati settori alimentari che il gruppo sta testando.

Uno studio, pubblicato recentemente sul Journal of Agricultural and Food Chemistry, ha portato ad esempio allo sviluppo di un sistema di purificazione della curcumina che non ha precedenti. Impiegata come colorante alimentare, possiede proprietà antiossidanti e antinfiammatorie e alcuni studi sembrerebbero dimostrarne l’efficacia anche nel trattamento di alcuni tumori. A oggi, tuttavia, il metodo di estrazione del principio attivo dalla radice di Curcuma longa è un processo lungo e costoso in termini di risorse umane, strumentazione e solventi necessari. Senza contare la complessità degli impianti di purificazione. La procedura proposta dal gruppo padovano è invece semplice ed economica e dunque spendibile a livello commerciale. Ragione, questa, che recentemente ha spinto Vianello in Brasile, grande produttore di curcuma, alla ricerca di partner industriali.

Ma i progetti non si fermano qui. Attraverso lo stesso metodo i ricercatori stanno infatti sperimentando la possibilità di eliminare la torbidità dei vini bianchi, individuando la proteina responsabile e sequestrandola con un magnete. Studiando il riso rosso, hanno rilevato che il fungo responsabile della colorazione purpurea può produrre micotossine che il gruppo ora è in grado di riconoscere e rimuovere. Ancora, è stato testato un protocollo di estrazione e purificazione della lattoferrina, proteina contenuta nel siero di latte con proprietà antimicrobiche. E ora sono in corso trattative a livello industriale per la commercializzazione. In ambito veterinario, è stata brevettata una soluzione che contiene nanoparticelle magnetiche per la pulizia superficiale della pelle dell’animale, in grado di rimuovere ogni microrganismo presente. Uno studio, questo, che ha portato anche alla costituzione di uno spin-off (Aint S.r.l.).

“L’applicazione delle nanotecnologie in ambito alimentare rappresenta un settore fertile, con buone prospettive per il futuro – osserva Vianello, non senza qualche puntualizzazione – Il nord-est non è molto sensibile a iniziative di questo tipo, come invece lo sono la Lombardia con cui abbiamo sviluppato numerosi progetti o molti stati europei. Le aziende qui sono soprattutto a conduzione familiare, investono poco nella ricerca e non hanno un grande senso dell’innovazione. Certo, molto dipende anche da come vengono distribuiti i finanziamenti a livello regionale”. Secondo il docente poi le università dovrebbero valorizzare maggiormente la ricerca che produce un indotto economico. In questo modo, conclude, si potrebbero catalizzare anche finanziamenti pubblici.

Monica Panetto