SOCIETÀ

La terra? Ha la febbre. Il rapporto "Living Planet"

“Tagliamo gli alberi prima che diventino adulti, peschiamo più pesce di quanto gli ecosistemi oceanici siano in grado di rigenerare ed emettiamo più carbonio nell’atmosfera di quanto le foreste e gli oceani siano in grado di assorbire”. Siamo di fronte a un overshoot, un sorpasso, perché la richiesta che l’umanità ha esercitato sulla natura e le sue risorse ha superato la capacità rigenerativa del pianeta. E questa non è una buona notizia. A dirlo è Living planet, il rapporto annuale del Wwf, che ha recentemente lanciato l’allarme: “Necessitiamo della capacità rigenerativa di un pianeta e mezzo per ricreare i servizi degli ecosistemi che utilizziamo annualmente”.

Di futuro sostenibile e tutela della biodiversità si occuperà Expo 2015 (1 maggio- 31 ottobre, Milano). Ma qual è l’attuale stato di salute del pianeta? Oggi nel mondo siamo 7,2 miliardi. Nel 2050 saremo 9,6, ovvero due miliardi in più. Il pianeta ci offre risorse che, è bene sapere, non sono illimitate. E, quel che è più grave, sono mal distribuite. Gli ecosistemi forestali forniscono riparo, mezzi di sussistenza, acqua, combustibile e cibo a oltre due miliardi di persone, la produzione alimentare consuma circa il 70% di acqua e il 30% di energia a livello globale. Stiamo consumando troppo e non equamente. Un esempio: la richiesta globale di acqua dolce viene, per il 45%, dai Paesi industrializzati per produrre energia e potrebbe superare entro il 2030 l’attuale fornitura di oltre il 40%. Con questi presupposti come possiamo pensare di riuscire a fornire, a ciascun essere umano, sufficienti quantità di cibo, acqua ed energia? Oggi quasi un miliardo di persone soffre la fame, 768 milioni vivono senza la disponibilità di acqua pulita e 1,4 miliardi non hanno accesso all’energia elettrica. “Il cambiamento climatico, la distruzione degli ecosistemi e delle risorse naturali provocano un ulteriore peggioramento della situazione – si legge nel rapporto Wwf – La sicurezza della disponibilità di cibo, acqua ed energia riguarda tutti ed è strettamente connessa alla salute degli ecosistemi. Questa interdipendenza significa che lo sforzo per assicurare uno di questi aspetti può provocare destabilizzazioni nei confronti degli altri: ad esempio, gli sforzi per incrementare la produttività agricola possono condurre a incrementare gli input di acqua ed energia, con gravi impatti sulla biodiversità e i servizi ecosistemici. Le modalità per soddisfare le nostre richieste influiscono sulla salute degli ecosistemi e la salute degli ecosistemi condiziona la nostra capacità di assicurare tali richieste. Ciò è egualmente rilevante per le comunità più povere, che spesso sono direttamente dipendenti dalla natura per la loro vita quotidiana, così come per le grandi città del mondo che stanno diventando sempre più vulnerabili alle minacce di inondazioni e inquinamento, dovute al grave degrado ambientale. Proteggere la natura e utilizzare le risorse in maniera responsabile sono i prerequisiti per lo sviluppo umano e il benessere e per costruire comunità resilienti e in salute”.

Il 2014 è l’anno internazionale dell’agricoltura familiare. Le aziende agricole a conduzione familiare sono fondamentali per garantire una sostenibilità ecologica, combattere la fame e assicurare la biodiversità, ma sono anche tra i soggetti più vulnerabili agli effetti dell'esaurimento delle risorse e del cambiamento climatico: a rilanciare la centralità di queste realtà è il rapporto Fao dal titolo Lo stato dell’alimentazione e dell’agricoltura 2014, che punta a riconsegnare dignità ai piccoli agricoltori nel tentativo di superare le disuguaglianze tra Paesi, inserendosi in un quadro di interventi necessari per un futuro sostenibile. La verità è che azioni di questo tipo – dall’amministrazione equa delle risorse al consumo responsabile, dal reindirizzamento dei flussi finanziari alla riduzione degli input di energia e materie prime – non sono ancora abbastanza, mentre invece dovrebbero moltiplicarsi ed essere messe in campo con tempestività. Perché non c’è più tempo. Lo stato della biodiversità a livello mondiale versa in condizioni profondamente deteriorate rispetto al passato. L’indice del pianeta vivente (Living planet index – Lpi), che misura i trend di migliaia di popolazioni di specie di vertebrati, evidenzia una riduzione del 52% dal 1970 al 2010. Cosa significa? Significa che il numero di mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci nel mondo in media si è dimezzato negli ultimi 40 anni. La biodiversità è andata declinando soprattutto nelle zone tropicali. “La perdita di habitat e il loro degrado connessi con lo sfruttamento diretto attraverso caccia e pesca, sono le principali cause del declino – spiega il Wwf – I cambiamenti climatici costituiscono la successiva più comune minaccia primaria e costituiranno, sempre di più nel futuro, un grave problema per le popolazioni umane”. Scende il Lpi e aumenta l’impronta ecologica, l’indicatore dato dalla somma di tutti i “servizi ecologici” che la gente richiede e che competono con lo spazio disponibile sulla Terra. “Le emissioni di carbonio derivanti dall’uso dei combustibili fossili costituiscono la maggiore componente dell’impronta ecologica dell’umanità da oltre mezzo secolo e continuano a mostrare un trend in crescita – evidenzia il rapporto – Per oltre mezzo secolo, per sostenere i propri stili di vita la maggior parte dei Paesi ricchi ha mantenuto un’impronta pro capite più elevata della biocapacità disponibile per persona sul nostro pianeta, dipendendo ampiamente dalla biocapacità di altri Paesi. Per un Paese raggiungere uno sviluppo sostenibile globale significa avere un’impronta ecologica pro capite più piccola della biocapacità disponibile sul Pianeta, mantenendo uno standard di vita dignitoso”.

F.Boc.

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