SOCIETÀ

Lunedì a scuola, martedì al lavoro

È di questi giorni la pubblicazione del monitoraggio Miur 2013 sull’alternanza scuola-lavoro, ovvero la possibilità di formazione in azienda riservata agli studenti delle scuole superiori. La legge è del 2003, e prevede convenzioni tra scuole e imprese o enti pubblici che siano disponibili “ad accogliere gli studenti per periodi di tirocinio che non costituiscono rapporto individuale di lavoro”, un modo per avvicinare due mondi che lamentano sempre l’eccessiva distanza reciproca. A 10 anni di distanza è molto chiaro chi ha deciso di applicare la legge: dei 3.177 istituti superiori che hanno partecipato al programma (un po’ meno della metà del totale degli istituti superiori del Paese), il 44,4% sono istituti professionali, il 34,2% istituti tecnici (Its), il 20% licei. In compenso – dato positivo – nell’ultimo anno è aumentato il numero dei licei coinvolti (che hanno registrato un incremento del 57,6%), segno che il dialogo con il mondo del lavoro è ormai considerato rilevante anche nei percorsi di formazione a orientamento più teorico e meno professionalizzante.

Non stupisce nemmeno scoprire che i tirocini sono compiuti in larga maggioranza nelle imprese private, seguite da professionisti ed enti pubblici (comuni, scuole, Asl..), né leggere che le imprese più coinvolte sono quelle legate ai servizi di alloggio e ristorazione o le attività manifatturiere (rispettivamente 13.353 e 9.399 aziende, che insieme fanno la metà delle imprese che ospitano studenti-tirocinanti). Né purtroppo giunge come una novità il rapporto di 3 a 1 tra le scuole del Nord e quelle del Sud che si impegnano in questo genere di collaborazioni: i totali raccontano di 1.484 istituti coinvolti al Nord, 772 al Centro, 660 al Sud, 261 nelle Isole, dati questi originati da molte variabili – dal numero assoluto di scuole nel territorio, alla diversa distribuzione dei tipi di istituti (professionali vs licei, ad esempio), alla differente concezione del lavoro.

È lo specchio delle varietà regionali dell’Italia, con il Nord concentrato sull’impresa privata e la Lombardia in testa per numero di istituti e percorsi di tirocinio realizzati. Il gap potrebbe anche crescere, poiché lo spirito dell’iniziativa è proprio concedere spazio e valore alle risorse locali e, come riassume anche il rapporto Miur, intrecciare “le scelte educative della scuola, le aspettative delle aziende del territorio in termini di fabbisogni professionali, le personali esigenze formative degli studenti”. La recente L. 128 del 8.11.2013 (conversione del Dl 104/2013 noto come “L’istruzione riparte”) prevede infine una ulteriore implementazione del sistema di alternanza scuola-lavoro, grazie anche alla prossima pubblicazione di un regolamento dei diritti e dei doveri degli studenti dell’ultimo biennio delle superiori impegnati in attività di stage e tirocinio.

Ma la stessa legge, all’articolo successivo, disegna anche un altro possibile scenario in cui il gap tra scuole può divaricarsi oltre. Bypassando il tema scottante degli editori di settore, sempre impegnati a resistere alle tempistiche dettate da leggi e decreti ministeriali, e con l’alibi ragionevole del contenimento dei costi, si afferma la regola del (virtuoso?) fai-da-te. L’adozione dei testi scolastici diventa facoltativa, i docenti potranno sostituirli con altri materiali, e – dall’anno 2014-2015 – i singoli istituti potranno elaborare “materiale didattico digitale per specifiche discipline da utilizzare come libri di testo”, recuperando e allargando l’esperienza del progetto pilota Miur sull’editoria digitale scolastica. La mossa potrebbe essere intelligente e dare spazio a progetti e innovazioni che si muovono nella scuola italiana ed espresse anche nell’Ideario italiano in epoca Monti, promuovendo il merito, l’entusiasmo e la capacità di fare rete. O almeno questa è l’intenzione dichiarata.

Ma la scelta di “premiare” la responsabilità e l’iniziativa locali potrebbe iniziare un percorso di allontanamento dalla scuola "nazionale"?

Cristina Gottardi

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