SCIENZA E RICERCA

Proteggere i dati sensibili con i fotoni

Un’enorme quantità di dati sensibili viaggia ogni giorno nella rete: numeri di carte di credito, email, referti medici, gli stessi contenuti dei social network, con un netto trend in crescita. A seconda del contesto, è spesso essenziale garantire che questi dati siano, a seconda dei casi, integri (non alterati), confidenziali (noti solo all’interessato) o autentici (con un mittente sicuro), o tutte queste cose assieme. Gli algoritmi che permettono ciò utilizzano chiavi crittografiche, sequenze segrete e casuali di 0 e 1 condivise solo tra mittente e destinatario e deliberatamente nascoste al resto della rete. 

Queste chiavi devono quindi essere scambiate in modo completamente sicuro. Gli esperimenti condotti utilizzando la crittografia quantistica in luogo dei metodi classici, dimostrano che questo scambio può avvenire a distanza utilizzando i quanti di luce - i fotoni - come mezzo di comunicazione. A livello sperimentale si sono ottenute dimostrazioni di questo metodo tra terminali collegati con fibre ottiche o in spazio libero, come in una dimostrazione pubblica avvenuta nel salone del palazzo della Ragione, a Padova due anni fa. 

In una ricerca pubblicata il 6 settembre 2013 su Nature Communications, Davide Bacco, Matteo Canale, Nicola Laurenti, Giuseppe Vallone e Paolo Villoresi, tutti del dipartimento di ingegneria dell'informazione dell'università di Padova, hanno studiato e dimostrato sperimentalmente il limite massimo della distribuzione quantistica delle chiavi in condizioni reali, ossia in presenza di rumore ambientale e trasmettendo un numero limitato di fotoni in presenza di intrusi con diverse capacità. 

 Sfruttando i principi della fisica quantistica è possibile, per due utenti distanti, condividere chiavi crittografiche con la garanzia di una segretezza incondizionata, vale a dire l’impossibilità per un intruso di leggere la chiave senza essere scoperto. Se si utilizzano i fotoni come portatori di bit, quando un intruso tenta di leggerli, inevitabilmente ne altera le proprietà, consentendo agli utenti di sapere che la chiave scambiata non è più sicura (e non va dunque utilizzata). Al contrario, la sicurezza della crittografica classica – attualmente utilizzata in internet – è basata su problemi matematici che oggi sono di difficile soluzione, ma in futuro potrebbero diventare risolvibili grazie al progresso della matematica, dell’informatica o allo sviluppo di calcolatori quantistici.

Se in laboratorio, però, i sistemi di crittografia quantistica si realizzano in ambienti isolati e basandosi sull’ipotesi di poter scambiare un numero grande a piacere di fotoni, nella realtà le cose cambiano. Infatti, in un sistema di crittografia quantistica realistico la percentuale di bit sicuri sul totale di bit inviati diminuisce al diminuire del numero di fotoni inviati e all'aumentare del rumore nel canale di trasmissione e nei dispositivi di ricezione. 

Il team padovano ha utilizzato un approccio alla quantificazione della chiave sicura recentemente proposto da alcuni ricercatori svizzeri per realizzare sperimentalmente una trasmissione di bit quantistici (qubit) per mezzo di fotoni e ha analizzato i diversi livelli di sicurezza in funzione del rumore e delle capacità di un eventuale intruso. L’esperimento ha permesso di scambiare chiavi segrete tra due utenti in presenza di rumore anche inviando un numero limitato di qubit. Questo risultato apre nuove prospettive in contesti in cui le possibilità di trasmissione sono limitate da vincoli fisici, come nel caso di comunicazioni satellitari a grande distanza, dove la finestra di trasmissione tra i terminali è di pochi minuti. Il gruppo è attivo da anni anche nella ricerca su questo filone, detto Satellite Quantum communications, attraverso cui ha ottenuto la prima dimostrazione dello scambio di un singolo fotone da un terminale in orbita.

Paolo Villoresi

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