Università e scuola

05 Marzo 2015

Danimarca: studia gratis, ci guadagna lo Stato

Un buon investimento: così gli studenti internazionali appaiono alla luce di uno studio danese pubblicato a febbraio. Sembra infatti che in Danimarca i benefici finanziari portati dagli studenti stranieri allo Stato siano maggiori delle spese che questo si sobbarca per far loro completare il percorso di studi universitari. Nei 16 anni analizzati, dal 1996 al 2012, l’impatto degli studenti internazionali in termini economici ha infatti prodotto in Danimarca un guadagno netto per lo Stato di 24 milioni di dollari. Lo studio si spinge ad affermare che finché le aziende danesi assumeranno un numero sufficiente di laureati stranieri che rimangano per diversi anni, il beneficio economico per lo Stato continuerà ad essere maggiore della spesa affrontata per la loro formazione. Infatti le statistiche dicono che quasi il 40% degli studenti che hanno studiato in quel Paese un anno dopo ci vive ancora, contribuendo così alla forza lavoro locale. E chi è rimasto per più di un anno, mediamente non se n’è andato prima di 5 anni e mezzo.

Il ministro danese per l’educazione superiore e la scienza, evidentemente convinto dall’equazione elaborata dagli studiosi secondo cui per ogni 1.000 laureati trattenuti in Danimarca si creerebbero fra i 1.000 e i 1.500 nuovi posti di lavoro, nel 2014 ha messo a punto una serie di misure indirizzate a trattenere gli stranieri qualificati, che vanno dalle facilitazioni per le aziende che li assumono, all’abbassamento delle tasse sui salari, alle semplificazioni burocratiche per la green card, per le operazioni bancarie e l’accesso alla sanità.

La questione si fa ancora più interessante se si considera che la Danimarca è la nazione con il sistema di finanziamento e sostegno agli studi più favorevole al mondo e nella quale non esistono tasse universitarie. In soli due anni, fra il 2012 e il 2014 sono decuplicati i cittadini europei non danesi che hanno avuto accesso ai fondi per l’istruzione di quel paese, anche in seguito a una decisione della Corte europea di giustizia che nel 2013 ha imposto alla Danimarca di estendere agli studenti lavoratori dell’Unione europea i benefici del proprio programma per la tutela del diritto allo studio, lo Statens Uddannelsesstøtte (SU). 

Nel frattempo, anche Oltreoceano si è arrivati a conclusioni del tutto simili sul valore di investimento degli studenti stranieri. L’Association of International Educators americana, che ogni anno analizza le spese sostenute e i ricavi ottenuti nel campo dell’istruzione universitaria per i cittadini stranieri, calcolandone i benefici per l’economia statunitense, dà cifre molto importanti: negli Stati Uniti, durante l’anno accademico 2013/14, gli 886.052 studenti internazionali e le loro famiglie hanno dato vita a 340.000 posti di lavoro (+8,5% rispetto al 2012/13)  e contribuito all’economia americana per 26,8 miliardi di dollari, incrementando così di quasi 12 punti percentuali il guadagno rispetto all’anno precedente.

Se a livello globale l’aumento delle immatricolazioni  è guidato da studenti provenienti da nazioni con redditi pro-capite medi e bassi, sono gli studenti di paesi a reddito medio-alto a registrare un aumento vertiginoso, un +161% fra 2000 e il 2012 (+29% è la media Ocse). In molti paesi non Ocse ad alto reddito, come Russia, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Singapore, il meccanismo che dal 2006  guida l’iscrizione a università straniere è oliato abbondantemente da iniziative dei governi domestici,  come borse di studio ed estesi programmi di mobilità. Secondo i dati dell’Institute of International Education negli Stati Uniti gli studenti internazionali sono aumentati del 55% fra il 2003 e il 2014; di questi, quasi i due terzi si autofinanziano, circa 66.000 ricevono aiuti dal proprio governo e 50.000 sono sponsorizzati da un datore di lavoro. 

In media gli Stati Uniti oggi spendono per ogni studente straniero il 23% in meno che nel 2008. Eppure il tasso di crescita delle immatricolazioni è in continua crescita. E il contributo netto che questi studenti portano agli Stati Uniti è cresciuto del 72% rispetto all’anno accademico 2007/2008, da 16 a 27 miliardi, con  tre posti di lavoro creato ogni sette studenti internazionali.

È ormai internazionalmente riconosciuto il valore in termini finanziari degli studenti stranieri, tanto che questa consapevolezza ha da tempo scatenato la corsa degli atenei alla conquista delle loro immatricolazioni, calamite per finanziamenti soprattutto in Europa, e di conseguenza in Italia. Non altrettanto di frequente si è quantificato l’effettivo beneficio finanziario a livello statale, né si è analizzato il rapporto fra le iscrizioni e la creazione di posti di lavoro. Nella diffusa convinzione, almeno in Italia, che questa forse non sia una reale possibilità.

Chiara Mezzalira