CULTURA
Dormire è rivoluzionario
“Macbeth uccide il sonno! - ... il sonno innocente, il sonno che ravvia il filaticcio arruffato delle umane cure, che è la morte della vita d'ogni giorno, il bagno ristoratore del duro travaglio, il balsamo delle anime afflitte, la seconda portata nella mensa della grande natura, il principale nutrimento nel banchetto della vita” (Macbeth, atto II, scena II).
Jonathan Crary, docente alla Columbia University e autore di un libro intitolato 24/7 (Einaudi, 2015), non cita Shakespeare, ma Macbeth entra piè pari nella sua brillante dissertazione sul capitalismo contemporaneo, quello che uccide il sonno più subdolamente del generale scozzese regicida: il sempre aperto tutto il giorno tutti i giorni. In inglese, infatti, 24/7 significa “24 ore al giorno, sette giorni su sette” slogan lapidario come una data funesta (la copertina del libro richiama un po' il film Fahrenheit 9/11 di Michael Moore).
I moderni ladri di sonno non sono solo gli esercizi commerciali aperti la domenica, anche se sicuramente i negozi sono i principali indiziati insieme alle fabbriche dove, con l'introduzione degli orologi prima e dei marcatempo poi, è stata resa astratta la relazione tra tempo e lavoro disgiunta dai cicli dei movimenti lunari e solari. Commercio e manifattura, dunque, sono considerati dall'autore come i primi spazi dove il tempo viene dilatato e diviene s-misurato al fine di creare plusvalore. La disamina multidisciplinare di Crary non si sofferma troppo sui supermercati aperti tutta la notte (non esistono solo a New York, che tanto si sa che non dorme mai, ma persino a Roma, dove hanno appena firmato un'ordinanza per lasciare aperti in notturna persino i mercati rionali) ma si concentra quasi subito sulla refurtiva: il sonno mancato.
Il passero dalla corona bianca, ad esempio, studiato dai ricercatori dell'università di Madison che in autunno migra dall'Alaska al Messico e durante la lunga transvolata non dorme mai (riesce anche a genitori in viaggio con minorenni nella rotta tra Londra e San Diego ma il fenomeno non è stato ancora preso in esame dagli accademici del Wisconsin). Il fine della ricerca è di mettere a punto, a partire dall'attività cerebrale di questi instancabili volatili, tecniche antisonno da usare, tanto per cambiare, in ambito militare, un po' come era successo con l'internet degli albori. A proposito di rete: passando con grande maestria dagli esperimenti scientifico militari per avere una luce perenne, alle trame letterarie e cinematografiche sul sogno-incubo della lotte alle tenebre (da Bradbury a Mayer eTarkovsky) Crary approda alla rete informatica, ovvero alla dimensione dominata per eccellenza dalla continuità.
Il mainstreaming di qualsiasi cosa, l'eterno chiacchiericcio delle chat (monologo), l'offerta infinita dell'e-commerce: il web è il regno della disponibilità senza limiti che crea una serialità mascherata da proposta customised. La piaga dei nostri giorni e il vero crimine della rete, secondo Crary, è la lusinga dell'ego che proviene dai sistemi di comunicazione e dalle reti informatiche impegnate in una perenne opera di “sincronizzazione di massa di coscienza, memoria ed esperienza” simile a quella che avviene nella comunità globale di consumatori di droghe psicoattive.
Ci si altera per non dormire o per provare a farlo almeno il minimo indispensabile, considerando quanto il sonno sia disdicevole e la veglia indispensabile per evitare l’irrilevanza sociale e il fallimento professionale. Ci sono manager fieri di microsonni da dieci minuti, professionisti della "vigilanza" che misurano l’efficienza lavorativa in modo inversamente proporzionale al numero di ore dormite. E qui Jonathan Crary dice una cosa molto suggestiva che sarebbe piaciuta a Shakeaspeare: il sonno spaventa costoro perché implica fiducia, abbandono, liberazione dalla costante continuità, disimpegno, ingresso in uno in stato di misteriosa inattività e inerzia. Ma soprattutto perché, dandoci la prova di come la vita continui tranquillamente in nostra assenza, somiglia troppo alla morte.
Anche le apparecchiature informatiche, complici di veglie allucinate, hanno imparato a fare a meno di belle tirate ristoratrici, non si spengono quasi mai, al massimo vanno in pausa, anche loro praticano il microsonno: e in quei momenti di temporaneo off line l'essere umano si smarrisce in una realtà opaca, non sa che fare di fronte a quella che Crary chiama "l'interruzione dell'insularità fantastica digitale". Le alternative reali non sono altrettanto abbondanti e veloci anche perché nel frattempo si è di molto ridotta la capacità di ascoltare qualcun'altro e aspettare il proprio turno, ovvero si praticano sempre meno il rispetto e la pazienza.
Se la veglia prolungata della Ragione genera simili mostri, la speranza per Crary come per il Calvino delle Lezioni Americane, è riposta nel sonno e nel sogno che etimologicamente sono la stessa cosa. E il sogno ad occhi aperti, e monitor spento, fa il paio con la visione ad occhi chiusi: l’unico modo per trovare “nuovi inizi, più radicali, democratici e rivoluzionari”.
Silvia Veroli