CULTURA

La dura vita dello scrittore esordiente

C’è anche Elvis Malaj con il suo libro d’esordio in italiano Dal tuo terrazzo si vede casa mia, raccolta di racconti edita da Racconti edizioni, tra i 41 titoli proposti per il Premio Strega 2018. Nato in Albania ma naturalizzato italiano (vive nel nostro Paese da quando aveva 15 anni), Malaj è già autore di una serie di pubblicazioni a cui ha lavorato come scrittore autodidatta, come lui stesso si definisce, una ‘professione’ a cui si è dedicato per pura passione, incontrando, però, delle difficoltà sul suo cammino. Malaj, lontano dagli stereotipi e dalla retorica a cui siamo abituati, svela dei "retroscena" della vita di uno scrittore ai suoi esordi. Il famoso premio letterario, giunto quest’anno alla settantaduesima edizione, nominerà il vincitore il prossimo 5 luglio al Ninfeo di Villa Giulia a Roma.

Da che tipo di formazione scolastica vieni?

Dovrei avere da qualche parte un diploma di perito meccanico. Ho frequentato anche l'università, ho fatto due mesi di Fisica, due di Filosofia, e poi ho chiuso definitivamente con la formazione scolastica.

Dove e come è iniziato il tuo percorso per diventare scrittore, qualcuno ti ha spinto in qualche modo?

Il germe di questa, permettetemi di chiamarla, passione è nata tra i banchi di scuola quando sono venuto a conoscenza dei decadenti, dei poeti maledetti, dell'artista barbone, drogato, sfaccendato, inutile, ecc.... Mi sono identificato in questa, per me nuova, figura dell'artista. Per un po' non è successo niente, ma quel germe nel frattempo è diventato una ‘larva’. Nessuno mi ha spinto a diventare scrittore: solo la mia testardaggine. Avevo vent'anni e mi sembrava l'unica cosa che desse una parvenza di senso alla mia vita in quel momento.

Quali difficoltà hai incontrato lungo la tua ‘strada’?

Dividerei il mio percorso in tre fasi. La prima è quella in cui mi sono inventato scrittore, di punto in banco, quando dovevo capire come e cosa scrivere, ma soprattutto perché lo volevo fare. E avere un’ottima risposta all'ultima domanda è stato molto d'aiuto. Per quanto riguarda il come scrivere, me la sono cavata copiando gli altri. Riguardo il cosa scrivere, invece, me lo sono dovuto inventare.

Seconda fase: avevo scritto delle ‘cose’ e dovevo capire cosa farci. Le ho mandate in giro, a chiunque. Sono seguite le penose attese durante le quali controllavo ogni giorno la cassetta della posta, la mail e i siti internet cercando il mio nome nell’elenco dei finalisti di qualche concorso. Niente.  A un certo punto però, a meno che non si getti la spugna prima, qualcosa succede.

Nel mio caso sono stato scelto tra i finalisti del concorso letterario ‘8x8’ e da quel momento è cominciata la mia collaborazione con Oblique Studio, che poi è diventata l'agenzia che mi rappresenta. Incominciavo ad essere qualcuno: ero seguito da professionisti, imparavo da loro. Dopo molti alti e bassi (tra cui l’abbandono dell’idea di voler fare lo scrittore e un anno passato lontano dai libri) e dopo tanto lavoro, ho finalmente ‘sfornato’ il mio primo romanzo. Entusiasmo alle stelle!

Il mio agente mi aveva detto che il romanzo era finito ed era pronto per essere inviato agli editori. Quando gli ho chiesto a chi lo avrebbe mandato, i nomi che mi ha fatto mi hanno esaltato ancora di più. Nei mesi successivi abbiamo incassato diversi rifiuti ma dopo un po' ci abbiamo fatto il callo; abbiamo ricevuto anche responsi positivi e in più di qualche occasione alcuni editori avevano mostrato un reale interesse a pubblicarlo. In un caso in particolare sembrava cosa fatta ma poi, invece, non se n’è fatto più nulla. All’inizio non avevo capito perché, i retroscena li ho appresi solo in seguito. Il romanzo era piaciuto molto agli editori ma, per motivi su cui è meglio sorvolare, il direttore editoriale aveva deciso di no.

Poi la svolta?

Questa è la terza fase: sei uno scrittore ‘pubblicato’. La casa editrice Racconti edizioni ha deciso di mandare in stampa un altro mio libro, una raccolta di racconti. Il giorno dopo l'uscita, quando mi sono svegliato, mi sono reso conto che il successo tanto agognato consisteva nell’essere diventato uno dei tanti scrittori che ogni anno vengono pubblicati in Italia, di cui la maggioranza cade poi nell’oblio per rimanere soltanto tra i nomi di qualche inutile catalogo. Dovevo fare qualcosa. Questa è la parte più sporca del lavoro dello scrittore, in cui devi imparare un mestiere che non c'entra niente con il tuo: vendere e venderti. A questa fase seguono le presentazioni, una dopo l'altra, in librerie sparse per tutta Italia (per fortuna il mio editore mi rimborsa le spese del viaggio) durante le quali leggo sempre lo stesso racconto che fa ridere il pubblico (Vorrei essere albanese), riporto qualche aneddoto su di me che fa ridere, faccio qualche battuta che fa ridere (quando me ne vengono) e cerco di evitare di parlare di letteratura. Dopo la presentazione ascolto quello che hanno da dirmi, e di solito c'è sempre qualcuno che ha da dirmi qualcosa; faccio una battuta spiritosa (quando ci riesco), chiedo il nome a chi mi domanda un autografo, firmo e scrivo una dedica sulla prima pagina del libro. Quando tutto questo finisce e il pubblico se ne è andato, posso finalmente togliermi di dosso quel sorriso che ho dovuto tenermi stampato in faccia per l’intera serata.

Ma tutto questo ancora non basta. Cerco anche, quanto più possibile, di racimolare recensioni e interviste. Quando la rivista letteraria ‘vattelappesca’, di cui nessuno ha mai sentito parlare, mi manda una mail dove chiede di intervistarmi, rispondo sempre prontamente.

Un altro aspetto di questa fase è il rapporto con i miei amici. Qualcuno di loro, dopo aver letto qualche recensione che qualcuno ha condiviso su Facebook, a volte mi chiede: “Ma tu scrivi?”. Ad altri invece, che già sanno che scrivo e che mi avevano assicurato che avrebbero comprato il libro una volta uscito, mi tocca ricordare della pubblicazione: “Dai, che bello, ti do i soldi e mi porti una copia”. È la cosa che puntualmente mi rispondono tutti e che mi fa più incazzare. Allora, con calma, chiarisco che lo scrittore scrive il libro, l'editore lo pubblica e la libreria lo vende. Non so perché suoni strano che il mio libro si venda in libreria. E nonostante spieghi loro come funziona, mi dicono: “Ma no, meglio se me lo porti tu, così ti prendi i soldi”. Resto ancora calmo. “Allora ti lascio i soldi; passa tu in libreria a prendermelo perché io non ho tempo di andarci”, continuano. E vogliono per forza darmi i loro 14 euro. E quando succede, in un primo momento sono tentato di prendere i soldi e non portare nessun libro, tanto so che non lo leggeranno comunque. Poi succede che mi domandino: “Quanto hai speso per fartelo pubblicare?”. In questo caso la mia risposta è  che non sono il primo cazzone che passa per strada che ha deciso di mettersi a scrivere, che sono un professionista e che mi hanno pagato per scriverlo. E loro ci restano male.

Oltre a scrivere, fai o hai fatto un altro lavoro? Per forza. Ho collezionato una caterva di lavori che, anche se stanco, continuo tuttora a dover fare: muratore, addetto alle pulizie industriali, operaio manutentore, lavapiatti, magazziniere, addetto all’igiene, archivista, guardia notturna, ecc... È una doppia vita; durante il giorno posso ritrovarmi a inscatolare cosmetici che andranno a finire nei negozi di tutta Italia e la sera, in qualche libreria, a firmare autografi a signore di mezza età truccate con gli stessi cosmetici che ho inscatolato qualche settimana prima.

In Italia, secondo la tua esperienza, si può vivere di scrittura? E chi lo può fare?

Mi auguro di sì, altrimenti ho sbagliato mestiere. La percentuale degli scrittori che vivono di solo scrittura è molto bassa. Probabilmente solo i grandi nomi, il che è molto deprimente per un esordiente come me.

E all’estero?

Posso dire quello che so dell'Albania: lì nessuno vive di sola scrittura, a meno che non venda in qualche mercato estero.

Lo Stato aiuta i giovani scrittori? Se non lo fa, come dovrebbe contribuire?

Penso che lo Stato non c'entri. Sono già in tanti quelli che se ne lamentano, io almeno questa volta non voglio farlo. Poi non sono neanche italiano. Il punto è che tutti sono (o si dicono) scrittori; non ho ancora conosciuto una persona che non lo fosse. “Ah ma sai che anch'io ho scritto... Ma sai che anche a me piacerebbe scrivere….”, dicono in tanti.  Per questo, quando mi chiedono se sono uno scrittore, rispondo: “Sì, come tutti”. Penso che se lo Stato aiutasse gli scrittori andrebbe in fallimento. La cosa buona che potrebbe fare sarebbe, però, incentivare i lettori e la lettura.

Intervista di Francesca Forzan

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