CULTURA

L’inconsapevole popolo di Internet reso povero dai computer

In un laboratorio superprotetto, a poca distanza da New York, stanno insegnando a Watson una nuova funzione. Watson è il computer di Ibm che è riuscito a sconfiggere due campioni di Jeopardy!, il Lascia o raddoppia? americano, rispondendo a quiz che gli hanno fruttato una vincita da un milione di dollari (versata in beneficenza). Adesso Watson sta imparando qualcosa di più difficile, e infinitamente più delicato: il mestiere di medico. In grado di memorizzare 200 milioni di pagine di letteratura scientifica in tre secondi, Watson analizza le cartelle cliniche dei pazienti e, sulla base del suo sterminato bagaglio di nozioni, per ogni caso richiama gli studi specifici, li confronta, segnala le sperimentazioni in atto. Al termine della procedura, Watson formula due o tre opzioni terapeutiche, in ordine di plausibilità. Surreale? Talmente poco che Watson è già in corsia, sia pure in fase di test, in alcuni centri medici americani, dove primari entusiasti assicurano che permette di azzerare gli errori dovuti al fattore umano: dall’interpretazione della grafia del medico alla somministrazione dei farmaci da parte dell’infermiere.

Watson è uno dei meravigliosi e raggelanti protagonisti di Al posto tuo (Einaudi 2016), il reportage con cui Riccardo Staglianò, inviato di la Repubblica, racconta l’altra faccia della rivoluzione informatica: la distruzione progressiva di migliaia di posti di lavoro, dovuta alla sostituzione degli uomini con le macchine. Con una variante essenziale, rispetto alla rivolta degli operai inglesi contro il telaio meccanico. Secondo l’autore, la capacità dei computer di imparare concetti sempre più complessi è destinata a far scomparire non solo i lavori meno qualificati, ma anche un vastissimo ventaglio di professioni nelle quali competenza e creatività sono fondamentali. Per dimostrarlo, Staglianò passa in rassegna vari comparti, documentando come in alcuni casi (soprattutto in Oriente) l’informatizzazione stia già comportando la desertificazione delle fabbriche, mentre nella maggioranza dei settori il cambiamento è appena iniziato, ma sta producendo i primi effetti. Così, se i lavoratori dei call center scompaiono già a centinaia rimpiazzati da Amelia, il software che risponde meglio degli umani e impara dai propri errori, in quattro ospedali Usa si utilizza Sedasys, il robot anestesista: per il momento addormenta i pazienti solo in occasione di esami invasivi e non per interventi chirurgici, e sempre alla presenza di uno specialista. Ma il confine, anche nel mondo della sanità, è superato; ci sono robot-infermieri che, negli ospedali californiani, portano lenzuola, pasti, medicine, ma anche computer che leggono radiografie e vetrini dei test, fino a preparare da soli migliaia di dosi di farmaci per i reparti. Tutti esempi di sostituzione tecnico-macchina già in atto, seppure in ambiti d’avanguardia.

Staglianò è netto nel ribadire una convinzione: non esistono settori in grado di salvarsi. Nel giornalismo si sperimentano con successo i software-redattori, già in grado di rimpiazzare il cronista per narrazioni segnate da un sistema di regole e dati (eventi sportivi, report aziendali); le più prestigiose università fanno a gara per offrire corsi online gratuiti in cui docenti-star attraggono centinaia di migliaia di iscritti (numeri gestibili attraverso software di correzione automatica dei test); così come i fotografi, schiavizzati da agenzie dotate di immani data base digitalizzati, o gli analisti finanziari che soffrono la rivalità di programmi che consigliano investimenti in base a calcoli matematici e statistici. Soffrono (e chiudono) librerie e negozi di musica, per non parlare dei trasporti, che vedono non solo l’auto senza pilota, ma anche il camion automatizzato protagonisti di sperimentazioni che porteranno, in tempi molto più brevi di quanto si immagina, a rendere superflue legioni di taxisti e camionisti. Ma già oggi, spiega Staglianò, gli effetti della rivoluzione digitale sul mondo del lavoro sono evidenti: disoccupazione crescente, perdita del valore del lavoro umano, precarizzazione estrema (di cui la nuova frontiera sono i portali web di “lavoro a chiamata” in cui migliaia di poveri in tutto il mondo si contendono, in un’asta tragica, lavoretti pagati pochi euro).

Ancor più grave, per Staglianò, è la totale mancanza di consapevolezza sul nostro ruolo attivo nel fornire gratuitamente lavoro (e quindi valore) a pochi colossi digitali che sfruttano i nostri contributi online: dai post su Facebook alle recensioni su Amazon o Tripadvisor, il popolo del web alimenta senza capirlo una macchina miliardaria con l’illusione di servirsene, quando è vero esattamente il contrario. Una percezione falsata, illusoria, che trova l’apice nelle fantasie di migliaia di ragazzi che sognano un futuro da star di Youtube o dei social network, quando la verità è che, ad oggi, queste “professioni” garantiscono introiti magri e sporadici a chi le pratica, ma affari enormi ai siti che le ospitano.

Rimedi? Di fronte a una simile rivoluzione, per Staglianò l’unica arma è il senso critico: una coscienza che deve portarci a capire come la gratuità non può essere la regola che governa il nostro status di lavoratori-fruitori dei colossi web: o si recupera il senso del valore del lavoro individuale, o non si potrà che correre ai ripari quando sarà troppo tardi. E allora, per scongiurare un mercato al collasso, in cui la tecnologia produrrà servizi che nessuno potrà comprare perché senza reddito, non resteranno che meccanismi di parziale redistribuzione della ricchezza, tramite un nuovo welfare che le stesse multinazionali di Internet avranno interesse ad alimentare. Una visione apocalittica? Di certo lo scenario di Al posto tuo è quello di una fantascienza che di fantastico ha molto poco, e si avvicina alla quotidianità a grandi passi. I computer, a regime, costano enormemente meno del lavoro umano, hanno margini d’errore molto inferiori e imparano tantissimo, in fretta. E a loro, certo, non si applica la gag di Woody Allen citata dall’autore: “Ho preso lezioni di lettura veloce, e ho letto Guerra e pace in venti minuti. Parla della Russia”.

Martino Periti

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