CULTURA

Lutero, il rivoluzionario riluttante

Una meditazione sul teologo e riformatore tedesco, non – o non solo – una biografia: piuttosto il tentativo di fare i conti, a 500 anni dalla Riforma, con una delle figure più straordinarie della nostra epoca. Presenta così Adriano Prosperi, storico e accademico dei Lincei, la sua ultima fatica editoriale (Lutero. Gli anni della fede e della libertà, Mondadori 2017). “Finora, in particolare nei miei studi sulla crisi religiosa del ‘500, Lutero era sempre stato una presenza stabile ma in qualche modo sullo sfondo”, spiega Prosperi, invitato a Padova per una conferenza da università, Accademia Olimpica e Accademia Galileiana. Di qui la necessità di affrontarne nuovamente gli scritti, “stavolta però alla maniera di un seminario universitario: con una lettura cursoria e senza premesse particolari, partendo dall’inizio e seguendo l’evoluzione della sua opera passo dopo passo”. E gli appunti che si andavano via via accumulando alla fine sono diventati, in maniera inaspettata, un libro.

Professor Prosperi, ancora oggi Martin Lutero è uno degli autori più letti e citati: qual è il senso di un nuovo studio?

“Potrei genericamente rispondere che il nostro rapporto con il passato è simile a quello con il paesaggio: ci accompagna sempre ma cambia di continuo, ci racconta l’ambiente circostante ma anche qualcosa di noi. Così anche in Lutero è possibile ogni volta vedere qualcosa di diverso: d’altra parte si tratta del fondatore della cultura moderna e di colui che ha creato le basi della prima rivoluzione europea, da cui tutte le altre hanno preso le mosse. Ha quindi senso continuare a specchiarsi in questa figura, anche per cercare il senso di quest’epoca”.

Intellettuale o rivoluzionario: chi fu veramente Lutero?

“Tutte e due le cose. La sua figura costituisce certamente un modello intellettuale, ma intorno a essa si coagula anche l’esempio stesso di una rivoluzione che nasce da un sistema teorico. L’umanista Marcantonio Flaminio – che fu giudicato arci-eretico dalla Chiesa cattolica ma morì in casa di un cardinale – scrisse che Lutero è come il mare, dove si trovano tutte le acque. Fu indubbiamente un personaggio straordinario, dotato di una capacità di elaborazione intellettuale e di scrittura assolutamente non comuni. Ritroviamo in lui una mente fervida, una cultura che si allarga di continuo e uno stile intellettuale radicale e allo stesso tempo consequenziale, che basandosi sulle scritture riesce ad elaborare le risposte alle nuove laceranti domande di un Occidente che in quel momento si stava allontanando dalla dimensione rituale e collettiva della religiosità medievale”.

Come nasce la frattura con la Chiesa Cattolica?

“Alla base c’è una maturazione intensa e nascosta, condotta in una piccola città sperduta tra le foreste della Germania. Qui, ignorato dai più, Lutero può mettere a punto un pensiero originale e in totale conflitto con la realtà che lo circondava. Finché una sera, nel gabinetto del convento come lui stesso racconta, ha un’intuizione fondamentale sulla frase di San Paolo nella lettera ai Romani, secondo cui ‘il giusto vivrà per fede’ (Rm 1,17, ndr). Frase che lui poi tradurrà rafforzandola: sola fide, a cui aggiungerà sola scriptura”.

Che ruolo ebbe la vendita delle indulgenze? Le famose 95 tesi?

“Fin dal tardo ‘500 si diffonde come una specie di mito l’immagine del riformatore che esce dalla sua cella, la sera della vigilia di Ognissanti, per fissare con un chiodo le sue tesi sulla porta della chiesa del castello di Wittemberg, perché siano lette dal popolo che l’indomani la avrebbe affollata per lucrare sulle indulgenze legate alle numerose reliquie presenti (peraltro raccolte dall’elettore di Sassonia Federico il Saggio anche grazie all’aiuto di Lutero…). Si tratta in realtà di un’immagine influenzata dagli avvenimenti successivi; le cose, come ha dimostrato un allievo di Hubert Jedin, lo storico cattolico Erwin Iserloh, vanno diversamente: Lutero scrisse le sue tesi in latino, secondo modello che usava già per le sue discussioni accademiche, e le manda all’autorità ecclesiastica competente, il vescovo, per contestare la predicazione sulle indulgenze del frate domenicano Johann Tetzel. Il futuro riformatore insomma all’inizio si comporta da cattolico devoto e suddito obbediente”.

Qual è la risposta?

“Di fatto non c’è. Il principe vescovo passa lo scritto ai suoi teologi, che vi leggono un attacco all’autorità del romano pontefice: di quel Papa che, a partire da una corrente teologica sviluppatasi dal ‘300, era ormai considerato vice Deo, e di cui Lutero invece scriveva che ad esempio non può rimettere le pene nell’aldilà. E decidono di interpellare Roma”.

Si consuma qui la rottura?

“Anche in questo c’è una maturazione: a partire dall’inizio del 1518 ad esempio, mentre i suoi scritti si diffondono in tutta la Germania, Lutero comincia a firmarsi Eleuterio, ‘liberatore’. Una scoperta della libertà che culminerà nello scritto La libertà del cristiano del 1520. Intanto la sua fama cresce immensamente, grazie anche alla stampa, in un clima di crescente contestazione dell’autorità ecclesiastica. È in questo periodo che nasce il mito di Lutero-eroe, l’Ercole germanico. E muta anche la sua autopercezione come intellettuale: se nel 1516 aveva tentato di contattare Erasmo tramite l’amico Spalatino, qualche anno dopo il rapporto diventa alla pari. Le sue diffidenze e il suo deciso antiumanesimo renderanno però la rottura inevitabile”.

Il suo libro si ferma al 1522, con il ritorno a Wittemberg. Come mai?

“Ho voluto limitare il mio esame al Lutero liberatore, nella seconda parte della sua vita c’è soprattutto un ripiegamento sui problemi tedeschi, allo stesso tempo viene sempre più fuori nella sua opera un nucleo di profonda sfiducia e di disprezzo verso l’umanità, prima di tutto verso se stesso. Tenta così di frenare il movimento rivoluzionario che proprio da lui è nato, e accetta sostanzialmente il ruolo di inviato del principe per governare le plebi ignoranti. Rifiuta insomma ogni realizzazione della rivoluzione in terra, e quando alcuni suoi seguaci spingono troppo in là alcune sue posizioni, radicalizzano la sua tesi del sacerdozio universale dei credenti semplificando al massimo l'amministrazione dei sacramenti, rimane sconcertato. Allontana con sdegno lo stesso Thomas Müntzer, uno dei capi della rivolta dei contadini: per lui la vera riforma spetta solo a Dio, per questo aspetta fine del mondo e vede nel papato l’arrivo dell’anticristo”.

Appartengono a questa seconda parte della sua vita anche gli scritti antisemiti.

“Ovviamente Lutero non è antisemita. Ma il suo antigiudaismo, comune a tutta la tradizione cristiana, trova espressioni di una violenza inaudita, tali da spiccare nella letteratura antiebraica. Pagine atroci, che sarebbe ardito mettere in diretta correlazione con la Shoah ma che furono comunque usate dalla propaganda nazista (spingendo in tempi recenti la Chiesa Luterana a un mea culpa, ndr). È comunque vero che spesso Lutero si mostra del tutto indifferente davanti alla vita degli esseri umani, come ad esempio durante la repressione dei contadini”.

Foto: annotazioni sull’esemplare della Bibbia tradotta da Lutero esposta a Padova.

Perché la Riforma non si afferma a sud della Alpi?

“In Italia troviamo eretici, non riformatori.  Vi nascono pensieri radicali e audaci, gli umanisti rileggono Lucrezio mentre all’università di Padova Pietro Pomponazzi insegna che anche l’anima è mortale e si disgrega assieme al corpo. E il suo allievo Gaspare Contarini, durante una crisi di fede in gioventù, già prima di Lutero concepisce che l’uomo si salva solo attraverso la fede. Allo stesso tempo l’Italia è dominata spiritualmente e politicamente dal papato; lo stesso Contarini verrà riassorbito all’interno della Chiesa, adoperandosi per la sua riforma diventando addirittura cardinale”.

Oggi comunque Chiesa Cattolica e Luteranesimo sembrano essersi molto avvicinati.

“Per certi versi era inevitabile. Con la seconda guerra mondiale le Chiese hanno cambiato il loro orizzonte: tanto la luterana quanto la cattolica sono uscite dal conflitto con il peso di avere alimentato, supportato e sostenuto le ideologie che avevano trionfato in Italia e in Germania. Il riavvicinamento è diventato l’unica via per abbandonare le commistioni con il potere politico, e negli ultimi tempi il processo è accelerato”.

Proprio la Chiesa Cattolica e le Chiese Protestanti storiche appaiono però in particolare difficoltà

“Noi parliamo dalla nostra prospettiva, prospettiva, nella quale Cattolicesimo e Protestantesimo si sono da tempo stabilizzati in certe forme e modi: teniamo però presente che oggi il cristianesimo sta abbandonando l’Europa. E anche nel resto del mondo, persino nelle regioni cattoliche dell’America latina, dell’Africa e delle Filippine, si diffonde il protestantesimo delle cosiddette sette apostoliche, emozionale e profetico. Una delle tante evoluzioni del protestantesimo nella storia, che, come ha spiegato lo storico Alister McGrath, non è che l’ultima versione di una tendenza già presente in Lutero, l’ultimo sbocco esperienziale e soggettivista della sua religiosità. Perché, se si sostituisce all’autorità ecclesiastica una chiesa invisibile, che unisce tutti credenti giustificati dalla fede, diventa allora inevitabile arrivare a fenomeni settari di questo cristianesimo apostolico, emozionale e individualista”.

Cosa ci può dire la storia religiosa in un’epoca sempre più secolarizzata?

“Non mi fiderei comunque molto di espressioni come ‘fine della religione’. Lo si è detto già nell’800, che poi è stato uno dei secoli più religiosi; lo si dice anche oggi perché sta certamente cambiando il nostro rapporto con il sacro. Tutto però si può dire tranne che la religione non sia ancora centrale: ha semplicemente cambiato aspetto, si è deistituzionalizzata e ha perso gli aspetti di appartenenza rigida e rituale, ma allo stesso tempo si è fatta più insinuante, come qualcosa che allo stesso tempo è più vivo e meno afferrabile. A giudicare anzi dalla quantità di quello che si legge e si scrive, la religione sembra oggi essere rimasta l’ultima speranza di un cambiamento positivo nel futuro, dopo quella che è stata chiamata la crisi delle ideologie”.

Daniele Mont D’Arpizio

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