SOCIETÀ

Africa Climate Summit, tra contraddizioni e opportunità

Dal 4 al 6 settembre a Nairobi, in Kenya, si è tenuto l’African Climate Summit, incontro preparatorio alla Cop28 che inizierà a fine novembre a Dubai. L'obiettivo è stato quello di portare negli Emirati una voce unitaria che parli per tutti i Paesi africani e che permetta loro di guadagnare una posizione di rilievo nella lotta globale al cambiamento climatico e nella transizione energetica.

Il documento approvato in chiusura del Summit, la dichiarazione di Nairobi, chiede con forza lo sblocco dei finanziamenti necessari a tamponare i danni causati dal cambiamento climatico e a far decollare la transizione verso le fonti rinnovabili in un continente ricco di risorse, ma impossibilitato a sfruttarne i benefici.

Quanto compatto sarà il fronte africano alla prossima conferenza sul clima, tuttavia, è tutto da vedere. Al meeting di Nairobi non hanno partecipato i leader di alcune delle maggiori economie africane quali Nigeria, Sud Africa, Etiopia ed Egitto, quest’ultimo organizzatore lo scorso anno dell’ultima “Cop africana” sul clima, dove erano già state affrontate le questioni, note da tempo ma non meno attuali, che sono state riproposte al Summit di Nairobi.

Nonostante sia responsabile solo del 3% delle emissioni di gas climalteranti che dall’era preindustriale sono state rilasciate in atmosfera, l’Africa è tra le aree più vulnerabili al cambiamento climatico e si trova a subire maggiormente le conseguenze di un problema che ha contribuito a creare solo in minima parte. Da qui deriva il principio di giustizia climatica che ha portato per la prima volta proprio alla Cop27 all’istituzione del fondo loss & damage con cui i Paesi industrializzati dovrebbero riparare i danni e le perdite causate ai Paesi più colpiti dal riscaldamento globale.


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I meccanismi finanziari di funzionamento del fondo dovranno venir concordati alla Cop28 di Dubai, dove la finanza climatica resterà un ariete con cui i Paesi del Sud del mondo tenteranno di sfondare le resistenze di quelli industrializzati. La promessa fatta nel 2009 alla Cop15 di Copenhagen dei 100 miliardi di dollari che entro il 2020 sarebbero dovuti transitare dall’emisfero ricco a quello povero non è mai stata mantenuta: nel 2022 sono stati raggiunti poco più di 80 miliardi.

“Coloro che producono la spazzatura si rifiutano di pagare il conto” ha detto al Summit William Ruto, presidente del Kenya e padrone di casa, rivolgendosi a una platea in cui erano presenti anche delegati di Cina, Stati Uniti e Unione Europea, i tre blocchi che producono maggiori emissioni.

Oggi 600 milioni di africani (quasi la metà della popolazione del continente di 1,3 miliardi) non hanno accesso all’energia elettrica, nonostante il potenziale di fonti rinnovabili e minerali critici abbondi. Più di 4.000 persone sono morte nel 2022 a causa di eventi meteorologici estremi in Africa e 19 milioni sono stati colpiti dalle conseguenze di siccità o alluvioni, secondo Carbon Brief.

“Tra i 20 Paesi più interessati dalla crisi climatica, 17 sono africani” ha ammesso lo stesso John Kerry, inviato speciale per il clima degli Stati Uniti. Secondo quanto riportato dal presidente Ruto, nel 2022 l’Africa ha perso tra il 5% e il 15% della crescita del proprio PIL a causa degli effetti del cambiamento climatico, una cifra che oscilla tra i 7 e i 15 miliardi di dollari.

“Sta diventando sempre più difficile spiegare alla nostra gente, in particolare ai giovani, la contraddizione di un continente ricco di risorse ma con persone povereha detto la presidentessa dell’Etiopia Sahle-Work Zewde.

“Per lungo tempo abbiamo guardato a tutto ciò come a un problema. Ma ci sono anche immense opportunità” ha detto Ruto, con l’intento di dare una svolta alla narrazione. “Abbiamo il 60% del potenziale globale di rinnovabili e il 30% dei minerali cruciali all’elettrificazione” ha aggiunto. La priorità per l’Africa ora è venir raggiunta da flussi di finanziamenti, sia pubblici sia privati, per alimentare uno sviluppo sostenibile.

Tuttavia, per l’instabilità politica ed economica, l’investimento in Africa viene considerato rischioso e i prestiti di denaro richiesti da imprenditori e istituzioni africane devono fare i conti con tassi di interesse 4 o 5 volte più alti di quelli con cui deve misurarsi un Paese occidentale. Tra le cause, c’è l’asfissiante debito accumulato negli anni. Solo il 2% degli investimenti globali in energia pulita (1.700 miliardi di dollari nel 2023 secondo la IEA) arriva in Africa.

Anche alla Cop27 di Sharm el-Sheikh i Paesi del Sud del mondo avevano fatto pressione su istituzioni finanziarie come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale chiedendo un cambio di rotta che vada nella direzione di garantire un maggiore accesso al credito. Lo stesso chiede ora la dichiarazione di Nairobi in vista della Cop28 a Dubai.

William Ruto vede anche nel mercato dei crediti carbonici un’altra grande opportunità di finanziamento. “Il PIL dell’Africa dovrebbe venire rivalutato per i suoi asset, che includono la seconda foresta pluviale più grande del mondo e la biodiversità” ha rimarcato il presidente dell’African Development Bank Akinwumi Adesina. Lo stesso Ruto alla Cop27 aveva definito “esemplare” il progetto Northern Kenya Grassland Carbon Project che aveva anche ricevuto un prestigioso premio, il Triple Gold. Un anno più tardi però, un’indagine di Survival International aveva rivelato che il progetto non era in grado di conteggiare in modo affidabile le emissioni che avrebbe dovuto assorbire.


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Il cambiamento climatico è un freno a mano tirato per lo sviluppo africano e la transizione ecologica è sicuramente un’occasione di rilancio senza precedenti, a patto che gli interessi perseguiti non siano esclusivamente quelli dell’agenda dei Paesi già industrializzati e benestanti.

“Il Summit deve spingere per più che raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento e assicurare che siano basati sulle necessità dell’Africa, raggiungendo le comunità che stanno sul fronte della crisi climatica” aveva detto prima dell’inizio del Summit Mithika Mwenda, direttore esecutivo della Pan African Climate Justice Alliance, criticando il governo kenyota per quella che aveva definito “un’ossessione per il mercato dei crediti carbonici”.

Ruto è anche stato criticato per aver fatto marcia indietro sul fronte della conservazione naturalistica: a luglio aveva tolto lo stop agli abbattimenti nella foresta kenyota.

Più di 400 organizzazioni della società civile africana avevano anche firmato una lettera aperta rivolta a Ruto in agosto. “Alcune organizzazioni africane che portano avanti l’agenda occidentale hanno ricevuto un ruolo sproporzionatamente grande in questo evento. Il risultato è un’agenda del Summit che mette davanti le posizioni e gli interessi dell’Occidente, ovvero i mercati dei crediti carbonici, il sequestro di carbonio” e altri approcci di questo tipo ritenuti “false soluzioni” dai firmatari. “Questi approcci invece incoraggeranno le nazioni benestanti e le grandi aziende a continuare a inquinare il mondo, a danno dell’Africa”, aggiungevano nella lettera.

Le contraddizioni della risposta africana alla crisi climatica includono anche le diverse politiche che diversi Paesi intendono mettere in campo nei confronti dello sfruttamento dei combustibili fossili presenti nel territorio. Nigeria e Sud Africa intendono continuare a ricavare ricchezza dall’estrazione e dal consumo di petrolio e carbone. Uganda e Tanzania stanno procedendo nello sviluppo del progetto East Africa Crude Oil Pipeline della francese TotalEnergies. Egitto, Libia e Algeria hanno appena firmato nuovi accordi per lo sfruttamento dei loro giacimenti di gas, anche con l’Italia e l’Eni, che ha interessi in questo senso anche in Mozambico.

Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha duramente criticato al Summit questa dipendenza dai combustibili fossili, così come lo ha fatto il presidente del Kenya, il cui Paese riesce a far affidamento alle fonti rinnovabili per più del 90% del proprio fabbisogno energetico, grazie anche all’energia geotermica della Rift Valley.

“L’Africa non è solo la culla dell’umanità, ne è anche il futuro”: ha detto William Ruto, che con queste parole, sta tentando di presentare il proprio continente non più solo come vittima della crisi climatica, ma anche come alleato finora inascoltato nella transizione.

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