Una foresta di mangrovie rosse, l'ambiente di Thiomargarita magnifica. Foto: Katja Schulz/Flickr
La prima, grande ramificazione dell’albero – o meglio, dell’intricato cespuglio – della vita è quella che divide i tre grandi dominii della vita: procarioti, archea ed eucarioti. La principale distinzione tra essi sta, secondo la più affermata tradizione della biologia contemporanea, nel differente grado di complessità degli organismi. Mentre, infatti, il dominio degli eucarioti ospita una quantità di forme diverse, composte in molti casi da miliardi di cellule dotate, a loro volta, di complesse strutture interne, i due restanti dominii, procarioti e archea, sono stati spesso rappresentati come ‘semplici’, e in un certo senso meno evoluti. La principale differenza riguarda proprio la struttura cellulare di questi esseri viventi così diversi tra loro: solo le cellule eucariote, infatti, presentano nuclei cellulari ben distinti, che invece sono spesso assenti o solamente abbozzati in procarioti e archea.
Una recente scoperta, però, potrebbe mettere seriamente in discussione questa pacifica visione dicotomica. In un lavoro pubblicato, per ora, in pre-print, ma già ripreso dalla rivista Science, un gruppo di biologi francesi e americani ha annunciato di aver scoperto una nuova specie di batterio – che è stato denominato Thiomargarita magnifica – che ha veramente del magnifico: con la sua struttura unicellulare che raggiunge anche i due centimetri di lunghezza, è il batterio più grande ad oggi conosciuto.
In effetti, batteri, virus e altri microrganismi sono – come suggerisce la definizione – solitamente invisibili ad occhio nudo; organismi perlopiù unicellulari, la loro grandezza si misura in genere in micrometri (µm). Th. magnifica, tuttavia, è diverso. Individuato tra le mangrovie rosse (Rhizophora mangle) che crescono nell’arcipelago della Guadalupa, nelle Antille francesi, il batterio si presenta come una cellula dalla forma filamentosa, che forma stagionalmente dei ‘bouquet’ attaccati alle foglie cadute della pianta. Quel che è particolarmente sorprendente di questo organismo non è la grandezza in sé. Come i ricercatori sottolineano nell’intervista rilasciata per Science, sono diversi i procarioti e gli archea che raggiungono e superano il centimetro di grandezza: nella stragrande maggioranza dei casi, tuttavia, si tratta di agglomerati di cellule che cooperano a formare un nuovo organismo, fenomeno che in questo caso non è stato riscontrato. La natura dei filamenti, infatti, è stata confermata da diverse analisi: si tratta di un’unica, grandissima cellula.
The largest bacterium discovered yet could be a missing link between single-celled organisms and the cells that make up humans. https://t.co/iQO0HsS2zJ pic.twitter.com/0wme4dRPAh
— News from Science (@NewsfromScience) March 16, 2022
Per comprendere l’unicità di una simile scoperta, è necessario fornire un metro di misura: una cellula procariote misura, solitamente, tra i 2 e i 4 µm, mentre le cellule eucariote, pur raggiungendo, in rari casi, anche i 3-4 cm, si aggirano solitamente tra i 10 e i 20 µm.
Ma l’anatomia di questa curiosa cellula presenta anche altre caratteristiche inaspettate: tra queste, in particolare, un’inedita complessità strutturale. Se, fino a poco tempo fa, si credeva che i batteri fossero – come affermano gli autori della ricerca – delle semplici ‘sacche di enzimi’, oggi sono sempre più gli studi che mostrano come anche all’interno degli organismi batterici vi siano organuli che svolgono le più diverse funzioni. Tuttavia, sono ancora molto poche le evidenze che suggeriscono che vi possa essere, anche tra i batteri, una forma di segregazione, seppur non perfetta, del DNA, che nella maggior parte dei casi osservati è distribuito uniformemente nel citoplasma cellulare. Una delle caratteristiche più interessanti di Th. magnifica è che, come hanno evidenziato le analisi di laboratorio, questo batterio presenta una chiara segregazione del DNA all’interno di granuli circondati da una membrana; per di più, sono stati individuati dei ribosomi concentrati all’interno di questi granuli, che sono a loro volta presenti in ogni parte della cellula. Una tale compartimentazione ricorda da vicino la compartimentazione del genoma all’interno delle cellule eucariote, e prima d’ora non era mai stata osservata in un organismo batterico.
Un ulteriore carattere di novità nella struttura di Th. magnifica riguarda il suo genoma. Come altri batteri ‘giganti’ descritti in precedenza, anche questo essere vivente presenta una chiara poliploidia (la presenza di numerose copie degli stessi geni all’interno dell’organismo). Tuttavia, ancora una volta, sono le proporzioni a sorprendere: è stato stimato che, in una cellula di circa 2 cm, vi siano circa 750.000 copie del genoma. Si tratta del più alto numero di copie genomiche riscontrato in una singola cellula, un numero che supera di almeno un ordine di grandezza quello di tutti gli altri batteri giganti conosciuti. Anche il numero di geni è molto più alto rispetto al normale: circa 11.000, mentre una ordinaria cellula procariote ne contiene non più di un terzo.
Degno di nota è anche il ciclo di sviluppo del ‘nuovo’ batterio: la strana morfologia di questo organismo (un lungo filamento unicellulare con alcune gemme apicali, parzialmente separate dal resto della struttura) trova una spiegazione se si analizza il suo processo di crescita e riproduzione. A un certo stadio dello sviluppo, le gemme apicali si separano dalla cellula madre, formando nuovi individui per divisione cellulare. È interessante notare come questi organismi ‘figli’ ereditino soltanto una piccola parte del genoma, cioè quella contenuta nei granuli presenti nella parte apicale della cellula d’origine. Si tratta di un ciclo di vita e di una modalità riproduttiva già osservati in altri viventi (in particolare in un protozoo – Zoothamnium niveum – che vive in simbiosi con un batterio), e che potrebbe dunque costituire un caso di evoluzione convergente tra diversi dominii.
Questa scoperta ha entusiasmato il mondo della microbiologia per diverse ragioni: offre un gran numero di nuove evidenze che, pur non contraddicendo le conoscenze precedenti, ne estendono sicuramente l’orizzonte. Con il suo volume citoplasmatico, questo batterio è una confutazione vivente delle previsioni esistenti sui limiti massimi di crescita di un organismo unicellulare, che supera di ben tre ordini di grandezza. Fornisce, poi, un’ulteriore prova a conferma del fatto che i batteri possano essere strutturalmente e funzionalmente complessi, e che non per questo debbano essere considerati l’anello di congiunzione di un ipotetico cammino progressivo della vita verso una crescente complessità. Infine, questo ritrovamento suggerisce alla comunità scientifica di guardare al di là delle proprie convinzioni teoriche: gran parte del mondo microscopico (che, per inciso, rappresenta gran parte del mondo vivente) ci è ancora sconosciuto, e moltissime scoperte sorprendenti potrebbero essere «nascoste in piena luce».