SOCIETÀ

Chi è Gabriel Boric, il nuovo presidente del Cile

La “spallata” del 55 per cento fa di nuovo sognare il Cile. E porta la gente a scendere in piazza, a sventolare bandiere, a festeggiare con gli occhi lucidi di felicità e gli occhi del mondo puntati contro, e non per l’orrore dei crimini compiuti, ma per uno spiraglio di luce e di speranza; anzi ben più di uno spiraglio, come se il tunnel fosse finalmente finito, e il passato archiviato, per quanto possibile. Come 33 anni fa, nel referendum dell’ottobre 1988, quando la dittatura militare guidata da Augusto Pinochet fu spinta all’angolo dal voto popolare, senza però riuscire a dissolvere il vento di “destra” che ha continuato a soffiare impetuoso nel Paese. Domenica scorsa, con la stessa percentuale di voti (55%), il candidato leader della sinistra progressista, Gabriel Boric, è stato eletto presidente. Sarà lui a entrare a La Moneda, in quello storico palazzo che quasi mezzo secolo fa, l’11 settembre del 1973, fu teatro del violento colpo di stato, che portò alla morte del presidente democraticamente eletto, Salvador Allende («Non mi dimetterò. Pagherò con la mia vita la lealtà della gente»). Ora il nuovo inquilino è un “ragazzino” di appena 35 anni, laureato in giurisprudenza, ex leader della protesta studentesca, ecologista, femminista, sostenitore del rispetto dei diritti umani: un predestinato (appena ventenne Boric entrò al Congresso nazionale come legislatore della Camera dei Deputati, in rappresentanza della regione di Magallanes) che ha saputo diventare sintesi delle istanze delle forze progressiste del Paese, contrapposte al candidato dell’estrema destra, José Antonio Kast, origini tedesche, ammiratore dichiarato di Pinochet (il padre aveva la tessera del partito nazista di Hitler), che aveva chiuso in vantaggio il primo turno elettorale. 

Kast era (è) l’emblema della destra più estrema che arriva perfino a negare l’appartenenza all’estrema destra (modello Bolsonaro, o Trump, ma siamo circondati da esempi, anche in Europa): neoliberista, omofobo, antiabortista, pronto a tutto pur di fermare l’immigrazione agitando la retorica della “sicurezza”, senza tenere nel minimo conto le rivendicazioni territoriali delle popolazioni native, proponendo una diminuzione della spesa pubblica e delle tasse per le imprese, il tutto a favore del settore privato. Ma i cileni hanno detto no: hanno preferito voltare pagina. Soprattutto i più giovani, che ascoltando il programma del candidato di sinistra hanno visto riaccendersi una speranza per il futuro. L’affluenza al ballottaggio è così salita di una decina di punti rispetto al primo turno, fino a toccare la quota “magica” del 55%. Gabriel Boric s’insedierà formalmente, subentrando a Sebastián Piñera, il prossimo 11 marzo, quando avrà compiuto 36 anni: mai il Cile aveva scelto di dare fiducia a un candidato così giovane.

Cile verde, equità sociale e difesa delle minoranze

Che la sua elezione passerà alla storia s’è intuito fin dal primo discorso, la sera di domenica scorsa, quando Boric (cognome tutt’altro che sudamericano: i suoi bisnonni venivano dalla Croazia) ha declinato il suo “Buonasera Cile” anche nella lingua dei popoli nativi (Rapa Nui, Aymara e Mapuche), dando immediatamente un segnale della strada che intende percorrere. «Dico grazie a voi, a tutte le persone, a tutti i popoli che abitano la terra chiamata Cile». Per poi passare al tema dell’uguaglianza, dell’equità sociale, della lotta alle disparità, in un paese che figura ai primi posti delle classifiche mondiali (dove il 25% delle ricchezze è concentrato nelle mani dell’1%): «Dobbiamo muoverci in modo responsabile attraverso cambiamenti strutturali senza lasciare indietro nessuno», ha scandito Boric. «Dovremo non soltanto crescere economicamente, ma riuscire a convertire quelli che per molti sono beni di consumo in diritti sociali indipendentemente dalle dimensioni del portafoglio. E garantire a tutti una vita tranquilla e sicura». Ma nel suo “manifesto” (che prevede la riscrittura della Costituzione) c’è anche altro: c’è la difesa delle donne e delle minoranze («La non discriminazione e la fine immediata delle violenze saranno fondamentali nel nostro governo»), c’è l’intenzione di porre fine al modello neoliberista ereditato dalla dittatura e rendere pubblico il sistema sanitario (a contribuzione universale, e non più soltanto per coloro che non sono assistiti nel settore privato) e pensionistico. Tra i progetti, anche quello di fissare il limite massimo di 40 ore settimanali di lavoro (attualmente è a 45 ore, ma l’estrema povertà spinge spesso a superare la soglia, e le norme del “libero mercato” non pongono freni).

C’è poi il traguardo del “Cile verde” («Uno degli obiettivi del nostro futuro governo è accelerare la decarbonizzazione della nostra matrice energetica», aveva scritto Boric in un tweet pubblicato in campagna elettorale). Un “tratto” verde che passa anche attraverso un piano di riqualificazione energetica delle abitazioni, la trasformazione della flotta di autobus urbani ed extraurbani (da diesel a elettrico) e una gestione più efficiente ed equa dell’acqua. Tema quest’ultimo per nulla secondario, in un Paese che soffre di gravi siccità, dove il “bene” dell’acqua non è garantito come diritto umano, ed è attualmente nelle mani delle più grandi aziende agricole e zootecniche, con il risultato che ampie zone del territorio, e centinaia di famiglie, vivono ancora oggi senza acqua corrente.

Più tasse per i ricchi e lotta al cambiamento climatico

Naturalmente c’è il problema delle risorse da reperire, per finanziare l’incremento dei servizi pubblici. Che secondo il nuovo presidente avverrà attraverso un miglioramento della “progressività fiscale”, con aumento della tassazione per i più ricchi (l’1,5% dei contribuenti cileni guadagna oltre 4,5 milioni di pesos al mese, pari a circa 5.200 dollari) e la riduzione di alcune esenzioni fiscali (la manovra complessiva dovrebbe ammontare al 5% del Pil del Paese). Prevista anche l’introduzione di “tasse verdi” e una royalty (ancora da definire) per l’estrazione del rame (il Cile è il primo produttore al mondo). Del resto, il nuovo presidente non ha mai fatto mistero della sua sensibilità ambientalista. Il 6 dicembre scorso, sempre su Twitter, Boric prometteva: «Nei primi 100 giorni del nostro governo firmeremo l’Accordo di Escazú, per proteggere l’ambiente, gli oceani e le comunità che dipendono da loro». Il governo cileno ha finora rifiutato di firmare l’Accordo (un trattato internazionale tra nazioni latinoamericane e caraibiche che garantisce l’accesso alle informazioni sull'ambiente e la partecipazione del pubblico al processo decisionale) che può finora contare sulle adesioni di 24 Stati, soltanto 12 delle quali sono state poi ratificate dai rispettivi parlamenti.

La sfida di Boric e della sua squadra (tutti giovani, sotto i 35 anni: una nuova generazione che entra dalla porta principale nella politica cilena) non sarà semplice. Nelle sue vele soffia il vento di chi spera in un  cambiamento e in un miglioramento delle condizioni sociali (stagnazione degli stipendi e indiscriminati aumenti dei prezzi, dall’elettricità ai biglietti per i trasporti pubblici, dai medicinali al prezzo delle case). A patto che riesca a sfrondare le frange più estreme della coalizione che lo sostiene (Apruebo dignidad, frutto dell’accordo tra il “Frente amplio” di sinistra e il Partito comunista). Ma troverà comunque molti ostacoli sul suo cammino. I mercati azionari non hanno accolto bene la sua elezione: la Borsa di Santiago ha registrato un calo superiore al 7%, il peso cileno è sceso del 4%. La SQM Lithium, una delle più grandi società minerarie del Cile, ha perso oltre l’11% del suo valore. Numeri che indicano quale sarà, d’ora in avanti, la principale parola d’ordine per lo staff del giovane Presidente: “rassicurare”. Inoltre la sinistra non ha la maggioranza al Congresso, dove invece la destra è ancora molto forte e rappresentata. Secondo Michael Shifter, analista dell’Inter-American Dialogue di Washington, per Boric «governare sarà molto, molto difficile: il nuovo presidente dovrà negoziare, mediare, fare accordi e alleanze». Secondo un report di JP Morgan, per superare il lungo periodo di transizione (fino a marzo) «i mercati avranno bisogno di rapidi segnali di vera moderazione». Suggerendo poi cautela nella tempistica delle trasformazioni: «L’idea di mettere sul tavolo tutte le riforme contemporaneamente, senza poter contare su una solida maggioranza, potrebbe portare a un periodo di stagnazione». Per non parlare del tema della corruzione nella classe politica. Lo stesso presidente uscente, Sebastián Piñera, è stato accusato di corruzione per presunte irregolarità commesse nella vendita di una società mineraria (emerse dopo lo scandalo dei Pandora Papers). E la Camera dei Deputati aveva votato, il 9 novembre scorso, a favore della richiesta di impeachment. Voto ribaltato una settimana dopo dal Senato: nessun processo sarà celebrato a carico di Piñera.

Mani pulite e mente fredda

La vera domanda è: riuscirà Gabriel Boric a resistere? A ribaltare quella tendenza “circolare” che da mezzo secolo a questa parte ha portato in Cile ogni barlume di progresso a essere divorato da forze opposte e contrarie? Boric è giovane e trasmette il suo entusiasmo generazionale («con noi, a La Moneda entra la gente»), ma non appare uno sprovveduto («siamo le nuove generazioni che entrano in politica con le mani pulite, con un cuore caldo, ma una mente fredda»). Nel senso che sa perfettamente la portata delle sfide che lo attendono, al netto delle parole al miele che perfino gli avversari politici gli hanno concesso dopo l’elezione (in una campagna elettorale avvelenata da falsità e colpi bassi). Perfino il suo rivale José Antonio Kast, nell’amarezza della sconfitta inaspettata (la morte della vedova Pinochet, a pochi giorni dal ballottaggio, aveva fatto ipotizzare a diversi analisti un esito diverso), ha scritto su Twitter: «Ho appena parlato al telefono con Gabriel Boric e mi sono congratulato con lui per il suo grande successo. Da oggi è il Presidente eletto del Cile e merita tutto il nostro rispetto e la collaborazione costruttiva».

Si vedrà presto se questa apertura sarà reale o di facciata, a partire dai lavori dell’Assemblea Costituente (lo scorso anno il 78% dei cileni si è espresso a favore del superamento della “Carta” vigente nel periodo della dittatura militare). «Dobbiamo tutti impegnarci al massimo nel processo costituzionale, indipendentemente dalle nostre differenze politiche», ha ribadito Boric. Che vuole davvero porre le basi per indicare una strada nuova per il Paese, che vada oltre le dinamiche dei governi conservatori. «Una crescita economica basata sulla diseguaglianza profonda ha i piedi d’argilla», ha dichiarato il neo presidente. «Soltanto con la coesione sociale potremo parlare di un vero sviluppo, con la difesa della democrazia durante tutti i giorni del nostro governo». Per Boric i motivi che da due anni a questa parte hanno spinto la gente a riversarsi nelle piazze per protestare «sono tuttora reali, concreti. Dovremo muoverci a piccoli passi. Sapendo che destabilizzare le istituzioni porta direttamente al regno dell’abuso». Infine un riferimento di fermezza e sostanza al rispetto dei diritti umani: «Mai, per nessun motivo al mondo, si dovrà accettare un presidente che dichiara guerra al suo proprio popolo». E per un Paese che ha dovuto assistere per decenni, inerme, alle scorribande dei Carabineros non si tratta di dichiarazioni scontate.

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