Cultura

21 Luglio 2020

Il cielo di Gianni Rodari

I più fortunati e i più curiosi tra noi stanno ammirando in questi giorni la cometa Neowise che attraversa il cielo. Sulla natura di questi oggetti codati si è discusso a lungo. Galileo stesso le considerava, sbagliando, mere illusioni ottiche, dovuti all’interazione tra la luce del sole e i vapori che si elevano nell’atmosfera terrestre.

Ai tempi di Gianni Rodari la natura delle comete era, invece, ormai ben nota. Bolidi di ghiaccio sporco, di polveri e pietrisco che attraversano il sistema solare, descrivendo lunghe orbite intorno al Sole.

Nel sistema solare ridotto a giardino di casa dei terrestri, le comete non possono essere che divertenti aquiloni per i bambini di oggi, astronauti di domani. Come Rodari propone in Il mago delle Comete, una delle Favole al telefono.

Una volta un mago inventò una macchina per fare le comete. Somigliava un tantino alla macchina per tagliare il brodo, ma non era la stessa, e serviva per fabbricare comete a volontà, grandi e piccole, con la coda semplice o doppia, con la luce gialla o rossa, eccetera.

Il mago girava per paesi e città, non mancava mai a un mercato, si presentava anche alla Fiera di Milano e alla Fiera dei cavalli, a Verona, e dappertutto mostrava la sua macchina e spiegava com’era facile farla funzionare. Le comete uscivano piccole, con un filo per tenerle, poi man mano che salivano in altro diventavano della grandezza voluta, ed anche le più grandi non erano più difficili da governare di un aquilone. La gente si affollava intorno al mago, come si affolla sempre intorno a quelli che mostrano una macchina al mercato, per fare gli spaghetti più fini o per pelare le patate, ma non comprava mai una cometina piccola così.

- Se era un palloncino, magari, - diceva una buona donna, - ma se gli compro una cometa il mio bambino chissà che guai combina.

E il mago: - Ma fatevi coraggio! I vostri bambini andranno sulle stelle, cominciate ad abituarli da piccoli.

I bambini di oggi da adulti andranno nelle stelle: questa è davvero una nuova era. Che, Rodari ne è convinto, presto si affermerà. Ma non senza resistenze.

Neowise non se n’è ancora accorta. Ma il nostro rapporto con il cielo è cambiato.

«Si dice che l’astronomia sia stata inventata dai pastori, e i primi a osservare in modo sistematico il cielo notturno, sulle loro pianure riarse, dal cielo sempre limpido, sarebbero stati i caldei», scrive l’astronomo francese Jean-Pierre Verdet.

I Sumeri studiano per bene il cielo e i movimenti ciclici degli oggetti che lo popolano. E già a cavallo tra il III e il II secolo prima di Cristo nel Poema della Creazione descrivono un universo diviso in otto diverse sfere mobili, racchiuse le une nelle altre, che si muovono a velocità differenti e descrivono il moto dei sette astri erranti (Luna, Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno) e della sfera delle stelle fisse. Dividono il cielo delle stelle fisse in tre zone e ciascuna zona in dodici settori. Conoscono la precessione degli equinozi. E attribuiscono a precise influenze astrali tutti i fenomeni naturali che si verificano qui sulla Terra, inclusi i comportamenti umani. Pensano che ci sia un’assoluta omologia tra il cielo e la Terra. E che tutto quanto esiste e avviene qui da noi non sia altro che un’immagine, sia pure sbiadita e imperfetta, di ciò che sta nei cieli.

Il cielo è il mondo. Il mondo della perfezione in cui si rispecchia la terra.

Quegli uomini alzano gli occhi al cielo e si accorgono che ci sono dei movimenti nella calotta celeste, ma che questi movimenti sono ciclici. La ciclicità appartiene, in particolare, a due oggetti singoli facilmente distinguibili – il Sole e la Luna – e alle stelle. Il loro è un eterno e ordinato ritorno. Il cielo è, dunque, immutabile.

La visione che hanno i Caldei del cielo influenzerà la cultura greca e, quindi, la nostra stessa cultura. Anche per noi il cielo è il mondo. Il mondo della perfezione in cui si rispecchia la terra.

Come i pastori dell’Asia, che con le loro osservazioni hanno colpito l’immaginazione di Giacomo Leopardi, anche Gianni Rodari alza gli occhi al cielo, affascinato. Ma lui – come rivela in questo brano tratto da Il cielo, una delle storie raccolte in La macchina per fare i compiti e altre storie – quella volta celeste e ordinata non si limita a contemplarla, come i pastori caldei. Lui il cielo – contenitore e metafora del mondo – vorrebbe contemplarlo e nel medesimo tempo cambiarlo.

Quello di Gianni Rodari non è un sogno, a occhi aperti. In fondo il cielo, nel momento in cui scrive, sta già cambiando. Con i suoi razzi e le sue sonde che hanno iniziato a solcarlo, l’uomo ha iniziato a rendere il cielo un po’ meno immutabile. Un po’ meno ineluttabile.

Ma guardando il cielo e magari anche attraversandolo, gli umani si rendono conto dei loro errori. E magari qualcuno pensa di andarsene via. Il più lontano possibile … Su Plutone.

Oggi è considerato un pianeta nano, quindi non ha il rango di pianeta adulto. Ma siamo certi che lui, Plutone, laggiù, alla periferia del sistema solare, se ne infischi alquanto di quel che pensano di lui sulla Terra.

Prende il nome dal dio greco degli inferi. E, in fondo, il nanopianeta è un piccolo inferno gelato: (la temperatura media alla superficie è intorno ai 230 gradi sotto zero).

Eppure quel nanopianeta può essere un luogo migliore per vivere della Terra se il consorzio degli uomini decide di trasformare in un inferno il suo meraviglioso pianeta. Tratto da Il giudice a dondolo, nell’omonimo Il giudice a dondolo:

Plutone, è ovvio, è l’ultima ratio. Meglio per ora restare sulla Terra. E commettere meno errori.