CULTURA

Cinema, l’Iran disilluso da un Islam indifferente

Anche una piccola rassegna come l’Ischia Global Fest può offrire opere di notevole interesse e raro approdo sugli schermi. È il caso di The Badger di Kazem Mollaie, pellicola che rappresenta una cinematografia, l’iraniana, ben conosciuta per alcuni maestri di fama internazionale. Qui non siamo di fronte a un capolavoro ma a un thriller intimistico-familiare dalla buona fattura: e come ogni pellicola di genere girata con intelligenza, contorna i meccanismi della suspense di riflessioni sull’attualità, aggiungendo riferimenti politico-sociali necessariamente velati, vista la notoria scarsa simpatia per i filmmaker da parte dei dirigenti della Repubblica Islamica.

Protagonista è Soodeh, un’elegante donna di mezza età alla vigilia del suo secondo matrimonio con il compagno Rouzbeh, vita tranquilla che scorre tra lavoro, un’attività artigianale di produzione di biscotti e la lotta contro le termiti che stanno danneggiando il suo appartamento. Vive con il figlio Matiar, undicenne genietto appassionato di informatica e tecnologia, che spicca anche per il suo albinismo. Soodeh esita a rivelargli la notizia delle nuove nozze, temendo la sua contrarietà. Mentre tutto il Paese è impegnato nelle celebrazioni di Eid al-Adha, una delle principali feste islamiche, Matiar scompare all’improvviso. Soodeh riceve un video che prova il rapimento del figlio e riporta la richiesta di un forte riscatto in bitcoin entro ventiquattr’ore (non senza ragione: il padre di Soodeh è un ricco industriale, ma i due non si vedono da anni). La donna è sconvolta: annulla il matrimonio, accenna il fatto alla polizia ma non ha il coraggio di completare la denuncia. Tenta di raccogliere il denaro da sola, ma la colletta non basta. Non resta che rivolgersi a Peyman, l’ex marito e padre di Matiar, che darà alla vicenda una svolta. Ma il finale sarà meno lieto di quanto appare…

Servito da buoni attori (svetta la Soodeh di Vishka Asayesh), The Badger dipana la trama principale con un buon ritmo, raramente offuscato da passi falsi (i dialoghi non sempre tesi e funzionali; il personaggio del padre di Soodeh, ingessato in un make-up improbabile che danneggia non poco anche Rouzbeh). Ma l’elemento chiave è la ricchezza di riferimenti, impliciti ma evidenti, alle contraddizioni della società iraniana. Il dramma familiare va in scena nel pieno della festa religiosa, tra preghiere televisive e raduni di massa. Ma nella visione di Mollaie non c’è spazio per la pietà o il conforto della fede: i versi del Corano sono il contrappunto di una società indifferente, imbrigliata nei suoi riti, in cui le istituzioni celebrano se stesse ma non sono vicine ai cittadini (emblematica la figura della zia di Soodeh, presentatrice di un programma televisivo religioso, solidale con la nipote solo a parole).

La stessa Soodeh è una donna matura, disincantata, che dichiara apertamente il suo scetticismo verso il prossimo. La sua figura incarna, sussurrandola, la delusione dell’Iran laico e moderno per la rivoluzione e la perdita della libertà: ascolta rock, beve la Coca, riempie la casa (e il figlio) di tecnologia (e questo, come si capirà, non è detto sia sempre un valore). Ma se deve disinfestare la sua abitazione, è costretta a trattare con un tecnico pittoresco che le porta un tasso anti-termiti (“Badger” significa tasso, ma anche “assillare”, come i tormenti che torturano Soodeh). L’Iran di The Badger è dunque perennemente a due facce, sospeso tra reggae e blitz dei guardiani della rivoluzione, Internet e subordinazione femminile (Soodeh, ripudiata dal padre, fatica a conquistarsi un’indipendenza economica), canti islamici e una colonna sonora basata sulla musica da camera occidentale. Quanto all’albinismo, metafora forse troppo facile di alterità, accomuna tanto il piccolo Matiar quanto il nonno industriale, fisicamente simili eppure mai incontratisi: caratterizzati da un ulteriore punto di contatto, il denaro come mezzo per dominare le relazioni umane.

Se quindi la società è guidata dall’utile, e la solidarietà collettiva un valore desueto, non resta che aggrapparsi alle singole relazioni, sembra suggerire The Badger, quelle familiari in particolare. Ma, chiarisce il finale a sorpresa, anche la famiglia è ormai vissuta come un organismo artificiale, i cui rapporti sono governati da cinismo, soldi e tecnologia. Passatismo? Il regista oggi non ha più di quarant’anni, ma se dovessimo immaginare il personaggio del film in cui si identifica non avremmo dubbi: il vecchio militare in pensione che tutti i giorni, impeccabilmente in divisa, assiste in silenzio dalla sua finestra al gran teatro del mondo. Senza fiatare, ma con un’espressione piena di rassegnata mestizia.

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