CULTURA
Comandante a Venezia80: la legge del mare come imperativo etico categorico
Foto di Enrico De Luigi
A Venezia questo è l’anno del cinema italiano: anche a causa dello sciopero degli attori e degli sceneggiatori di Hollywood, sono ben sei i film nostrani in gara. Ad aprire la mostra, al posto di Challengers di Luca Guadagnino rimandato al 2024, c’è Comandante, di Edoardo De Angelis, con Pierfrancesco Favino che interpreta Salvatore Todaro, il comandante della Regia Marina Militare che nell’ottobre del 1940 decise di salvare dei naufraghi belgi a cui aveva appena affondato la nave.
La pellicola è tratta da una storia vera, e la figlia di Todaro, che all’epoca dei fatti era ancora nel grembo materno, ha affiancato il cast, in particolare Silvia d’Amico che interpreta sua madre Rina Anichini, per restituire al pubblico dei personaggi ancora più aderenti a quelli reali. Salvatore Todaro, nato a Messina ma cresciuto a Chioggia, è stato il comandante del sommergibile Comandante Cappellini, a bordo del quale fu protagonista di quello che oggi ricordiamo come un grande atto di umanità, ma che all’epoca non tutti presero bene. Le cose non dovevano andare così per forza, perché nel 1933 durante un incidente aereo si era rotto la colonna vertebrale trovandosi costretto a convivere con il dolore e a indossare un busto per tutta la vita. Avrebbe potuto chiedere la pensione di mutilato come gli aveva suggerito la moglie, ma decise di non farlo, trovandosi così, sette anni dopo, sul Cappellini nell’oceano Atlantico. La sua missione era quella di bloccare la rotta atlantica che permetteva i collegamenti tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, ma all’improvviso si vide attaccare dal piroscafo armato Kabalo, che batteva bandiera belga, e i belgi all’epoca erano neutrali. “E allora perché ci attaccano?” si chiedono gli italiani, ma è quasi una domanda retorica, visto che pochissimo tempo dopo scenderanno in guerra a fianco degli inglesi. Il Cappellini affonda il Kabalo a colpi di cannone, ma rimangono 26 superstiti sulle scialuppe. Il Comandante è un soldato, ma è anche un marinaio, e la legge del mare non ha bandiera: i naufraghi vanno soccorsi, indipendentemente dalla loro provenienza. Così inizialmente rifornisce i belgi di generi di prima necessità, facendogli capire che non può prenderli a bordo e si limita a traghettarli con l’idea di portarli fino al primo porto. Non serve pensare che quelli che ha soccorso potrebbero essere dei nemici, sul Cappllini non c’è comunque posto per tutti. Poi però si rende conto che sarebbero destinati a morte certa, così, il Comandante torna sui suoi passi, anche se questo vuol dire che alcuni dei superstiti dovranno viaggiare allo scoperto sulla torretta e questo significa che il Cappellini deve continuare in emersione quella che è diventata di fatto una missione di salvataggio, altrimenti se si inabissa, la maggior parte dei superstiti morirà affogata.
Todaro fa la sua scelta, e se ne prende la responsabilità. Rinunciando a una dignitosa pensione aveva messo il suo dovere verso la patria al di sopra della famiglia, ma le regole del mare avevano la precedenza su tutto il resto. Decidere di salvare quei naufraghi gli attirerà, fuor di pellicola, le critiche di alcuni superiori e dell’ammiraglio tedesco Dönitz, al quale si dice che abbia risposto
“ Gli altri non hanno, come me, duemila anni di civiltà sulle spalle Salvatore Todaro
Del resto poi il rimprovero non gli impedì di fare la stessa cosa poco tempo dopo con i naufraghi del piroscafo armato Shakespeare. Quella di Salvatore Todaro è una storia forte, ma ha alcuni limiti nella realizzazione cinematografica. La seconda parte del film è godibile, soprattutto per chi apprezza questo tipo di celebrazione dell’eroismo e dell’umanità, al di là degli ordini impartiti. La prima parte appare invece scollata da tutto il resto, e la sceneggiatura soffre di un’eccessiva patina letteraria (non inganni il fatto che a fianco di De Angelis ci sia lo scrittore Sandro Veronesi) con dialoghi troppo lirici per il contesto, il personaggio femminile maldestramente portato avanti sotto forma di ricordo ma che soccombe anche narrativamente alla carriera del marito (e ciò non impedisce, su pochissime scene totali, di vedere l’attrice seminuda, in un elogio del suo ruolo di moglie e madre in salsa pacifista, mentre le inquadrature indulgono sul corpo dei soldati solo quando si tratta di sottolineare ferite e sofferenze). Non aiuta nemmeno il fatto che la recitazione di Pierfrancesco Favino che si deve cimentare con il dialetto veneto (nella koiné regionale, preferita alla più cantilenante varietà chioggiotta) risulta piuttosto forzata, al punto che il collega Massimiliano Rossi, napoletano, suona più credibile.
Quella di Salvatore Todaro è una storia forte, ma ha alcuni limiti nella realizzazione cinematografica. La seconda parte del film è godibile, soprattutto per chi apprezza questo tipo di celebrazione dell’eroismo e dell’umanità, al di là degli ordini impartiti. La prima parte appare invece scollata da tutto il resto, e la sceneggiatura soffre di un’eccessiva patina letteraria (non inganni il fatto che a fianco di De Angelis ci sia lo scrittore Sandro Veronesi, comunque già avvezzo al lavoro cinematografico) con dialoghi troppo lirici per il contesto, il personaggio femminile maldestramente portato avanti sotto forma di ricordo ma che soccombe anche narrativamente alla carriera del marito (e ciò non impedisce, su pochissime scene totali, di vedere l’attrice seminuda, in un elogio del suo ruolo di moglie e madre in salsa pacifista, mentre le inquadrature indulgono sul corpo dei soldati solo quando si tratta di sottolineare ferite e sofferenze). Non aiuta nemmeno il fatto che la recitazione di Pierfrancesco Favino che si deve cimentare con il dialetto veneto (preferito al più cantilenante sottogruppo chioggiotto) risulta piuttosto forzata, al punto che il collega Massimiliano Rossi, napoletano, suona più credibile.
A parte queste sbavature e un paio di altre scene poco contestualizzate, come quella della ribellione, portare questa storia a Venezia è un atto di coraggio, tanto che in conferenza stampa è stato chiesto a De Angelis come secondo lui avrebbe accolto il film Matteo Salvini, che dovrebbe essere in sala alla prima per il pubblico. Perché il riferimento alle morti nel Mediterraneo è cristallino, e anche se non lo fosse basterebbero le dichiarazioni di De Angelis, Veronesi e Favino per sciogliere ogni dubbio. Del resto Comandante non ha un intento politico, ma vuole restituire alle nostre anime quel senso di umanità che dovrebbe essere comune tutti i cittadini del mondo, soprattutto a quelli che danno gli ordini, e che invece troppe volte sembra si sia perso nella rincorsa alla pancia dell’elettorato e purtroppo non solo. De Angelis ha risposto che non ha il controllo sulle reazioni al suo film ma che si augura che chiunque lo guardi comprenda che ci sono delle leggi eterne e immutabili, come quella del mare, che non vanno infrante mai.
E comunque una risposta l’aveva già data nel film, sia nel dialogo di Todaro con il suo secondo (“Non te riconosso… semo in guera!” “Semo ancora omeni, però”) sia nella battuta che riassume il senso della storia:
“ Noi affondiamo il ferro nemico sensa pietà, ma l’uomo... L'uomo lo salviamo Salvatore Todaro