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Una delle questioni più accese di questi giorni, relative alle politiche di contenimento dell’infezione da coronavirus, riguarda i cosiddetti asintomatici, ovvero coloro che non presentano sintomi quali febbre o tosse ma che sono positivi al test. Le direttive dell’Oms prevedono che il test venga effettuato solo ai sintomatici, ma la Regione Veneto programma di estendere il tampone anche agli asintomatici che sono entrati in contatto con i positivi.
Il direttore dell'unità di microbiologia e virologia dell'ospedale di Padova Andrea Crisanti, intervistato da Radio3Scienza, ha spiegato le ragioni dell’ampliamento della campagna dei tamponi, cui risulta favorevole anche Antonella Viola, direttrice scientifica dell’Istituto di ricerca pediatrica-Fondazione città della Speranza e docente di patologia generale all’università di Padova. Contrario alla strategia proposta dal Veneto è invece Walter Ricciardi (consulente del ministero della salute), che rimane fermo sostenitore delle linee guida dell'Oms.
Abbiamo raggiunto il professor Giorgio Palù, professore emerito di microbiologia e virologia dell’università di Padova, favorevole a monitorare e proteggere categorie di soggetti a rischio, oltre che il personale sanitario. Secondo Palù però eseguire tamponi a tappeto alla popolazione non risolverebbe il problema dal punto di vista clinico e igienico-sanitario. La situazione in Lombardia inoltre dà ragioni di ritenere che il coronavirus sia un'infezione nosocomiale.
Cosa ne pensa della strategia annunciata in Veneto di aumentare il numero di tamponi giornalieri ed estenderli agli asintomatici?
Al 19 di marzo il Veneto ha fatto quasi 45.000 tamponi, secondo solo alla Lombardia che ne ha fatti più di 52.000, che però ha il doppio degli abitanti, 10 milioni. Le linee guida da seguire sono quelle dell’OMS e si trovano sul sito ECDC: i tamponi vanno fatti ai sintomatici e ai contatti di chi è risultato positivo al test.
Si è detto che l’aumento dei tamponi somiglia alla strategia adottata in Corea del Sud. In Corea ci sono stati due focolai con epicentro ben definito, sono stati ricostruiti i contatti dei primi pazienti e da lì si è partiti per effettuare 300.000 tamponi. Così i Coreani hanno controllato la diffusione del contagio e stabilito un nesso reale tra positività al test e letalità del virus, che si è attestata al 0,9%-1%. Ad oggi ci sono 91 morti in Corea del Sud su meno di 9000 contagiati.
Anche in Cina hanno condotto un’analisi massiva nella provincia di Guangdong, una provincia apparentemente non in contatto con il focolaio di Wuhan, trovando una positività dello 0.01%, pochissimo.
In Veneto recentemente si è parlato di attivare una campagna con tamponi effettuati a tappeto sulla popolazione con l’intento di ridurre la diffusione del virus da parte dei soggetti pauci (con lievi sintomi) o asintomatici. I laboratori di Microbiologia non hanno però le risorse strumentali, di personale e reattivi per eseguire 10.000 test al giorno. Ma soprattutto, anche se dovessimo trovare qualche individuo asintomatico positivo fuori da un supermercato, che misure saremmo in grado di prendere? Dovremmo metterlo in isolamento! Ma abbiamo già un decreto che prevede tale misura. Si tratterebbe dunque, piuttosto, di fare rispettare rigidamente il decreto attuale incrementando il più possibile il distanziamento sociale. La diagnostica applicata a tappeto sulla popolazione sarebbe un approccio poco utile sul piano della riduzione del contagio e quindi del valore Ro (indice riproduttivo) del virus stimato intorno a 2,5 (un soggetto positivo può trasmettere l’infezione a 2,5 soggetti tra quelli con cui viene in contatto). Fare tanti test serve quando si ha un focolaio ben preciso, non infezioni sporadiche. Abbiamo già superato quella fase dell’epidemia. Il virus è già diffuso nella popolazione: quando i buoi sono scappati dalla stalla è inutile chiudere la stalla. Semmai dovremmo insistere con misure di isolamento più drastiche e con la chiusura ulteriore di attività pubbliche (trasporti, riunioni etc.). Fare più tamponi agli asintomatici indiscriminatamente adesso non serve ed è scientificamente poco giustificabile anche per la natura stessa del test molecolare applicato al tampone, il cui potere diagnostico dipende strettamente dalla fase dell’infezione (lo stesso soggetto può essere trovato un giorno negativo e l’altro positivo).
Cosa voleva dire allora il direttore dell’OMS quando ha dichiarato che bisogna fare test, test, test?
Si rivolgeva a chi non li fa o ne fa pochi! Ci sono interi Paesi che non adottano ancora adeguate misure diagnostiche dove il contagio è in fase di rapida ascesa. Come sostengo da tempo, questa è un’infezione nosocomiale (il virus si diffonde bene negli ospedali) anche la SARS si comportava così. Un piccolo indizio ce l’abbiamo dal fatto che sono stati trasferiti pazienti positivi dal piccolo ospedale di Lodi a quello di Bergamo e successivamente abbiamo avuto un aumento delle infezioni e delle morti nella provincia bergamasca. In Lombardia ci sono più persone infettate perché il tasso di ricoveri è del 60%, rispetto ad una casistica mondiale del 15% e ad un tasso di ricoveri del 20% nel Veneto. I dati ci dicono poi che il 6% dei ricoverati va in rianimazione, mentre noi su scala nazionale abbiamo il 10%. Un ospedale pieno di pazienti positivi al virus ricrea il modello di un melting pot, un calderone. Si ricrea una Diamond Princess, dove le cabine della nave sono strette e i sistemi di aerazione sono comuni. Un recente lavoro sperimentale (pubblicato sul New England Journal of Medicine) mostra che in una piccola cubatura aerea l’emivita del virus è di un’ora circa, condizione sufficiente, in un luogo isolato, perché il virus si possa trasmettere da una persona all’altra. I tamponi andrebbero perciò eseguiti in primis al personale sanitario, che lavora negli ospedali, nelle case di ricovero, in comunità, ai tecnici di radiologia, a chi è necessariamente in contatto con la gente perché svolge un ufficio pubblico (poliziotti, carabinieri, responsabili di attività indispensabili….) A questi dovremmo fare i test con priorità per proteggere i più gracili ed esposti (pazienti immunodepressi, anziani) non a tappeto per trovare genericamente l’asintomatico positivo.
Perché la Lombardia ha ospedalizzato così tanti pazienti?
Credo perché ogni minuto si parla del coronavirus sui media, in una sorta di contagiosa isteria comunicativa; la Lombardia, oggetto inizialmente di critiche come modello di sanità di eccellenza, ha voluto dimostrare la sua efficienza puntando sui ricoveri. Il Piemonte la sta superando con un tasso di ricoveri di circa l’80%. La misura migliore invece è l’isolamento fiduciario. All’inizio è stato applicato l’isolamento con quarantena solo alle prime zone rosse, cioè ai comuni del lodigiano e a Vo'. Poi si è esteso a livello provinciale, regionale e solo dopo una certa esitazione al centro-sud. Ritengo che saranno proprio queste popolazioni a beneficiarne di più se verranno rispettate le disposizioni previste dal decreto 11/3/2020, essendo queste tanto più efficaci quanto più celermente introdotte ed applicate dove l’epidemia si presenta ancora con casi sporadici. A tale proposito, da una statistica locale, sembra che in Sardegna, da quando hanno applicato le misure isolamento, la curva che indica il tasso di nuovi casi incidenti sia in regresso.
La Regione Veneto ha citato il successo del caso di Vo', dove è stato fatto il test a tutta la popolazione, per giustificare l’ampliamento dei tamponi.
Lo studio di Vo' (due campionamenti condotti a distanza di 14 giorni su circa 3.000 abitanti), oltre a confermare che la maggior parte dei soggetti positivi al test (circa 3%) è asintomatica, supporta l’efficacia già nota dell’isolamento e della quarantena. È uno studio condotto su di una piccola popolazione ed ha quindi una significatività relativa. Su numeri così ridotti di positivi si sarebbero potute studiare altre caratteristiche dell’epidemia e della biologia del virus importanti per comprenderne la natura quali la durata dello shedding virale (cioè la liberazione del virus dalle mucose) in rapporto alla trasmissione in ambito familiare o dei contatti e le caratteristiche genetiche del SARS-CoV-2. Aspetteremo la pubblicazione dei risultati, ma sostanzialmente cosa dimostra lo studio di Vo'? È una conferma che l’isolamento è efficace e che la diffusione del virus si spegne perché l’isolamento funziona. Purtroppo non mi risulta che ci sia ancora evidenza dell’isolamento del virus.
Quindi i tamponi andrebbero fatti, non genericamente a tutti gli asintomatici ma solo su determinate categorie?
Ormai l’Italia ha più morti della Cina e siamo quelli che hanno eseguito più tamponi in Europa. In Corea del Sud pare addirittura che l’infezione stia ripartendo, a distanza dei due focolai principali, nonostante lo sforzo diagnostico messo in atto. Questo è un virus subdolo, molto contagioso per l’uomo che necessita di misure drastiche sul tipo cinese. Credo che anche da noi ci si sia ormai resi conto che eseguire tamponi a tappeto alla popolazione non risolverebbe il problema dal punto di vista clinico e igienico-sanitario. Servirebbe piuttosto uno studio di sieroprevalenza su diversi strati di popolazione, l’unica indagine capaci di darci informazioni precise sulla vera diffusione del virus e quindi sui veri tassi di morbosità e letalità. Come ho già più volte pubblicamente sostenuto e richiamato anche sopra, andrebbero fatti tamponi (oltre ai sintomatici e ai contatti dei casi positivi) con priorità a determinate categorie, quelle più a rischio di infettarsi e di trasmettere l’infezione ai soggetti più gracili ed esposti. La letalità è molto elevata negli over 70 e over 80, oltre il 90%-95%. Bisogna quindi monitorare e proteggere queste categorie di soggetti: gli anziani ricoverati nelle case di riposo, gli immunodepressi, i malati oncologici, i bambini leucemici, i pazienti sottoposti a chemioterapie, controllando con i test tutto il personale sanitario che entra in contatto con loro ed il personale che mantiene la funzionalità di strutture indispensabili che non possiamo chiudere.