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Corsa agli armamenti: le conseguenze del ritiro USA dal trattato INF

Lo scorso 2 febbraio il segretario di stato americano Michael R. Pompeo ha formalmente comunicato alle parti (Russia, Bielorussia, Kazakhstan, Turkmenistan, Ucraina e Uzbekistan) il ritiro degli USA dal trattato Intermediate-Range Nuclear Forces – INF –, che dal 1988 proibisce di testare e acquisire missili balistici e cruise con base a terra di gittata fra 500 e 5.500 km (IRM). 

L’intenzione americana era già stata annunciata al presidente russo Vladimir Putin dal consigliere per la sicurezza nazionale americana John Bolton alla fine dello scorso ottobree il 4 dicembre il governo USA aveva dichiarato che la Russia violava il trattato con test del missile SSC-8 o 9M729 e che avrebbe sospeso i propri obblighi in base all’INF se entro 60 giorni la Russia non dimostrasse pieno rispetto dell’accordo.

La Russia nell’incontro con la NATO del 25 gennaio scorso ha continuato a sostenere che il missile incriminato ha gittata di 480 km e quindi è compatibile con l’INF, accusando a sua volta gli USA dell’installazione in Europa di sistemi antimissilebalistico SM-3/Mk-41 adeguati anche al lancio di cruise IRM; il 1 febbraio il Consiglio della NATO ha fatto propria la posizione americana, garantendo il proprio appoggio al ritiro degli USA dal trattato.

In base all’articolo XV, l’INF rimane in vigore per ulteriori sei mesi, tempo a disposizione delle parti per risolvere le questioni pendenti e salvare il trattato. A tal fine, alcuni governi della NATO hanno proposto che le due potenze aprano i rispettivi siti dei missili incriminati a visite congiunte esperti russi e americani per una verifica delle effettive prestazioni degli apparati, e siano pronte a eventuali modifiche degli apparati in modo da farli rientrare nelle condizioni previste dall’INF. Tuttavia, visti lo stato dei rapporti russo-americani e la comune volontà di liberarsi da un trattato che entrambi i paesi ritengono un vincolo pesante alla propria libertà d’azione militare, non ci sono realistiche speranze che l’INF sopravviva al prossimo 2 agosto.

In assenza del trattato c’è il rischio concreto di una nuova competizione, costosa e destabilizzante, fra le due potenze, per la produzione di missili IRM, con testate convenzionali o nucleari: il Congresso americano ha approvato per il 2019 una spesa di 48 milioni di dollari per ricerca e sviluppo di tali armi, per esempio adattando per basi a terra gli esistenti missili aria-suolo dell’aeronautica o i Tomahawk della marina. Putin, da parte sua, ha dichiarato il 18 dicembre che “se gli USA rompono il trattato, la Russia sarà costretta  a prendere misure addizionali per rafforzare la propria sicurezza”, per esempio modificando cruise missili marini per lanciatori terrestri mobili. 

Non è al momento prevedibile dove gli USA potranno installare a terra i futuri missili, data la resistenza già indicata da parte di alcuni paesi europei e asiatici. Più concreto ritengo il rischio che a fronte del temuto schieramento dei sistemi russi in veste anti-europea, la NATO decida di sviluppare ulteriormente sistemi anti-missile balistico: questo a sua volta sarebbe un incentivo per un aumento delle forze russe, in una spirale assurda e pericolosissima.

Al di là degli aspetti militari, la fine dell’INF ha un immediato impatto sulla delicata struttura del sistema di controllo degli armamenti, in particolare sul trattato di non-proliferazione (NPT) e il New START. 

Il positivo compimento nel 1991 delle previsioni dell’INF con la distruzione di 2692 missili modernissimi è stato un fattore importante per l’estensione indefinita dell’NPT nella conferenza di revisione-estensione del 1995, mentre ora il suo superamento e la minaccia di una nuova corsa agli armamenti è chiaramente una violazione dello spirito dell’articolo VI e creerà ulteriori tensioni e contrapposizioni nei lavori preparatori della conferenza di revisione del 2020, indebolendo la tenuta del trattato.

Il New START prevede un delicato conteggio dei sistemi nucleari “strategici”permessi a Russia e USA, non ponendo limiti su quelli non precisamente indicati negli annessi all’accodo: i sistemi IRM non vengono conteggiati e quindi i due paesi sono liberi di produrne a piacere, ma nei fatti questi missili, opportunamente installati, hanno chiaramente capacità “strategiche”, ossia tali con obiettivi i gangli politico-sociali cruciali e le forze nucleari strategiche dell’avversario, “con lo scopo di una progressiva distruzione e disintegrazione della capacità nemica di guerreggiare e della sua volontà di  combattere”. Che senso ha allora limitare a 700 i  vettori previsti nel New START, con precise procedure di verifica, se se ne possono aggiungere a volontà senza controllo?

Anche il New START è nella lista dei trattati che secondo Trump e Bolton sono una palla al piede degli USA, e sono già iniziate le denunce di inadempienza, viatico alla non-estensione del trattato al suo scadere nel 2021. Dopo di che dell’architettura di limitazioni alle armi nucleari faticosamente costruita negli ultimi 50 anni resteranno solo le macerie.

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