SCIENZA E RICERCA

Costruire mattoni viventi, grazie ai batteri

Immaginate un edificio che si ripari da solo, che sia in grado di interagire con l’ambiente circostante e che possa addirittura purificare l’aria dalle tossine: sembra fantascienza. Eppure una recente ricerca portata a termine da un gruppo di studiosi dell’università del Colorado, guidato da Wil Srubar, sembra rendere tutto ciò decisamente realistico. È una delle ultime frontiere del settore d’indagine degli ELM (Engineered Living Materials), la cui ratio consiste nello sfruttare le proprietà di forme di vita semplici come i batteri per applicarle nei campi più svariati, dalla medicina all’edilizia.

Proprio nella direzione dei LBM (Living Building Materials) si muove la ricerca proveniente dal laboratorio di Srubar: gli studiosi sono riusciti a creare dei mattoni non solo viventi, ma anche in grado di riprodursi. Sono composti da colonie di cianobatteri del genere Synechococcus che, se posti in una coltura di gelatina e sabbia, si riproducono e creano un precipitato di carbonato di calcio, che va a formare la parte dura e resistente del mattone. La particolarità di questo materiale è che, in determinate condizioni di umidità, riesce a mantenersi “vivo” anche per tre cicli riproduttivi: in laboratorio, infatti, i ricercatori sono riusciti a ottenere, tramite duplicazione, fin a otto nuovi mattoni dal prototipo iniziale.

Come sottolineano gli stessi autori dell’esperimento, la ricerca è ancora in fase sperimentale; le aspettative, tuttavia, sono alte, e già si pensa alle molteplici possibilità di utilizzo di questo tipo di tecnologie. Un recente articolo di Science traccia una panoramica dei molteplici sviluppi di questi nuovi “materiali viventi”: rimanendo in ambito edile, ad esempio, sembrano molto promettenti non solo le loro proprietà di auto-rigenerazione e auto-riparabilità, ma anche la loro sostenibilità ambientale. In una ricerca pubblicata su Nature Chemical Biology alla fine del 2018, ad esempio, si evidenzia come alcuni batteri geneticamente modificati siano in grado di creare un biofilm – una sorta di pellicola protettiva – capace di purificare l’aria circostante degradando, ad esempio, composti tossici derivanti dagli scarti industriali.

"Living materials". Fonte: Harvard Wyss Institute

Nel caso dei “biomattoni”, la promessa di sostenibilità va anche oltre: implementando i risultati della ricerca, infatti, si potrebbe creare una sostanza dotata di caratteristiche fisiche simili a quelle dei materiali edili tradizionali, ma la cui produzione avrebbe un impatto ambientale decisamente inferiore, con un risparmio netto in termini di emissioni di gas serra e di sostanze inquinanti. Proprietà come la reattività all’ambiente e la capacità di adattamento sembrano, dunque, ottime premesse per la creazione di materiali durevoli proprio in quanto capaci di autoregolarsi e di modificarsi in base alla propria interazione con l’esterno.

Tale filone di ricerca si è rivelato talmente interessante da aver attirato l’attenzione – e i finanziamenti – della Darpa (Defense Advanced Research Project Agency), l’agenzia della Difesa americana che si occupa dello sviluppo di nuove tecnologie ad uso militare. Proprio per la loro duttilità, infatti, gli ELM si prestano molto bene ad essere utilizzati in condizioni estreme: ad esempio, per costruire a tempi record una pista d’atterraggio in zone desertiche o in luoghi ad alto rischio bellico, senza dover trasportare tonnellate di materiali da costruzione; o persino per costruire – come si legge in un altro contributo di Sciencepiccole strutture su Marte, sfruttando l’interazione di pochi, avventurosi batteri con i materiali locali.

È chiaro che questo genere di studi è ancora ai suoi albori: l’utilizzo di strutture viventi artificialmente modificate dovrà andare incontro ad una qualche forma di regolamentazione, prima di poter essere applicato su scala più vasta. Tuttavia, gli addetti ai lavori si dichiarano ottimisti, e già immaginano città in cui materiali semi-vivi e ambiente interagiscono armoniosamente.

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